Sulla piazza di Trieste

Sulle mobilitazioni di Trieste contro il Green Pass è stato detto e scritto di tutto. Molto di quel materiale è il frutto avvelenato del senso comune alimentato anche dalla sinistra borghese; sono opinioni, più o meno articolate e sofisticate, che discendono direttamente dalla lettura e dalle valutazioni che di quelle manifestazioni ha dato la classe dominante.
Di seguito trattiamo l’argomento da un altro punto di vista: quello di chi NON mira a preservare lo stato di cose presenti, ma vuole anzi rovesciarlo. Lo facciamo per fornire agli operai avanzati elementi utili a capire la situazione e trarre insegnamenti, o per lo meno spunti, per lottare con maggiore determinazione e efficacia.

Gli sviluppi della mobilitazione contro il Green Pass a Trieste sono la dimostrazione che quando la classe operaia si attiva, diventa immediatamente punto di riferimento per tutto il resto delle masse popolari, eleva la qualità della mobilitazione e le conferisce un connotato di classe.
A Trieste la protesta contro il Green Pass è nata come in altre centinaia di città, ma l’irruzione sulla scena dei portuali ha trasformato Trieste in un simbolo, in un esempio e una speranza per un’ampia parte delle le masse popolari.

Chi non capisce il processo che i portuali hanno innescato continua a concentrarsi su aspetti particolari (in alcuni casi veri, in altri persino inventati, scendendo sul terreno della denigrazione): “c’è un ex consigliere comunale fascista”, “ci sono gli oltranzisti cattolici”, “non sono capaci di dare seguito e sviluppare la lotta”, ecc. è tutto vero, ma sono aspetti secondari. Ciò che realmente conta è che i portuali sono scesi in campo e lo hanno fatto dispensando una grande lezione di unità e solidarietà di classe alle masse popolari e a tutti i sindacati (di regime e di base): “noi lottiamo per tutti i lavoratori, non cediamo alla proposta di tamponi gratuiti solo per i portuali”.

La simpatia, la stima, il sostegno che essi hanno raccolto in tutto il paese NON è l’indice di quanto chi li segue sia arretrato, permeabile alla propaganda dei fascisti e degli estremisti religiosi: è invece la dimostrazione del bisogno di direzione – di una direzione corrispondente ai loro interessi – che i lavoratori esprimono!
I portuali hanno riempito di contenuti e obiettivi di classe (benché obiettivi immediati) il vuoto lasciato da sindacati e partiti, associazioni e movimenti, troppo impegnati a dare credito alla campagna governativa contro i “No Vax”.

È vero, la mobilitazione dei portuali di Trieste ha mille limiti e molti di essi si sono palesati nel giro di pochi giorni.
Da comunisti li vediamo chiaramente: hanno sollevato un macigno che non sono stati in grado di sostenere fino in fondo, si sono lasciati logorare e disgregare dalle mille manovre di accerchiamento, hanno dato credito alle chiacchiere di Patuanelli.
Sono tutti limiti di tattica, che derivano da limiti di strategia. Ma i portuali di Trieste non sono – e non hanno mai preteso essere – “l’avanguardia della rivoluzione socialista”.

Si sono mobilitati su parole d’ordine di buon senso, confidando nella democrazia borghese, sognando di poter tornare al mondo “com’era prima” della crisi e della pandemia.
Nonostante ciò, il ruolo oggettivo della loro mobilitazione è andato ben oltre le loro aspettative e la loro consapevolezza: hanno messo sotto scacco Draghi e Lamorgese, contribuendo ad attivare e mobilitare gli operai di tutto il paese, di tutti i settori. La loro mobilitazione ha oggettivamente espresso una necessità politica: quella di cacciare un governo nemico degli operai, dei lavoratori e delle masse popolari.

Che i portuali di Trieste c’entrino poco o niente con la tradizione velleitaria della sinistra borghese – incendiaria a chiacchiere e pompiera nei fatti – lo dimostrano anche gli sviluppi che provano a dare alla mobilitazione: nessun appello alla “grande manifestazione nazionale”, ma l’invito a organizzarsi città per città. La loro indicazione è giusta e positiva: no ai “grandi eventi”, sì alla strutturazione capillare sul territorio.
È un insegnamento soprattutto per chi guarda con nostalgia alla stagione delle “grandi manifestazioni a Roma” (NO Debito, NO Monti day, ecc…) che non hanno prodotto risultati politici, non hanno sedimentato organizzazione, ma hanno anzi alimentato – proprio per questo – sfiducia e rassegnazione.

Chi ha l’obiettivo di combattere efficacemente contro il governo Draghi, l’attuazione del suo programma e la mobilitazione reazionaria di cui è promotore è bene che stacchi la spina alle chiacchiere dei sepolcri imbiancati della sinistra borghese e di chi pontifica sul se e sul come la lotta di classe si debba esprimere per essere “giusta”.

Le lotte della classe operaia offrono sempre insegnamenti utili per portare la mobilitazione delle masse popolari oltre il livello che spontaneamente esprime. Quella dei portuali di Trieste indica che:

– ogni protesta può (e quindi deve) confluire nel solco della mobilitazione della classe operaia;

– ogni rivendicazione può e deve alimentare la lotta politica per la cacciata del governo Draghi;

– è possibile promuovere l’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari in ogni contesto. È questo tipo di organizzazione che riempie di contenuto rivoluzionario e di prospettiva la protesta e la ribellione.

Ai portuali di Trieste, nonostante i limiti, le “ingenuità” e gli errori, l’onore di aver preso la testa della mobilitazione contro il Green Pass. Solidarietà incondizionata a loro, alle loro organizzazioni e alle masse popolari che sono riusciti a mobilitare.

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