L’assalto alla sede della CGIL del 9 ottobre, ormai è dimostrato, è stato organizzato dal Ministero dell’Interno e dalla Questura di Roma ed è stato condotto da Forza Nuova.
Esso rientra a pieno titolo nelle manovre diversive e nelle provocazioni che il governo Draghi mette in atto contro la mobilitazione delle masse popolari. I vertici della CGIL si sono prestati a questa manovra e anzi la utilizzano per dispiegare la propaganda favorevole all’unità nazionale, per isolare i lavoratori combattivi (anche loro iscritti) e per invocare la repressione delle manifestazioni.
Ciò deve spingere a riflettere sul ruolo del principale sindacato italiano e sulla sua natura: su quello che è e quello che fa.
Subito dopo l’assalto alla sede nazionale della CGIL la Direzione Nazionale del P.CARC ha emesso un comunicato di cui riprendiamo un passaggio per inquadrare il discorso:
“I fascisti codardi hanno attaccato la sede sguarnita della CGIL, non hanno assaltato la sede di Confindustria, non un Ministero o Palazzo Chigi, non il Parlamento: hanno premeditatamente scelto l’anello debole della catena del sistema politico delle Larghe Intese per fare la loro passerella e scatenare l’allarme fascismo.
La CGIL è l’anello debole del sistema delle Larghe Intese perché mentre il gruppo dirigente è piegato al governo Draghi e anzi è stato complice della sua installazione, la base è invece in ebollizione: le mobilitazioni della classe operaia contro la chiusura di aziende e le delocalizzazioni, le spinte di milioni di lavoratori che si oppongono al Green Pass e scioperano, la base che invoca lo sciopero generale nazionale contro il governo Draghi sono una contraddizione tutta interna al sistema di potere delle Larghe Intese.
I fascisti codardi hanno messo il dito nella piaga. “L’allarme fascismo” può nascondere per un po’ la piaga, ma non può sanarla. (…)
La retorica del “tutti uniti nella solidarietà contro il fascismo” è la polpetta avvelenata che i mandanti dei fascisti offrono a buon prezzo a tutti coloro che vogliono “sentirsi antifascisti”. Non partecipiamo a questo coro, anzi: no all’antifascismo padronale!
L’antifascismo si fa nelle strade, nelle piazze, nelle aziende, nelle scuole: è l’antifascismo popolare, quello che promuove l’organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari contro gli attacchi della classe dominante, per rovesciare la classe dominante. (…)
La sede della CGIL è stata assaltata dai fascisti. Se il gruppo dirigente della CGIL vuole dare un segnale vero e rompere ogni ambiguità deve promuovere lo sciopero generale, politico. Contro Draghi, contro i licenziamenti, le delocalizzazioni, contro il precariato, il Green Pass, i ricatti, l’aumento delle bollette e della benzina… questo è antifascismo. (…) Rinnoviamo la solidarietà incondizionata ai lavoratori, agli iscritti e ai delegati della CGIL. Ma il gruppo dirigente, i Landini & C., da che parte sta?”
Dal 9 di ottobre i vertici della CGIL il segnale lo hanno dato eccome, chiarissimo! Ma è opposto agli interessi dei lavoratori.
Hanno invocato lo sgombero poliziesco del porto di Trieste, hanno continuato e continuano a criminalizzare i lavoratori che scendono in piazza contro il Green Pass, hanno teso la mano a Draghi sulla riforma delle pensioni (insieme a UIL e CISL, la CGIL ha annunciato che non promuoverà nessuno sciopero).
Si sono posti senza riserve nel campo della collaborazione con Draghi nella rapina dei lavoratori e delle masse popolari!
L’uno si divide in due
Se c’è un errore che bisogna evitare, è accomunare i vertici e la base della CGIL. Sono anime e “mondi” diversi.
I vertici si fanno forti dell’attaccamento della base (una combinazione di identitarismo, orgoglio e nostalgia) all’idea di ciò che la CGIL è stata, alla storia del primo e più grande sindacato italiano. I vertici usano la base come massa di manovra per dispiegare la politica di Draghi là dove Draghi da solo non arriva, là dove da solo non riesce a dividere e a contrapporre la classe lavoratrice così bene come fa invece la CGIL.
Tuttavia i vertici della CGIL sono sempre più isolati. Non solo perché piovono disdette di iscrizione da ogni parte, ma soprattutto perché in quello zoccolo duro di lavoratori “identitari e nostalgici” si aprono delle crepe.
La maggioranza di coloro che hanno risposto alla chiamata del 16 ottobre a Roma, “contro il fascismo” non digerisce l’abbraccio di Landini a Draghi.
La maggioranza di coloro che i vertici schierano “a difesa delle Camere del Lavoro dagli assalti dei No Vax” non è affatto persuasa dalle risposte evasive alle domande sulla mancata indizione dello sciopero generale.
La maggioranza di coloro che sono mobilitati dal sindacato su mille fronti (tutti con un legame con le battaglie storiche della sinistra: contro la violenza sulle donne, contro il razzismo e le discriminazioni, per il DDL Zan, ecc.) si chiede come mai ora il loro sindacato non usa tutta la sua forza e organizzazione per la difesa dei posti di lavoro, nelle grandi vertenze dalla GKN alla Whirlpool all’Alitalia, contro le delocalizzazioni e lo smantellamento del tessuto produttivo.
Il ruolo dei lavoratori d’avanguardia
Prendiamo come esempio gli operai GKN poiché sono probabilmente la realtà più conosciuta in questo momento, benché non siano gli unici a svolgere un ruolo positivo nella relazione fra i vertici e la base della CGIL.
Da iscritti alla FIOM si sono posti in modo da non contrapporsi “all’apparato”, ma di valorizzare il sindacato ai fini della battaglia contro i licenziamenti e la chiusura dello stabilimento, anche se l’apparato ha dimostrato varie volte di non avere i loro stessi obiettivi. Ha tentato infatti di indebolire la loro iniziativa e di portare la vertenza sul “classico terreno” dei tavoli ministeriali, delle promesse di reindustrializzazione, ecc. cioè verso la “morte lenta”.
Gli operai GKN non sono usciti in blocco dalla CGIL, ma anzi hanno continuamente rivendicato la loro appartenenza e hanno lavorato ad allargare gli iscritti; hanno “fatto lavorare” l’apparato affinché contribuisse alla vertenza (ad esempio il ricorso della FIOM contro l’azienda per condotta antisindacale); hanno “usato” le assemblee dei delegati e le mobilitazioni indette dall’apparato per far conoscere la loro esperienza, i loro obiettivi, per promuovere il coordinamento con altri lavoratori e per spingere i vertici a indire lo sciopero generale.
Oggi sta a loro e agli altri lavoratori di avanguardia iscritti alla CGIL che operano in altre aziende educare e formare altri lavoratori a concepire un rapporto sano con le organizzazioni sindacali: il sindacato deve essere uno strumento in mano ai lavoratori!
Sia chiaro, per inciso, che chiedere mille volte a Landini di indire lo sciopero generale otterrà mille volte una risposta negativa. Lo sciopero generale sarà effettivamente indetto solo se gli iscritti lo imporranno nei fatti ai vertici del sindacato.
L’uno che si divide in due non significa che la base deve abbandonare il sindacato, ma che deve contenderne la direzione ai vertici.