Dalla giungla dei call center

Pubblichiamo questa corrispondenza che ci arriva da un nostro lettore, operatore di un call center. La pubblichiamo perché mostra bene quali sono le condizioni di impiego comuni a tanti proletari, giovani e meno giovani: sfruttamento, contratti farsa, precariato cronico… Servono ispezioni in ogni luogo di lavoro!

Cari compagni,

sono un operatore telefonico impiegato presso un call center che svolge servizi di vendita telefonica di beni e servizi nell’ambito dell’energia e gas.

Ho deciso di scrivervi questa lettera in cui provo a fare luce sulle condizioni di lavoro di questo settore, stimolato dalla lettura delle corrispondenze operaie del giornale, in particolare da quelle riguardanti i lavoratori precari, che mi hanno fornito spunti interessanti.

Anzitutto anche questo settore, come altri, dalla cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza Covid ha lavorato senza mai fermarsi (nonostante non fossimo lavoratori “essenziali”) e ha delegato il rispetto delle misure precauzionali contro il virus interamente ai lavoratori. Ognuno di noi deve pagarsi autonomamente i tamponi se non è vaccinato ed è costretto a procurarsi a sue spese i DPI necessari perché l’azienda non passa nemmeno quelli.

Inoltre, il Green Pass è stato utilizzato non solo come strumento di discriminazione tra vaccinati e non vaccinati, ma anche per stringere le maglie del controllo padronale sui lavoratori che, in spregio sia alle normative che regolano i rapporti di collaborazione (gli operatori come me, addetti ai servizi “outbound”, sono inquadrati tutt’ora con contratti parasubordinati) che delle misure a tutela della salute, sono di fatto costretti a lavorare in presenza, senza poter optare in alcun modo per lo smart working.

Nella mia azienda, ad esempio, molti, soprattutto tra coloro che per paura o per sfiducia non si sono vaccinati e non intendono farlo, vorrebbero lavorare in regime di smart working, sfruttando anche l’autonomia di cui in teoria dovrebbero godere non essendo lavoratori subordinati. La risposta del padrone in questo caso è “non me lo posso permettere, da casa producete poco!”, a dimostrazione di come l’autonomia sia solo fittizia e di come i contratti di collaborazione costituiscano in realtà uno strumento per rendere il lavoro sempre più sfruttato e ricattabile.

E qui veniamo alla questione della precarietà che dilaga nei call center a dispetto della crescita del settore e del fatto che le mobilitazioni degli ultimi anni hanno portato alla regolamentazione di alcuni aspetti. I call center, infatti, sono sfuggiti persino all’abolizione dei contratti a progetto prevista dal Job’s Act di Renzi e, nonostante gli operatori siano in tutto e per tutto subordinati al datore di lavoro, si vedono assunti (sempre quando vengono assunti “regolarmente” e non a nero) con contratti di tre mesi o addirittura di uno, rinnovati di volta in volta in base al raggiungimento degli obiettivi di produzione (nel mio caso, quanti contratti vengono attivati).

Anche per quanto riguarda i contratti nazionali non ci sono normative chiare e uguali per tutti. Al di là dei grandi call center, in cui viene applicato il Contratto Nazionale delle Telecomunicazioni firmato dai sindacati confederali nel 2020 che contiene una cornice minima di diritti salariali e normativi, c’è una quantità infinita di piccole e medie aziende che applica veri e propri contratti pirata.

Un esempio è quello sottoscritto nel 2018 da Assocall (l’associazione datoriale dei call center non aderente a Confindustria) con la sola UGL, che prevede addirittura minimi salariali di 400 euro mensili per chi lavora part-time, che possono raggiungere i 700-800 euro al mese del CCNL telecomunicazioni solo grazie alle provvigioni, configurando di fatto un cottimo nemmeno tanto mascherato.

Quest’ultimo aspetto, in particolare, sta diventando sempre più difficile da sopportare per gli operatori, soprattutto per quelli che lavorano nel settore energia, spinti a chiudere contratti con ogni mezzo. Il caro bollette di questi mesi e il prossimo passaggio di tutti gli utenti al libero mercato (dal 2023) alimentano sempre di più la concorrenza tra le aziende per accaparrarsi il maggior numero possibile di clienti, che si vedono così bombardati di chiamate e di offerte che spesso e volentieri sono vere e proprie truffe!

La situazione che ho descritto vale per la mia azienda, per la maggior parte dei call center e per vari settori produttivi in cui il ricorso al precariato, al lavoro nero, alla catena infinita di appalti e subappalti è all’ordine del giorno e rende i lavoratori soggetti a ricatti di ogni tipo.

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