Pubblichiamo di seguito l’intervista che ci ha rilasciato Paolo, studente fiorentino che fa parte dell’organizzazione politica universitaria Studenti di Sinistra. La rete dei collettivi partecipa attivamente al gruppo dei solidali GKN “Insorgiamo” e nelle ultime settimane è stata protagonista di alcune occupazioni universitarie e mobilitazioni studentesche a Firenze.
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1. Come Studenti di Sinistra partecipate al gruppo di solidali GKN e siete attivi nel promuovere la solidarietà ai lavoratori, così come già avete fatto con la Texprint. Perché pensate che sia importante farlo?
Diciamo che è stata anche un’esperienza nuova di quest’ultima generazione di compagni di Studenti di Sinistra, ma è stato un processo abbastanza spontaneo, non abbiamo fatto delle riflessioni approfondite nell’immediato. Siamo andati a portare la nostra solidarietà a dei lavoratori che erano in sciopero in picchetto permanente alla Texprint e poi dal 9 luglio alla GKN, partecipando poi alla formazione del gruppo di supporto e anche alla lotta che tutt’ora va avanti.
Noi crediamo che ci sia una connessione strettissima tra il mondo universitario, quello che noi studenti viviamo tutti i giorni, e il mondo del lavoro e, in generale, anche tra le lotte che vengono portate avanti in questi ambiti, per cui non c’è mai stato un problema di incompatibilità tra la nostra attività dentro l’università e il portare la solidarietà e partecipare alle lotte dei lavoratori.
Un meccanismo interessante che si è sviluppato è quello di uscire da una retorica di solidarietà passiva, cioè, ad esempio, portare quello che serve al presidio, dare una mano a livello organizzativo, ecc.: tutte cose che sono state fatte e sono comunque fondamentali. Col tempo abbiamo però visto che nei singoli militanti dell’organizzazione e poi anche nelle riunioni che facciamo maturava la volontà di approfondire le varie tematiche. Ad esempio capire perché a Prato c’è una condizione di sfruttamento che non è limitata a un’impresa ma è un modus operandi di tutto il distretto industriale. Poi è nata anche la volontà di supportare e portare avanti una lotta più radicale, che magari esce fuori dagli schemi dell’ordinario come quella portata avanti dagli operai Texprint che è stato un primo barlume di luce che non si vedeva da tempo, questo grazie anche all’appoggio di compagni e compagne che sono stati eccellenti da questo punto di vista.
È appunto anche una volontà di capire meglio e poi anche formarsi come militanti su questioni politiche che un giorno ci riguarderanno anche di più in quanto lavoratori del futuro, chi di noi non lo è già, perché quello che vediamo davanti a noi non è una prospettiva felice, in quanto si esaspereranno processi che sono già in atto in questo momento, l’orizzonte che ci si prospetta è fatto di precarietà. Il nostro “Insorgiamo” è proprio un orizzonte politico che ci poniamo perché non c’è via di uscita se non si cambiamo le cose. Quindi è stato interessante e giusto uscire dal semplice meccanismo della solidarietà passiva e cominciare invece a prendere parte a un processo diverso, avendo un ruolo propositivo all’interno di un contesto come può essere quello del gruppo solidali GKN, oltre che poi dal punto di vista di analisi e forza pratica, essendo noi una realtà comunque piccola e che esiste solo a Firenze e che quindi non può dare chissà quale grande contributo. Quindi il rapporto co i lavoratori ci ha sicuramente fatto crescere anche come organizzazione studentesca.
2. In questi ultimi mesi gli studenti universitari e medi a Firenze e non solo sono tornati a prendersi le scuole e le università occupando. Cosa vi ha dato la spinta a farlo? E quali vittorie avete ottenuto?
