Whirlpool di Napoli il tempo delle parole è scaduto

Scriviamo nell’Editoriale che il grosso della classe operaia oscilla fra la sfiducia nel fatto che le organizzazioni sindacali difendano i suoi interessi e la speranza che lo facciano. Il caso della Whirlpool di Napoli non fa eccezione, anzi è esemplare di questa tendenza.

Una cortina fumogena sulla vertenza.

Il 15 ottobre Whirlpool ha confermato i licenziamenti, ma attenzione, ha posticipato di un paio di settimane l’invio delle lettere di licenziamento. Questo perché il 2 novembre (scriviamo questo articolo solo alcuni giorni prima) dovrebbe esserci l’ennesimo incontro al MISE per parlare del “progetto di reindustrializzazione” del sito produttivo. Si sa che la multinazionale americana ci tiene, sia mai, a evitare che qualcuno possa pensare che vuole scappare dopo aver ripetutamente incassato i finanziamenti pubblici!

Da dove salta fuori il progetto di reindustrializzazione? É la scialuppa di salvataggio che il governo ha preparato per i dirigenti dei sindacati confederali che stanno seguendo la vertenza, in vista del naufragio.
Il governo afferma di aver trovato una “cordata di imprenditori volenterosi” disponibili a insediarsi nello stabilimento dove ora c’è Whirlpool per realizzare solidi progetti industriali, ovviamente anche loro ben oliati con contributi pubblici. Il fatto che a garantire sia il governo Draghi, lascia ben intendere la solidità di tali progetti!
Soprattutto, però, gli operai non devono avere fretta! Devono aspettare un po’ per sapere chi forma questa cordata: per vedere qualcosa di concreto devono attendere il 15 dicembre.

Le organizzazioni sindacali sembrano quasi contente! Certo, denunciano che Whirlpool è “inaffidabile e scorretta”, hanno fatto ricorso contro i licenziamenti e affermano che i volumi d’affari di Whirlpool in Italia sono sempre talmente alti che la chiusura di Napoli è illegittima. Ma tutto sommato sposano la linea della reindustrializzazione.

Confidano di vincere il ricorso per attività antisindacale che bloccherebbe i licenziamenti fino alla fine del 2021 e, con tutta la procedura di chiusura e la liquidazione che slitta, di avere tempo fino a marzo 2022 per “valutare bene” ciò che il governo tirerà fuori dal cilindro il 15 dicembre.

Invece di riporre una scellerata fiducia nella volontà del governo di trovare una soluzione – ma più che di fiducia c’è puzza marcia di complicità – i sindacati farebbero bene a porsi subito la questione: “E se il tribunale del lavoro non dovesse accogliere il ricorso per condotta antisindacale?”.

Per tutti, l’obiettivo sembra essere tenere buoni i 340 licenziati.

La cortina fumogena sulla vertenza serve a questo, serve a creare illusioni, divisioni, diversione, confusione, incertezza e rassegnazione. Serve a tenere buoni i 340 operai licenziati e le masse popolari solidali con loro.

Che sia così lo dice il fatto che il progetto di reindustrializzazione è quanto di più indefinito esista: non tiene conto delle professionalità acquisite e sedimentate dai lavoratori, non considera il grosso problema della perdita dei posti di lavoro nell’indotto e non tiene conto del fatto che, nel nostro paese, le lavatrici servono ancora!
Al netto dei giochi di prestigio e delle cortine fumogene, la verità è che le dirigenze sindacali pendono dalle labbra del governo e la linea che promuovono è la sottomissione alle decisioni della multinazionale. Giocano sulla pelle dei lavoratori.

Whirlpool non farà un passo indietro, è decisa a chiudere lo stabilimento di Napoli. Il governo e le organizzazioni sindacali cercano solo il modo per far ingoiare, indorandola, l’amara pillola.

Per gli operai Whirlpool l’unica soluzione positiva è di tipo politico.

Nell’articolo “Whirlpool. La lotta è a una svolta” su Resistenza n.10/2021, sottolineavamo che la forza dei lavoratori sta nell’aver tenuto in mano lo stabilimento e i macchinari necessari a produrre.

Lo ribadiamo qui: sulla base di questa forza i lavoratori devono imporre la soluzione che serve. Devono mantenere in pugno la fabbrica e costringere i sindacati a mettersi realmente al loro servizio.

I lavoratori devono costringere il governo a mettere in campo qualsiasi soluzione per continuare la produzione, nazionalizzazione compresa.

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