Lezioni all’aperto per resistere al Green Pass

Intervista al professore Guido Cappelli dell’Università Orientale di Napoli

Il prof. Guido Cappelli, docente di studi letterari, linguistici e comparati all’Università Orientale di Napoli, è fra i promotori delle lezioni all’aperto che da diversi mesi si stanno svolgendo in Galleria Principe a Napoli.
L’iniziativa è testimonianza che la mobilitazione contro il Green Pass va oltre le mobilitazioni di piazza e riguarda più in generale la resistenza agli attacchi al diritto al lavoro, allo studio e alla socialità.

Perché lei e altri docenti siete contro il Green Pass?

Siamo contro il Green Pass perché è una misura “distopica” in quanto introduce per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale un principio di discriminazione che divide l’Italia in cittadini di serie A e di serie B. Si tratta di un provvedimento che va contro i principi fondamentali delle Costituzioni democratiche tra i quali l’habeas corpus, ossia il principio di sovranità dell’individuo sul proprio corpo, che dopo la Seconda Guerra Mondiale e gli esperimenti di eugenetica nazista era stato inserito  nel diritto costituzionale italiano ed europeo ed è tutt’ora valido.

L’iniziativa delle lezioni all’aperto ha ottenuto visibilità e partecipazione. Com’è nata? Quali sviluppi può avere?

L’idea delle lezioni all’aperto mi è venuta dal prof. Gibilisco, docente della Sapienza in prima linea contro il Green Pass e membro del direttivo nazionale del Fronte del Dissenso (l’organizzazione al momento più strutturata a livello nazionale tra quelle attive nella lotta contro il Green Pass – ndr), primo tra tutti a organizzare una lezione all’aperto per i suoi studenti. 

La Galleria Principe di Napoli, luogo delle lezioni, in questo senso non è una sede politica o uno spazio che gentilmente ci ospita, ma un vero e proprio simbolo dell’“agorà”, della pubblica piazza come luogo di confronto e di discussione aperto a tutti.

Riteniamo particolarmente importante che le nostre lezioni siano strettamente legate all’attualità. La storia della letteratura italiana, ad esempio, presenta numerosi appigli ed esempi per capire la situazione che stiamo vivendo. È questo ciò che dobbiamo fare oggi: usare il passato per comprendere e illuminare il presente.

Rispetto al piano della mobilitazione, la questione è difficile. All’interno del movimento ci sono posizioni molto diverse. La mia, ad esempio, è una posizione che definisco “inclusiva”, cioè per me tutto vale, a partire dalla piazza.

A Napoli manteniamo la piazza, seppur con numeri ridotti, da circa venti settimane e non è una piccola cosa.

Io non ho mai fatto politica attiva più di tanto: solo da ragazzo ho militato per un breve periodo nel PCI-PDS, salvo poi dedicarmi a una carriera accademica svolta prevalentemente all’estero. Ora sto riscoprendo il valore del volantinaggio fisico. Le piattaforme social, che pure servono, stanno dimostrando di non poter sostituire l’incisività del rapporto diretto con le persone.

Infine, rispetto all’iniziativa delle lezioni all’aperto, esse non sono rivolte principalmente all’università: i miei colleghi non si smuoveranno grazie a questo esempio! È un’iniziativa rivolta soprattutto alla città. Si tratta di includere il maggior numero di persone possibile in un discorso culturale che deve tradursi immediatamente in politica, l’atto stesso di discutere liberamente di cultura è di per sé un atto politico.

Forse sono più gli studenti a mobilitarsi…

Sicuramente gli studenti si sono mossi più dei docenti! Uno dei principali successi delle lezioni all’aperto è stato proprio il coinvolgimento di un buon numero di studenti che poi si sono organizzati per conto loro, coordinandosi tramite Telegram a livello cittadino e regionale.

C’è da dire che anche il movimento studentesco, specie nella mia università, è influenzato da gruppetti che appartengono ad una finta sinistra. Io stesso sono stato minacciato di essere deferito agli organi accademici grazie a questi personaggi che spacciano per “sinistra” il tradimento della migliore tradizione gramsciana del nostro movimento comunista.

