È ancora contraddittorio, frammentato e disorganico, ma il movimento della classe operaia contro il governo Draghi continua ad allargarsi.
I lavoratori sono stati protagonisti delle mobilitazioni degli ultimi mesi e in ognuna di queste è emersa, più o meno chiaramente, la forza che classe operaia è in grado di esprimere quando si organizza e si pone alla testa del resto delle masse popolari. Ogni mobilitazione ha alimentato e preparato in una certa misura le successive: da quella degli operai della GKN contro le delocalizzazioni a quella dei portuali di Trieste (e degli altri lavoratori) contro il Green Pass, fino allo sciopero unitario dell’11 ottobre e il No Draghi Day del 4 dicembre indetti dai sindacati di base.
Questo movimento generale, assieme alle pressioni di una base sempre più insofferente verso il loro immobilismo, ha costretto finanche i sindacati confederali a manifestare contro la manovra finanziaria e a proclamare lo sciopero generale del 16 dicembre scorso, indetto da CGIL e UIL.
Per quanto chiamate da soggetti diversi, con parole d’ordine differenti, più o meno avanzate, tutte queste mobilitazioni sono oggettivamente contro il Governo Draghi e le sue misure; sono parte del movimento complessivo della classe operaia, che cresce spontaneamente via via che la lotta di classe si acuisce.
Questo processo non è però ancora portato avanti dalle organizzazioni sindacali in maniera consapevole. Al contrario prevale ancora la tendenza al settarismo, la contrapposizione tra sigle sindacali, tra mobilitazioni. Il compito dei lavoratori più avanzati, di quelli che più chiaramente vedono la necessità di unire tutti i lavoratori contro il governo Draghi, è di prendere via via in mano questo movimento per sviluppare coscientemente un processo unitario.
L’esempio più avanzato di cosa significa farlo ce lo danno gli operai della GKN. Questi non si sono limitati a partecipare alle iniziative promosse da loro o dalla FIOM (sindacato maggioritario in GKN), ma hanno partecipato allo sciopero dell’11 ottobre, alla manifestazione contro il G20 del 30 ottobre a Roma, al corteo del No Draghi Day, alle proteste del mondo della scuola; hanno sostenuto la lotta degli operai Textprint organizzati nel Si Cobas, quella dei lavoratori Alitalia, e così via. In ognuna di queste mobilitazioni hanno costruito legami, portato il loro invito ad insorgere e soprattutto la parola d’ordine di costruire lo sciopero generale e generalizzato, concependo ogni piazza e corteo come una tappa del processo che deve portare i lavoratori dal basso a costruire le condizioni per bloccare veramente il paese e far valere fino in fondo la loro forza.
Questo è l’esempio che ogni lavoratore, iscritto o meno ai sindacati, e al di là della propria tessera, deve fare proprio per dare il via alla nuova e definitiva riscossa della classe operaia.
È necessario superare la logica degli orticelli, gli steccati sindacali e politici e mettere, al contrario, avanti l’appartenenza di classe, il sostegno a ogni mobilitazione che ha come protagonisti i lavoratori. Occorre fare di ogni mobilitazione l’ambito in cui alimentare l’organizzazione e portare la parola d’ordine dello sciopero generale e generalizzato. Scioperi e mobilitazioni non vanno concepiti come fini a se stessi, ma come tappa di un processo che alimenta il movimento generale della classe operaia e prepara i passi successivi. Fino a costruire le condizioni per realizzare un vero sciopero generale e costringere, con la spinta dal basso, la CGIL a convocarlo. Lo sciopero del 16 dicembre dimostra che questo traguardo è perfettamente raggiungibile!
Ma dimostra anche lo sciopero generale e generalizzato deve essere pensato come parte del processo complessivo che condurrà la classe operaia a cacciare il governo Draghi. Questo è il pezzo in più che devono mettere i lavoratori comunisti. Che significa concretamente? Significa intervenire nelle mobilitazioni non solo per sostenerle o unirle, ma per alimentarne la trasformazione.
Vuol dire passare dall’essere promotori di lotte per chiedere al governo di prendere questa o quella misura (approvare una legge contro le delocalizzazioni, ritirare il Green Pass, ecc.) al porsi come costruttori di un movimento che porta la classe operaia ad organizzarsi in ogni azienda e a coordinarsi attorno all’obiettivo di cacciare Draghi e imporre un proprio governo d’emergenza.
Si tratta di far emergere e affermare le tendenze avanzate, quelle che vanno oltre il corporativismo, la logica squisitamente sindacale, il principio della delega e che mettono invece al centro il protagonismo operaio, la costruzione di un’alternativa di gestione della società, la questione del potere.
Occorre fare di ogni mobilitazione un ambito di organizzazione, di sviluppo del coordinamento, di elevazione della coscienza. Fino a costruire un movimento che, a livelli diversi, coinvolgerà la maggioranza della classe operaia e assumerà i contorni della lotta per il potere.