Pubblichiamo di seguito e invitiamo a diffondere l’intervista ad una lavoratrice di una RSA privata della Lombardia. L’intervista è anonima per ovvie ragioni: oggi chi si espone e denuncia pubblicamente incorre sempre più in pratiche di repressione aziendale come sanzioni disciplinari, licenziamenti, mobbing, ecc.
Il caso del Pio Albergo Trivulzio di Milano (è il più eclatante) ha già mostrato le gravissime responsabilità della Regione Lombardia e delle direzioni sanitarie nella gestione criminale della sanità e dell’emergenza pandemica. L’intervista mostra bene che questi non sono casi isolati o errori, ma che siamo di fronte a un vero e proprio sistema di speculazione sulla salute. Mostra che le RSA sono niente più che macchine per fare profitti sulla vita degli anziani.
La lavoratrice, parlando del suo luogo di lavoro, fornisce infatti un quadro preciso della condizione tragica in cui versano i servizi sanitari e, in particolare, le RSA, a seguito di decenni di politiche criminali per favorire i privati a scapito della sanità pubblica. Descrive perfettamente il meccanismo con cui la pandemia è divenuta da subito oggetto di profitto per i padroni della sanità privata e come, anche in questa tragica situazione, non si sia persa occasione per speculare e arraffare.
E’ questo il motivo della strage che il Covid19 ha fatto nella nostra regione: è “l’eccellenza della sanità lombarda”, frutto delle politiche di Formigoni, Maroni e ora di Fontana/Moratti, che a fine Novembre scorso hanno approvato una nuova riforma della sanità regionale che porta più a fondo il processo di smantellamento e privatizzazione della sanità pubblica.
L’intervista mostra anche qual è la forza che può fermare questi criminali e promuovere la rifondazione di una sanità pubblica realmente in grado di tutelare il diritto alla salute di tutti. Sono i lavoratori organizzati della sanità uniti con i pazienti, con i cittadini: sono loro ad avere interesse che la sanità funzioni e che non sia solo una macchina da soldi. Sono loro che sanno cosa serve cambiare, come migliorare, quanti lavoratori e strumenti servono, quali dirigenti sono onesti e quali no, quali strutture sono adeguate e quali da ristrutturare. Sono loro che hanno le competenze per far funzionare la sanità e che infatti, pur abbandonati, hanno mandato avanti un servizio sanitario allo sfascio durante la pandemia evitando il collasso del paese e una situazione ancora più tragica. Sono solo loro che possono cambiare le cose.
In embrione questa forza esiste già: in ogni gruppo di lavoratori o cittadini che si organizza e mobilita in difesa del diritto alla salute. Si tratta di far crescere questa forza, sviluppando una rete capillare di organizzazioni in ogni struttura sanitaria, RSA, ospedale e in ogni quartiere, azienda, territorio. Dipende da noi.
Oggi la sanità è gestita da Fontana e dalla Moratti: faccendieri di fiducia degli speculatori che hanno promosso lo sfascio della sanità pubblica e che ci hanno portato nella situazione attuale, criminali responsabili della strage che la pandemia ha prodotto in Lombardia. Nel 2020, nel pieno della prima ondata della pandemia, molti attivisti di comitati, associazioni e organizzazioni politiche impiegati nella battaglia della sanità pubblica hanno invocato al governo (allora Conte 2) il commissariamento della sanità lombarda. Nulla è stato fatto, anzi! Con l’archiviazione del Pio Albergo Trivulzio, Gallera e Fontana sono stati assolti; le commissioni di inchiesta sono illusioni per contenere le mobilitazioni e abbindolare i più ingenui. Non possiamo affidarci alle istituzioni della classe dominante. Per non essere un’utopia, il commissariamento dobbiamo farlo noi, “dal basso”: allargare la mobilitazione in difesa della sanità pubblica, del diritto alla salute e contrastare l’applicazione della nuova legge regionale sulla sanità, fino a cacciare questa giunta regionale e imporre alla gestione della sanità uomini e donne che godano invece della fiducia dei lavoratori e delle masse popolari, che se la siano guadagnata con i fatti mettendosi senza riserve al servizio della loro mobilitazione, che abbiano dimostrato ampiamente di avere la volontà di prendere senza riserve le misure necessarie e d’emergenza per rifondare la sanità. Anche queste persone esistono già: sono i tecnici delle decine di comitati in difesa della sanità e delle associazioni come Medicina Democratica o Emergency, dei sindacati che si sono messi alla testa delle lotte dei lavoratori della sanità in questi anni di pandemia, gli esponenti della società civile e delle organizzazioni politiche che si schierano senza se e senza ma contro la sanità pubblica. Si tratta di porsi sempre più come alternativa concreta e realistica a questa gestione della sanità: lavorare sui territori per raccogliere problematiche e proposte, proporre e praticare soluzioni, fino ad elaborare un programma generale per rifondare la sanità e cominciare ad attuarlo capillarmente in ogni territorio, con iniziative di lotta ed autorganizzazione, così che il commissariamento popolare della sanità lombarda divenga una prospettiva concreta per migliaia e migliaia di persone.