Intanto, appunto, è un processo ancora in corso, siamo nel bel mezzo della lotta e non escludiamo di tornare a fare altre azioni all’università, magari non nell’immediato ma è tutto da decidere. A livello complessivo, la vicenda GKN ha ridato forza a tutta una serie di soggetti, studenti compresi, per rimettere al centro la presenza e partecipazione nei propri luoghi di studio e di lavoro e riprendersi i propri spazi. In questo senso c’è stata una convergenza, tutto sommato abbastanza voluta e al contempo nuova, anche tra universitari e medi. Dall’università non c’è stata una grandissima risposta, ma ce lo aspettavamo, mentre le scuole superiori hanno risposto meglio: in vari istituti è rinata all’interno un’organizzazione politica oppure un collettivo dopo anni di letargo, e ci sono perfino alcune scuole che un collettivo non lo avevano mai avuto e che le occupazioni hanno fatto nascere. Un esempio è il liceo Calamandrei di Sesto Fiorentino che esce dall’occupazione con un collettivo di 30 studenti! Secondo me, anche in ottica strategica, si è inciso dove era giusto incidere e siamo riusciti a coinvolgere una generazione che è molto lontana dalla politica per vari fattori e che invece ha voglia di riscatto e di impegnarsi in qualcosa. Questo magari non si è visto tanto nella partecipazione numerica del corteo di sabato 20 novembre per vari motivi, quanto più a livello qualitativo nel percorso delle occupazioni. A Firenze sono state occupate a tappeto quasi tutte le scuole e, in contemporanea, ci sono state le occupazioni in università per motivi specifici e diversi. Anche perché, come era stato auspicato anche dal Collettivo di Fabbrica GKN, il motto “Insorgiamo” riguarda tutti noi ma per ragioni particolari e specifiche. Non abbiamo occupato semplicemente “in solidarietà alla GKN”, altrimenti saremmo ricaduti in quel meccanismo di solidarietà passiva che dicevo prima; l’obiettivo era quindi insorgere per le condizioni problematiche che ci troviamo ad affrontare. Per questo motivo le occupazioni universitarie hanno avuto il filo conduttore degli spazi, perché noi ancora viviamo in una situazione assurda dove il rientro in università è una barzelletta, con sistemi di tracciamento che sono assolutamente ridicoli. Banalmente, l’università non riesce a prendere una posizione seria nemmeno in merito al Green Pass per cui fa un tracciamento a campione e ti obbliga a passare dai tornelli. Tra l’altro la spesa per tornelli e via dicendo ammonta a varie decine di migliaia di euro: soldi che potevano magari essere spesi per una borsa di studio, per un contributo alloggio o per riaprire gli spazi per gli studenti. In questo “falso” rientro, perfino studiare e partecipare alle lezioni è diventato un atto politico, perché non si riesce ad accedere nemmeno agli spazi che dovrebbero essere “tuoi”, spazi che chiunque dovrebbe poter frequentare, limitando quindi anche la partecipazione all’università che è uno spazio di crescita della comunità tutta. È stata tagliata fuori tutta la parte di persone che banalmente utilizzavano le lezioni pubbliche per trovare uno spazio di formazione e di crescita e quindi in un certo senso si va in contrasto pure con il ruolo sociale stesso dell’università.
Accanto a queste, per l’occupazione ci sono state anche motivazioni di socialità e aggregazione che sono stati del tutto eliminati. Se entri in università lo fai per il tempo della lezione e quasi non puoi nemmeno trattenerti pe andare in bagno perché bisogna uscire subito. Non c’è più nessuno spazio che permetta alla comunità studentesca di fare aggregazione, di trovarsi, di discutere, di parlare e alle organizzazioni politiche interne all’università di promuovere incontri di natura politica o portare avanti una forma di sapere critico. C’è stato poi un discorso più improntato sul diritto allo studio con rivendicazioni mirate e, per l’occupazione del polo di Sesto Fiorentino anche una rivendicazione sulla tranvia che abbiamo visto da subito essere uno dei punti più problematici e quello su cui ad oggi la battaglia è tuttora in corso ed è di molto difficile soluzione per interessi che vanno oltre il mondo universitario e che quindi portano anche a noi a doverci confrontare su un terreno che non è il nostro e sul quale è molto difficile riuscire anche a essere incisivi.
