Con il secondo turno, tenute il 17 e 18 ottobre, volgono al termine in tutta Italia le elezioni amministrative 2021. A Napoli e nel resto d’Italia, il livello del dibattito politico si è attestato su questioni secondarie (chiacchiere su verde pubblico, traffico, sicurezza, ecc.) ed è stato funzionale all’elusione del fatto che le amministrative fossero un “referendum” sul governo Draghi e sui partiti che lo sostengono.
Il risultato è però indiscutibile. L’altissima astensione certifica il distacco fra le ampie masse e il sistema politico della classe dominante e la crescente sfiducia nei confronti dei partiti delle Larghe Intese. Draghi, il suo governo, i partiti che lo sostengono escono indeboliti e frammentati. Questo è il risultato principale dalle elezioni amministrative e, in definitiva, l’aspetto che più deve interessare chi si pone l’obiettivo di cambiare il corso del paese.
Oltre a ciò, altro dato importante è quello relativo ai risultati molto modesti delle liste “alternative”, “di sinistra” e comuniste e la capitolazione delle amministrazioni arancioni e guidate dal M5S. A questi compagni e attivisti sociali, con questo comunicato, rivolgiamo l’invito a ragionare sui numeri (non sulle percentuali!) e sulle possibilità e necessità politiche (non solo elettorali) che i numeri pongono in modo chiaro, a partire da quello degli astenuti.
I risultati delle amministrative a Napoli
Per quanto riguarda le amministrative napoletane, il dato più significativo è quello dell’astensione (53%). In un raffronto dei numeri reali tra l’astensione 2021 e 2016 vediamo che questa è incrementata di 78mila unità. Con un livello tale d’astensione l’esito elettorale è stato sostanzialmente deciso attraverso apparati di consenso e di potere. Questo ha avvantaggiato nelle percentuali le Larghe Intese e in particolare la coalizione a sostegno di Manfredi (bacino di consenso PD-De Luca), anche se in termini di numeri reali i partiti delle Larghe Intese, ad eccezione di Fratelli d’Italia (che aumenta consensi in virtù della finta opposizione al governo Draghi), proseguono nella perdita di voti e sostegno delle masse popolari.
Nella coalizione di Manfredi, a ben leggere, quindi, il Partito Democratico ha perso 4mila voti ed è riuscito a vincere le elezioni solo grazie all’aggancio con forze centriste e in parte anche provenienti da Forza Italia portate in dote dal governatore De Luca. Il Movimento 5 Stelle rispetto al 2016 perde circa 7mila voti. La lista Napoli Solidale che ha raccolto Sinistra Italiana e vari pezzi fuoriusciti da Dema, ha raccolto 12mila e cinquecento voti in netta perdita rispetto al 2016 quando la lista Napoli in Comune ne raccolse circa 20mila[1]. Tutte le altre liste “piazzate” da De Luca e il suo cerchio magico, hanno raccolto complessivamente 120mila, registrando una perdita di consensi a Napoli rispetto alla tornata delle regionali che, tolti i voti del PD, era stata di 177mila voti. L’intera coalizione ha raccolto 217mila voti (62,9%), poco meno del 28% di tutti gli aventi diritto.
Nell’ambito del centrodestra, invece, Forza Italia ha perso 14mila voti. L’unica forza in crescita, in linea con i dati nazionali, è Fratelli d’Italia che ha raccolto i suoi 14mila voti nell’ambito del centro-destra, oltre ai 14mila persi da FI (parte dei quali è andata alla coalizione a sostegno di Manfredi) ci sono anche quelli della Lega, che non è riuscita a presentare le sue liste. Complessivamente la coalizione di centro-destra ha perso 30mila voti rispetto alle precedenti elezioni comunali, avendo raccolto 75mila 500 voti (21,9%) rispetto ai 100mila del 2016. Raffrontato con i numeri reali dell’astensione, la coalizione di Maresca ha raccolto poco meno del 9,8% di tutti gli aventi diritto.
La coalizione Bassolino sindaco era composta da due liste personali che hanno raccolto 17mila voti e altre tre che ne hanno raccolti poco meno di 4mila. Il totale dei voti di per Bassolino sindaco sono stati 28mila (8,2%). Raffrontato con i numeri reali dell’astensione, Bassolino ha raccolto il 3,6% di tutti gli aventi diritto.