Buona lettura a tutte e tutti.
La Segreteria Federale Lombardia del Partito dei CARC
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STORIA DI UNA RSA, STORIA DI TUTTE LE RSA PRIVATE
Per iniziare, ci racconti delle condizioni di lavoro nella tua RSA?
La nostra mobilitazione nasce dalla presa di coscienza del fatto che l’azienda ha approfittato dell’emergenza sanitaria Covid19 per aumentare i suoi profitti, facendo tagli su tutto. Sui materiali di consumo per gli ospiti: quante volte ci siamo trovati a non avere abbastanza lenzuola per cambiare i letti o a dover vestire gli ospiti con i vestiti di qualcun altro, quante volte senza pannoloni adeguati, tanto da dover usare tovaglioli o carta igienica. Sul materiale sanitario: non conto nemmeno più le volte in cui ho sentito gli infermieri/e lamentarsi che non avevano mai visto una struttura cosi scarsa di materiali e medicinali. Su materiali e attrezzature per sanificazione: quante volte ho sentito il personale ATA lamentarsi di non avere il giusto materiale per fare la sanificazione come dio comanda. Sul servizio mensa: quante volte ho dovuto stare attenta e fare porzioni piccole affinchè tutti potessero mangiare qualcosina, la frutta tagliata a metà per dividerla per più ospiti. Oltre a tagli sul personale medico, assistenziale, sulle pulizie, ecc.
Questa situazione, di conseguenza, ha portato a un aumento spropositato dei carichi psicofisici di lavoro e una diminuzione del tempo, già scarso (grazie alla regola del minutaggio, per cui la Regione stabilisce i minuti esatti – sono pochissimi – che possiamo dedicare ad ogni paziente. Questo grazie a Formigoni!), dedicato ad ogni nonnino/a.
Come avete fatto fronte a questa situazione?
Lavorare in queste condizioni ha diffuso il malcontento generale in tutti i gruppi e le aree di lavoro e ha portato ad una unità e solidarietà tra tutti i lavoratori. Ad un certo punto io sono entrata nel sindacato (SolCobas, ndr). Ho deciso che la prima cosa da fare era promuovere una campagna informativa affinché tutte le colleghe cominciassero a prendere coscienza dei loro diritti, delle leggi che ci tutelano. Ho anche messo a disposizione la mia conoscenza nel ramo delle buste paga, aiutandole a leggerle e controllare ogni aspetto. Questo ha fatto sì che la loro paura e sottomissione (che era anche la mia) si trasformasse in forza e determinazione per battersi a testa alta contro la dittatura oppressiva e repressiva esercitata dalla Direzione.
Con l’aumento della fiducia abbiamo aumentato anche il numero degli operatori iscritti al sindacato, che da 10 sono saliti a 38. Ogni giro di vite che la Direzione tenta di fare, minacciando con lettere disciplinari illegali e prive di fondamento o accampando richieste che non sono previste nemmeno nel loro stesso contratto, oppure ogni volta che cercano di accanirsi con una di noi singolarmente, non fanno altro che renderci più coese nella lotta. Ad oggi abbiamo fatto due assemblee sindacali fuori dall’RSA, dichiarato lo stato d’agitazione e siamo in trattativa con l’azienda per ottenere un aumento di personale, adeguate forniture di materiali, adeguamento dei contratti ai compiti realmente svolti.