Le occupazioni nell’università hanno dato segnali positivi per cui, per esempio, a Sesto si è riscontrato l’appoggio della componente dei docenti che in parte condivide con noi le stesse problematiche ed è stato veramente molto importante trovare appoggio anche in loro e vedere che condividevano con noi non solo tanto le istanze ma anche che ritenevano legittima la forma di lotta scelta. Questo ha portato a una serie di vittorie su Sesto, ad esempio la riapertura dell’aula studenti (in realtà la riapertura viene portata avanti in maniera forzata perché gli studenti continuano a occupare l’aula che è sempre stata un punto di riferimento per tutta la comunità di Sesto, finché la situazione non si normalizzerà, però c’è anche un beneplacito sul tenere aperto quello spazio).
Rispetto all’occupazione della Torretta è stato interessante il processo che ha portato all’occupazione. Infatti lì è partita spontaneamente dagli studenti, cioè c’era una volontà precisa da parte degli studenti che vivono tutti i giorni il loro spazio di riprenderselo, di rimanere a studiare dopo l’orario consentito perché magari, banalmente, qualcuno aveva l’esame due giorni dopo: per studiare c’è bisogno anche di spazi! Chiaramente poi ci sono stati l’appoggio, l’organizzazione e le competenze del nostro gruppo, con cui gli studenti della Torretta si sono subito messi in contatto, però questa cosa ha fatto capire meglio anche a noi che effettivamente c’è un bisogno da parte degli studenti di tornare a una condizione di accesso che sia compatibile con le nostre esigenze e molto spesso c’è anche la volontà di lottare appunto, quindi non limitiamoci a delle prese di posizioni sterili ma mettiamoci in gioco in prima persona per contribuire alle azioni che vengono portate avanti.
3. Quali sono i prossimi passi nella mobilitazione dentro l’università e fuori? In termini di lotta per il diritto allo studio, servizi collaterali, collegamento e coordinamento con le altre realtà studentesche, lavorative, ambientali, ecc.
Sul piano universitario l’idea è quella di proseguire con la mobilitazione nelle varie forme possibili, occupazioni ma non solo, nell’ottica di imporre un certo piano di discussione e dei rapporti di forza diversi con l’Ateneo.
L’esperimento fatto con la Torretta sarà interessante capire se è possibile riproporlo altrove. Là c’era un gruppo di studenti della stessa classe che stavano studiando e che hanno deciso di rimanere oltre l’orario, si sono messi in contatto col collettivo da subito perché comunque siamo radicati in vari luoghi e gli studenti ci conoscono. Ci siamo confrontati e abbiamo deciso come portare avanti l’occupazione nell’immediato. All’inizio doveva durare solo 24 ore ma poi è proseguita per 5 giorni e si è imposto un dialogo con l’Ateneo. In futuro ci sarà anche da capire bene dove si possono attivare dei processi di mobilitazione e quanta risposta ci può essere.
Una cosa di cui ci siamo accorti è che l’Ateneo non era preparato a gestire questa situazione di occupazioni, non era pronto a delle azioni di lotta di questo tipo. Il vecchio Rettore Dei aveva già visto questo tipo di forma di lotta, mentre l’attuale Rettrice l’abbiamo vista anche un po’ sorpresa e ci siamo andati anche a scontrare con un apparato burocratico che stenta a comprendere le rivendicazioni degli studenti e come si possono risolvere, che è restio a intavolare una discussione per quanto banale possa essere.
Viceversa ci sono altre componenti universitarie che invece le capiscono le rivendicazioni: intanto i docenti che spesso le condividono, che hanno delle problematicità a volte tali e quali alle nostre o addirittura peggiori: penso ai lavoratori in appalto e ai contratti che hanno. Per cui parallelamente abbiamo anche riscoperto un altro strumento: il Coordinamento di Lotta d’Ateneo, una struttura che univa studenti, lavoratori, ricercatori e personale tecnico/amministrativo, chiaramente coinvolgendo anche le sigle sindacali di riferimento e aperto alla partecipazione di tutti. Nel futuro immediato quello che ci poniamo come obiettivo è la riattivazione del coordinamento per capire dove si può andare a incidere e dove si può agire insieme. Questo secondo noi rientra un po’ anche nel modus operandi che ci ha insegnato la lotta GKN.
