La corsa per il Quirinale è un’evidente manifestazione della crisi che attanaglia le Larghe Intese. Una crisi che non ha sbocchi positivi per la classe dominante, come vedremo, e che pone concretamente all’ordine del giorno, la natura e il ruolo del governo che sostituirà quello di Draghi, “il Commissario della Troika”.
Un passo indietro. Per scalzare il M5S dal governo, a inizio 2021 le Larghe Intese (Renzi – Mattarella) hanno compiuto su mandato della UE un colpo di mano per far cadere il Governo Conte 2 e installare il Governo Draghi.
È stata un’operazione necessaria affinché la Comunità Internazionale degli imperialisti USA e UE riprendesse il pieno controllo dell’Italia, ma anche pericolosa perché la classe dominante ha dovuto mettere in campo un suo “pezzo da 90”. Uno che avrebbe operato su comando diretto della Troika e al quale nessun esponente del teatrino della politica italiana avrebbe potuto dire di no. Uno che non poteva fallire. Draghi, appunto.
La sua installazione ha avuto parziale successo: il governo “dei migliori” ha temporeggiato per 5 mesi e poi, da luglio 2021, ha iniziato a marciare a tutto spiano nell’attuazione del programma di lacrime e sangue per le masse popolari: dallo sblocco dei licenziamenti all’annuncio della riforma delle pensioni. Il tutto condito dalla promozione della guerra tra poveri e dall’applicazione crescente e allargata di misure repressive che hanno determinato la miscela asfissiante che oggi respiriamo. Risultato? Il paese è una polveriera.
Veniamo all’oggi. Il parlamento è “un gioco di pupazzi” – per citare Lenin – ridotto a camera di ratifica di quello che dice Draghi. Lo stesso Consiglio dei Ministri suona lo spartito inviato via fax da Washington, Bruxelles e Francoforte senza nemmeno curarsi di leggere le note. Ma le fazioni e i comitati di affari che hanno partecipato attivamente all’incoronazione di Draghi sono sempre più disagio perché non riescono più a imbonire i loro settori sociali di riferimento con le promesse dei miliardi del Pnrr, che non arrivano e non arriveranno. Aumentano quindi i malumori e i colpi di testa (della Lega, ma anche dei vertici della CGIL). Il paese è una polveriera, autorità e istituzioni riescono sempre meno a fare leva sul terrorismo mediatico per governare le ampie masse. Masse che per esperienza concreta vedono le menzogne, le incoerenze, le ingiustizie e le truffe cui sono sottoposte per permettere a speculatori e parassiti di fare i loro affari.
L’elezione del Presidente della Repubblica cade in questo contesto e una parte dei mandanti e sostenitori di Draghi è tentata di approfittarne per eleggerlo al Quirinale.
Nel mondo che sognano i capitalisti, gli speculatori e i parassiti ci vorrebbero “due Draghi”, uno al Quirinale e uno a capo del governo. Sarebbe la combinazione ideale per eliminare ogni pericolo di “instabilità”, come chiamano senza ritegno ogni espressione di democrazia e sovranità popolare. Qualcuno di loro lo dichiara espressamente.
Ma il mondo non è perfetto neppure per i capitalisti! Pertanto devono decidere e il loro dilemma, condito da mille forme di intossicazione, infesta tutto il “dibattito politico” da oltre un mese.
Una parte dei mandanti e sostenitori di Draghi spinge affinché rimanga a capo del governo per garantire “stabilità” e “guidare il paese nelle riforme necessarie al Pnrr e nelle misure per fare fronte all’emergenza sanitaria”. Ma questa decisione è rischiosa perché la maggioranza di governo scricchiola e non è sicuro che la guerra fra poveri tenga impegnate le masse popolari tanto a lungo e tanto a fondo da impedire che comincino a mobilitarsi contro il governo, anziché contro i No Vax o gli immigrati.
C’è inoltre da considerare che prima o poi – più poi che prima, perché nessuno vuole il voto anticipato – i partiti delle Larghe Intese dovranno affrontare le elezioni e si preannuncia per loro, nessuno escluso, una disfatta su tutta la linea.
Tenere Draghi a capo del governo significa esporlo al rischio di finire come Monti, “bruciato” per la politica e ridotto a marionetta da talk show televisivi. Una prospettiva inaccettabile per il “pezzo da 90”, per l’uomo della provvidenza unto dalla BCE.
Una parte dei mandanti e sostenitori di Draghi spinge affinché sia eletto al Quirinale. È la strada più sicura per metterlo al riparo dagli sconvolgimenti che incombono, ma è anche la strada con maggiori incognite rispetto al governo. Nessuno dei suoi ministri può prendere efficacemente il suo posto per tenere insieme l’attuale maggioranza (altro che “i migliori”, è un governo di passacarte) e nessun altro galoppino della Comunità Internazionale sarebbe in grado di fare fronte agli sconvolgimenti provocati dalle “riforme” che la Troika pretende (non a caso è stato scelto “un pezzo da 90” per imporle).
In entrambi i casi, Draghi al Quirinale o Draghi al governo, la crisi politica è destinata ad aumentare. La classe dominante non la può negare né può nascondersi dietro le promesse dei miliardi di euro o dietro le menzogne sulla ripresa del paese (che non c’è). Ma non la può nemmeno affrontare – e tanto meno risolvere – perché la classe dominante è parte del problema, non è la soluzione.
L’installazione di Draghi NON è solo una manovra con cui si è riparata “la falla” aperta dai governi Conte: è il commissariamento economico e politico dell’Italia da parte della Troika (UE, BCE, FMI). La più evidente manifestazione di ciò consiste nel fatto che non solo il parlamento italiano è degradato a camera di ratifica di decisioni già prese altrove (questo è un processo che parte da lontano, in particolare dal Governo Monti nel 2012), ma persino il Consiglio dei Ministri ha imboccato la stessa strada. I ministri sono ormai ridotti al ruolo di passacarte, non sanno cosa approvano e spesso non conoscono neppure il contenuto degli atti di cui formalmente sono firmatari.