In questa vostra battaglia, quali difficoltà avete incontrato e cosa avete fatto per superarle?
Via via che ci organizzavamo per contrastare questa gestione criminale della situazione da parte della Direzione, abbiamo capito che era assolutamente necessario coinvolgere nella mobilitazione i parenti dei nostri pazienti, informandoli dei soprusi che venivano e vengono perpetrati ai danni degli ospiti e degli operatori.
Infatti, con l’emergenza Covid19, le RSA hanno tagliato fuori i parenti, che non possono più entrare in struttura e vedere cosa succede all’interno. Il meccanismo di controllo qualità che indirettamente veniva svolto dai parenti è venuto a mancare e la Ditta si è sentita libera di fare quello che voleva.
Per stroncare la mobilitazione, la nostra RSA ci ha fatto minacce di ogni tipo e ci ha comminato lettere di richiamo, dicendo che i parenti degli ospiti si lamentavano del nostro lavoro, mentre ai parenti degli ospiti raccontava che era colpa degli operatori incompetenti se i pazienti non erano assistiti adeguatamente. Ad esempio capitava che un paziente fosse vestito con gli indumenti di altri ospiti: la RSA si giustificava con i parenti incolpando noi. La realtà era che, siccome la direzione voleva risparmiare, il servizio lavanderia veniva effettuato solo 3 giorni a settimana e quindi noi operatori non avevamo di che vestire i nonnini.
Ritengo che la collaborazione tra parenti e operatori sia importantissima perché dà al parente la possibilità di avere la giusta prospettiva. Infatti questa nostra collaborazione ha dato talmente tanto fastidio alla Direzione che questa ha fatto spiccare una lettera di espulsione di due pazienti i cui parenti, più di altri, si erano attivati nella mobilitazione, giustificandola con la scusa che “l’ospite è incompatibile con gli operatori”. Una cosa da ridere, visto che era riferita a due nonnine assolutamente inermi, amate e volute bene da tutte le operatrici, buttate fuori solo perché i parenti denunciavano tutte le cose che non andavano e perché così la direzione toglieva di mezzo un nostro alleato per la difesa dei diritti dei nostri/e nonnini/e.
Saputo quanto la direzione stava facendo, noi operatrici ci siamo schierate a tutela degli ospiti espulsi e con l’aiuto del sindacato abbiamo ottenuto la sospensione del provvedimento. Tuttavia i parenti indignati della bassezza della Direzione aziendale hanno optato per il trasferimento in altra struttura. Anche se per noi è stato un dispiacere, siamo comunque orgogliose del fatto che siamo riuscite a far retrocedere l’azienda: sono questi i segnali forti che si devono mandare affinchè queste RSA sappiano che non possono continuare a fare business sulla pelle dei nonnini e degli operatori che se ne prendono cura.
Secondo te, cosa è necessario fare per invertire la rotta dato che il vostro non è un caso isolato?
Quanto ho descritto è una piccola realtà, che purtroppo si fa però sempre più grande, a causa dello smantellamento delle istituzioni pubbliche e di una mancanza di controllo vero da parte dello Stato, che pure sovvenziona e promuove il privato per evidenti tornaconti. Noi crediamo fermamente che unirci alla lotta comune sia fondamentale e continueremo: ci schiereremo sempre a tutela dei nostri cari nonnini e nonnine continueremo a denunciare tutto ciò che non va e, se anche siamo precettati e per noi l’arma dello sciopero è spuntata, faremo quelli che si chiamano scioperi bianchi e attueremo ogni altra forma di lotta utile. Proprio come abbiamo fatto in questi ultimi mesi. Dei primi risultati li abbiamo già ottenuti: di fatto l’azienda sta provvedendo ad approvvigionarsi in maniera più adeguata rispetto ai materiali…. ma c’è ancora tanto lavoro da fare. E NOI LOTTEREMO FINO ALLA FINE.