In termini più complessivi dove andiamo e cosa possiamo fare è tutto da determinare, secondo noi il binomio studenti-lavoratori può funzionare. In questo senso Roma è stato un altro esempio interessante, con il gruppo dei lavoratori combattivi ITA che ha cercato l’appoggio degli studenti, quindi ci sono anche delle sperimentazioni simili in altre città. Bisogna capire anche quanto riusciamo noi come componente studentesca a convergere e cercare di unire le varie vertenze, che non è facilissimo perché università e scuola sono due mondi diversi, hanno rapporti anche diversi in termini anche numerici ed è molto difficile riuscire a mantenere un piano di non sovradeterminazione dell’una o dell’altra “categoria” studentesca. Quindi la volontà di portare avanti un progetto unitario sicuramente c’è, bisogna capire che forme e che struttura dargli e quali prospettive abbiamo. Però, secondo noi, centrale deve essere il collegamento con l’assemblea di fabbrica, chiaramente mantenendo la nostra autonomia, ma portando avanti questo percorso condiviso che è l’unico che può davvero dare dei frutti.
4. Se guardiamo all’esperienza della GKN, vediamo che quello che hanno ottenuto lo hanno ottenuto ottenute grazie alla mobilitazione diretta e dal basso degli operai e dei solidali, piuttosto che grazie alle istituzioni… Penso che questo come universitari vi faccia fare una riflessione, anche abbozzata sul “mondo del lavoro”, sulle privatizzazioni e sulle logiche del profitto (presenti anche in università), ma anche sul fatto che “la lotta paga”. Quindi cosa state ricavando dall’esperienza di contatto con gli operai GKN?
Ti rispondo più che altro a livello personale, perché ancora non abbiamo fatto un momento complessivo di analisi e una discussione collettiva su questo come organizzazione.
Secondo me ci sono vari insegnamenti. C’è un piano di formazione politica sia sui vari aspetti riguardanti il lavoro che per noi studenti possono essere poco conosciuti e sui quali non è semplice formarsi; banalmente anche capire cosa vuol dire avere un’organizzazione sindacale di riferimento e quali tipi di sindacato ci sono, la differenza con il Consiglio di Fabbrica e quelle con le altre realtà che si muovono su logiche più concertative, ecc.
C’è un piano organizzativo, perché dietro la lotta GKN c’è un discreto livello di organizzazione, questo si nota nella conduzione del presidio e credo sia un qualcosa anche piuttosto raro da vedere, così come raro è poter vivere una situazione come questa: prenderne parte sicuramente ti fa vedere delle esperienze, degli esempi che nel tuo piccolo di organizzazione puoi ripetere. Questo anche in riferimento a certe dinamiche assembleari e decisionali di rispetto tra le organizzazioni, che io ho sempre trovato molto apprezzabili in questi mesi. Sono dinamiche che come organizzazioni politiche studentesche, partitiche, ecc. in parte dovremmo anche rimettere in piedi: non è un discorso sull’unità campato in aria, però credo sia un punto sul quale converrà riflettere, sulla necessità di trovare dei momenti di convergenza effettivi al di là di questa lotta specifica.
C’è sicuramente anche un insegnamento elementare: solo nella mobilitazione ci può essere effettivamente una speranza di salvezza di fronte a una situazione come quella della GKN ma anche altre, è solo con la lotta, con un impegno costante, militante che si possono cambiare determinate sfaccettature dell’esistente. È un processo ancora in divenire, quindi dobbiamo anche capire come lo vogliamo portare avanti. Sicuramente noi ci saremo, come ci siamo stati dai primi giorni, ci staremo fino agli ultimi.