Quali sono stati i riscontri delle lezioni all’aperto in università? Che ne dicono i colleghi e il Rettore?

Per quanto riguarda la reazione da parte degli organi dirigenti dell’ateneo gli obblighi di riservatezza cui sono tenuto come docente non mi consentono di dire tutto. Ad ogni modo, il nostro Rettore, pur non essendo d’accordo con le nostre idee, si sta comportando in maniera tutto sommato equilibrata e ragionevole senza mai fare alcuna pressione su di me e agendo in maniera corretta con la stampa.

Altra cosa sono le reazioni informali di alcuni colleghi (addirittura uno vorrebbe denunciarmi per danni d’immagine all’ateneo!) o di alcuni studenti.

A sostenermi apertamente ci sono i colleghi della mia area didattica.

A tal proposito, credo che gli intellettuali specie in momenti come questo, pur non rinunciando a svolgere il loro mestiere di intellettuali, devono prendere posizione e diventare combattenti. Faccio l’esempio del più grande storico del ’900 italiano, l’aostano Federico Chabot che durante la Resistenza abbandonò gli studi e fu comandante della Brigata Garibaldi.

Il governo Draghi restringe il diritto di manifestare… Dal suo punto di vista come si può far fronte alle misure repressive?

È un problema all’ordine del giorno nella discussione in seno al gruppo dirigente del Fronte del Dissenso.

Credo che in un conflitto di queste proporzioni dobbiamo tenere conto anzitutto dei rapporti di forza.

Detesto le autoflagellazioni di chi, come alcuni attivisti, ci ha definiti “vigliacchi” perché non ci facciamo arrestare tutti. Pur avendo messo in conto tutto, anche più dell’arresto, non sono arrivato ancora a ragionare in quei termini e non lo ritengo utile. Colgo anzi l’occasione per dire che a Napoli le Forze dell’Ordine si sono comportate piuttosto correttamente.

Stiamo pensando, comunque, di costituire un fondo di solidarietà per i colleghi e gli attivisti oggetto di repressione e sanzioni, da finanziare attraverso piccole attività economiche e sottoscrizioni da parte degli stessi attivisti, pur sapendo che non tutti hanno grandi possibilità economiche.

Ad ogni modo, penso che alla lunga il modo per fare fronte alla repressione sarà la disobbedienza civile non violenta, che pure è vietata da un ordinamento costituzionale che in un momento come questo andrebbe aggiornato.

L’unico limite alla nostra azione dovrebbe essere, a mio modo di vedere, la violenza fisica. Non solo perché non ne avremmo la forza, ma anche e soprattutto perché ritengo che le società nate dalla violenza siano società intrinsecamente malate.

Abolire il Green Pass è necessario e serve la volontà politica di farlo, che il governo Draghi chiaramente non ha…

Solo un CLN può far fronte a questa situazione. Il Fronte del Dissenso, che contiene sigle politiche e associative diversissime tra loro per sensibilità e orientamento politico e a cui credo che lo stesso P.CARC dovrebbe prendere parte, ne rappresenta a mio avviso un primo nucleo fondativo. La battaglia che abbiamo davanti non è più solo e tanto una battaglia politica, ma una battaglia di civiltà, di ripristino dei valori più sani della nostra civiltà e di distruzione degli elementi di putrefazione che la caratterizzano. Io non credo nell’utopia, non credo che la svolta di cui abbiamo bisogno sia un qualcosa che viene all’improvviso. Credo piuttosto che si tratti di sfruttare le grandi opportunità che questa situazione, caratterizzata da uno sfaldamento delle classi dominanti e da una crescente sfiducia di gran parte della popolazione nel potere costituito e nei suoi mezzi di informazione, ci mette davanti. A questa fetta di popolazione e di elettorato attivo non bisognerà chiedere soltanto il voto, ma l’attivismo, la partecipazione, l’organizzazione.

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