L’ultimo insegnamento, che è una riflessione aperta, è che dobbiamo renderci conto che siamo tutti parte di un processo più complessivo, non pensiamo effettivamente che quella sia una lotta geograficamente localizzata, settoriale, che riguarda un aspetto specifico, che magari ci può anche affascinare per l’autorevolezza di una lotta operaia pura, metalmeccanica (sicuramente per chi ha un certo ambito politico e teorico di riferimento può essere una fascinazione), ma capire di essere parte di un processo più complessivo è diverso. Quello che ti porta a dire “io in certi momenti di questa lotta devo anteporre il processo generale a quello particolaristico della mia organizzazione” è un qualcosa che non è scontato, qualcosa sul quale riflettere soprattutto per il futuro e intanto avere la maturità di capire quando c’è un processo fuori, una mobilitazione alla quale è necessario prendere parte, perché di mobilitazioni se ne vedono tante e spesso ti arrivano anche tra capo e collo, magari è la lotta più giusta che vuoi però ti arriva “un pacchetto già prestabilito” e tu aderisci, ci credi quanto vuoi ma non incidi effettivamente in quel processo. Un movimento che si crea e tu dal primo momento ne sei parte come organizzazione ti responsabilizza e ti costringe anche a venire a patti con la tua natura di organizzazione per esempio studentesca, a capire cosa puoi fare tutte le volte per quella lotta, a spingerti all’analisi, a capire dove puoi incidere, a vedere ogni singolo contributo che puoi dare.
Queste riflessioni sui processi sono molto importanti anche per capire dove andiamo noi come organizzazione, quali prospettive politiche abbiamo davanti nel nostro specifico ambito universitario e fiorentino.
5. E cosa invece pensate di aver dato voi alla lotta della GKN?
Credo che nel nostro paese ci sia stato un momento negli anni ‘70 in cui c’era un grande forza del movimento operaio e del movimento studentesco che erano fortemente interconnessi, quindi in quel momento la loro incisività era data anche dal movimento studentesco, dagli strumenti teorici che il movimento studentesco metteva a servizio della classe operaia. Oggi invece siamo in una fase di declino del movimento studentesco perché anche a causa della pandemia siamo praticamente ridotti ai minimi termini. Le nostre problematiche sono state organizzative, di frammentazione e credo anche, questo lo dico anche come autocritica da militante della mia organizzazione, a livello di capacità di lettura della realtà e capacità di individuare un percorso strategico da seguire. Per esempio, fare una cosa se vuoi banale come organizzare due autobus per portare gli studenti alla manifestazione contro il G20 a Roma insieme alla GKN era una cosa che non avevamo mai fatto, una cosa “fuori dal mondo”. Però facendolo ci siamo resi conto che anche in ambiente universitario c’è interesse a supportare la lotta della GKN quindi noi in primis dobbiamo essere propositivi.
La questione della frammentazione è difficile da superare: a livello teorico possiamo essere tutti d’accorso, ritenere tutti che bisogna anteporre questa lotta operaia, questa lotta che in realtà poi fa convergere tutte le lotte al suo interno ed è uno dei motori di tutte le organizzazioni in questo momento, però quando poi ti ritrovi all’atto pratico non ci riusciamo a mettere d’accordo neanche sull’organizzare un’iniziativa, e questo è un problema che noi dobbiamo oggettivamente porci.
Evidentemente non abbiamo in questo momento gli strumenti per superare questa frammentazione, credo che non ci siamo nemmeno resi conto di quanto non siamo incisivi da soli. Non dobbiamo cercare una sommatoria che non produrrebbe niente, ma una diversa visione che si fondi su una collaborazione più strutturata perché ci possono essere analisi politiche e modalità diverse per portare avanti le proprie rivendicazioni, ma, nel momento in cui il fine ultimo è lo stesso e a volte pure l’analisi, non si può divergere per ragioni particolaristiche. È una critica in primis alla mia organizzazione, ma non solo. Noi siamo militanti giovani, ma vedo che ci portiamo dietro delle pratiche, degli scazzi che sono sedimentati da parecchi anni e noi siamo figli di queste logiche e non riusciamo a uscirne, questo secondo me è drammatico. Se non riusciamo a recuperare un discorso di convergenza, non di sommatoria, io credo che non riusciremo a essere incisivi e a portare effettivamente a casa dei risultati concreti. Sono pratiche sbagliate sedimentate però siamo noi i militanti in questo momento e dovremmo avere la volontà di superare queste problematiche e queste eredità. Il punto è che ormai abbiamo le spalle al muro, quindi quanto ancora possiamo continuare a ignorare il problema? Io credo che il tempo sia finito.
6. Dopo la manifestazione studentesca del 20 novembre è uscito un articolo sulla Nazione che paragonava lo sciopero degli studenti alle piazze degli anni ’70 con operai e studenti uniti e che diceva anche che “in quegli anni non finì bene” perché si arrivò agli anni di Piombo. Un chiaro tentativo da una parte di sminuire la mobilitazione e dall’altro di creare attorno alla lotta un cordone sanitario per isolare la mobilitazione che, in un modo o nell’altro, va oltre la pura e semplice rivendicazione ma avanza e applica delle proposte politiche e più “strutturali”. Partendo dalla tua esperienza personale, come vedi il rapporto tra studenti e lavoratori, come pensi che possa proseguire e con quale fine?
Io credo che noi dobbiamo confrontarci con l’opinione pubblica: una cosa di cui ci siamo accorti con questa lotta è che noi magari come singole realtà riusciamo difficilmente a parlare alla gente, farci capire e trovare una certa condivisione. Questa lotta nello specifico riesce invece a parlare veramente a tutti e trovare un forte consenso popolare che poi magari non ti sfocia in manifestazioni oceaniche, ma sicuramente c’è un termometro a Firenze che è particolarmente elevato e c’è una condivisione della lotta che si è vista benissimo essere abbastanza forte. Quindi secondo me il fatto è che noi ora facciamo paura in quanto operai e studenti uniti. Sui tentativi di demonizzazione dei lavoratori non mi esprimo perché non vorrei parlare di cose che non conosco. Per quanto riguarda gli studenti e le occupazioni che abbiamo portato avanti all’università, devo dire che la stampa si è limitata a riportare i fatti. È stata piuttosto l’università che ci ha trattato da frange estremiste! Questo non solo nei giorni dell’occupazione ma anche dopo: nelle sedute di organo di Ateneo, alcuni nostri compagni sono stati addirittura minacciati, mettendo in discussione la loro stessa legittimità alla partecipazione a quegli organi in quanto facenti parte di Studenti di Sinistra che ha organizzato e supportato le occupazioni.
Sul piano degli studenti medi la demonizzazione si è vista palesemente, ad esempio per quella del Calamandrei: hanno cercato tutti gli appigli possibili per screditare le occupazioni quando, fino a qualche tempo fa, occupare una scuola era quasi “la norma” e si occupava anche per i motivi più banali.
Dove possiamo andare nel prossimo periodo non lo so, ma credo che in questo momento sia necessario per il movimento studentesco organizzarsi in maniera un po’ più forte rispetto allo stato attuale delle cose, darsi una linea e una strategia perché altrimenti perdiamo un’occasione – il legame con gli operai GKN – che non so se potrà ripresentarsi in tempi brevi. Questo per quanto riguarda Firenze; invece a livello nazionale, tranne a Roma, non c’è una grande mobilitazione di scuole e università. Abbiamo cercato delle connessioni con gli studenti fuori da Firenze, ma la risposta è stata veramente timida. Però è essenziale capire come portare la lotta fuori da Firenze, altrimenti se rimaniamo concentrati “nel villaggio di Asterix e Obelix” a Campi Bisenzio o nella nostra roccaforte universitaria si va poco lontano.
L’unione tra studenti e operai è fondamentale. Al di là di tutti i processi comuni che possiamo mettere in atto, dobbiamo distinguere il piano di come sviluppare il movimento studentesco, continuare a dargli incisività, cercare di fargli prendere un carattere di massa. La risposta all’ultima ondata di mobilitazioni studentesche è stata nel complesso molto positiva, ma ora il punto è capire come riuscire a massimizzare le azioni di lotta e trasformare poi questi risultati in un processo mobilitativo anche fuori da scuola e università, all’insegna della convergenza tra le varie organizzazioni politiche che sono all’interno di questo percorso.
Per quello che riguarda le mobilitazioni in università, la situazione è difficile perché il Covid ha comportato che gli atenei sono frequentati da un 1/5 delle persone che ci andavano prima, quindi è difficile coinvolgere nella lotta studenti che non siano già politicizzati
Poi c’è anche il discorso dell’appoggio e della convergenza con la lotta operaia. Cioè in questo momento credo che noi dobbiamo indirizzare una parte importante dei nostri sforzi nel far sì che questa lotta vinca, banalmente anche per ridare una boccata d’ossigeno a un paese che ne ha una necessità incredibile. Far vedere che vincere è possibile perché c’è stata una capacità di lettura della realtà lungimirante e si è guardato subito a quello che c’era anche “fuori dalla fabbrica”, trovare una convergenza tra le realtà politiche: quello che è stato fatto qui deve essere fatto altrove, non dobbiamo concepire quello della GKN come un caso isolato, ma come il primo passaggio per la ricostruzione.
7. Hai delle considerazioni finali?
Io spero che il percorso di convergenza che si è intrapreso con la GKN non termini. Non so come possa andare a finire la lotta, non voglio essere pessimista, ma neanche peccare eccessivamente di ottimismo. Credo però che una sconfitta totale non la possiamo avere, perché comunque il processo che si è svolto da luglio a oggi qualcosa deve lasciare, io non riesco a concepire un domani dove effettivamente tutto quello che è stato costruito svanisce. Quindi l’invito può essere a una responsabilizzazione nostra come organizzazioni e come militanti per cercare di far sì che quello che è stato costruito che è un primo segnale di convergenza e di percorso di mobilitazione unitario, un domani resista e vada oltre; anche laddove si vinca in GKN non deve esaurirsi ma anzi tratte maggiore forza per poi far partire nuovi focolai anche fuori. Firenze in questo momento sta dettandola linea a livello nazionale, è un esempio e questo è indiscusso perché se come realtà siamo sulla bocca di tutti come lotta che portiamo avanti, un motivo c’è e secondo me è anche da riscontrare nel percorso che abbiamo portato avanti collettivamente nel rispetto delle varie divergenze e grazie all’autorevolezza della classe operaia. Siamo un esempio oggi, ma cerchiamo di esserlo anche domani, cerchiamo di far partire processi mobilitatavi simili a quello che si è verificato qui anche altrove.
Ci sono vari modi di perdere: puoi perdere perché hai perso la singola lotta e quindi quella fabbrica chiude e non ci puoi fare niente, però tutti noi abbiamo combattuto con loro fino all’ultimo giorno gli staremo vicini e questa è una cosa che dobbiamo mettere in conto. Ma c’è anche una sconfitta politica che è quella di uscire di lì frammentati come eravamo prima, anzi peggio, portandoci dietro strascichi di litigi inutili. Oppure possiamo essere sconfitti sul piano sindacale, ma essere vittoriosi sul piano politico, per cui magari ci hanno sconfitto oggi alla GKN e abbiamo perso 500 posti di lavoro, spero che non succeda mai, ma noi ne usciamo rafforzati perché non siamo organizzazioni frammentate ma sappiamo convergere, sappiamo lottare insieme, sappiamo dare una prospettiva anche ai lavoratori perché vedere un gruppo che si muove compatto sicuramente dà una boccata d’aria non solo a noi ma anche a una classe con la quale riusciamo sempre più difficilmente a entrare in rapporto.