Tra le liste anti Larghe Intese, il totale dei voti per l’elezione a sindaco di Alessandra Clemente sono 19mila e duecento (5,6%). Raffrontata con i numeri reali dell’astensione, Clemente ha raccolto poco meno del 2,5% di tutti gli aventi diritto. All’interno della coalizione la lista Alessandra Clemente sindaco ha raccolto 10mila e cinquecento voti, nettamente inferiori rispetto ai voti raccolti da Dema nel 2016 che furono 28mila. Potere al Popolo ha invece raccolto 4mila voti dimezzando il risultato raccolto a Napoli alle elezioni regionali quando raccolse 8mila voti con un’affluenza simile (non hanno invece partecipato alle elezioni comunali del 2016). La lista Napoli in Movimento (fuoriusciti M5S) non è riuscita nell’operazione che si era data, ha raccolto 2mila voti (0,6%), senza riuscire, quindi, a intercettare il voto dei delusi del M5S (il M5S, come detto, ha perso 7mila voti rispetto al 2016). Raffrontati al dato dell’astensione i voti presi da Brambilla rappresentano poco meno dello 0,2% dell’elettorato.
Il quadro politico
La vittoria di Pirro delle Larghe Intese – Il cambio di direzione della città, seppur genera un passaggio da quella che fu un’amministrazione arancione (già da tre anni quel ruolo era stato archiviato da De Magistris e i suoi) a un’amministrazione M5S-PD, mostra uno scenario di forte indebolimento e perdita di consenso delle Larghe Intese, come i numeri descritti al paragrafo precedente dimostrano. Allo stesso tempo la bandiera del PD issata a palazzo San Giacomo, dà parziale ossigeno al governo Draghi e ai suoi mandanti ma è una vittoria di Pirro perché le emergenze e il malessere delle masse popolari verso le misure antipopolari del governo cresce e l’astensione di massa alle amministrative è un chiaro segnale di sfiducia, rassegnazione e diffidenza.
I problemi che le masse popolari si trovano ad affrontare sono sempre lì, anzi si aggravano. I media di regime strombazzano la favoletta del PIL che cresce ma omettono di dire che nel frattempo il numero di persone sotto la soglia di povertà aumenta. È una situazione che mostra sempre di più e con maggiore chiarezza quali sono i due principali campi di scontro: da un lato le masse popolari, le loro organizzazioni di lotta, politiche e sindacali; dall’altro i gruppi imperialisti, i loro governi e le loro associazioni.
Hanno poco da gioire Manfredi e la sua armata Brancaleone fatta di decine di liste, gruppi di interesse, associazioni e partiti (appena la torta si rivelerà troppo piccola il suo comitato d’affari si spaccherà) perché la poltrona che dicono di aver vinto in realtà è una bomba la cui miccia non è poi tanto lunga!
M5S e la sottomissione alle Larghe Intese – Il M5S ha pagato la progressiva sottomissione al sistema delle Larghe Intese, l’abbraccio mortale con il PD e il sostegno al governo Draghi. Mentre in altre città questa disfatta si è manifestata con il dissanguamento di consensi, a Napoli tale sottomissione si è concretizzata con l’elezione in Consiglio comunale di uomini e donne che con il M5S, i Meetup e il sommovimento di indignazione e rabbia delle masse popolari contro le Larghe Intese hanno poco o nulla a che fare.
Sono stati eletti in quota M5S esponenti delle giunte De Magistris che hanno optato per il “si salvi chi può” tra le braccia delle larghe intese e altri esponenti della politica cittadina legati mani e piedi con i blocchi di potere del PD in città. Al di là dei toni trionfali di Conte, Di Maio, Fico e i vari eletti campani del M5S come Gilda Sportiello, l’unico cambiamento che questo M5S riuscirà a produrre è il cambiamento di casacca!
Serva d’insegnamento a quegli uomini e quelle donne che ancora sono iscritti e si mobilitano sotto quella bandiera, nella speranza di un cambiamento, per incanalare energie, entusiasmo e attivismo, unendosi a tutte e forze sane del paese e della città per cacciare il governo Draghi e mandare subito a casa il neoeletto sindaco di Napoli Gaetano Manfredi!
Disfatta della sinistra alternativa al PD – Fra il ridicolo e il patetico i proclami di vittoria e soddisfazione misti agli attacchi alle masse arretrate e ignoranti che si levano dalle varie organizzazioni della “sinistra alternativa al PD” e comuniste. Mentre una parte di quella sinistra è passata disinvoltamente armi e bagagli alle dipendenze del PD e del sindaco Manfredi (come hanno fatto Sinistra Italiana ed esponenti di Dema), un’altra parte (Potere al Popolo, PRC, PCI, ecc.) si è unita nella coalizione a sostegno della candidata sindaco Alessandra Clemente. Non solo nessuna di queste è riuscita a incrementare in qualche modo i voti, ma nessuna di esse è stata in grado di assumere il ruolo di alternativa credibile agli occhi delle masse popolari.
A poco servono adesso disfattismo, piagnistei, rassegnazione, delusione e rabbia verso “le masse che non capiscono”, che “votano i soliti affaristi per poi lamentarsi”, come laconicamente scritto su Facebook da Elena Coccia, consigliera comunale uscente del PRC. I risultati avvilenti in termini di voti rispecchiano una condotta avvilente delle liste e dei partiti che si sono presentati: un reiterato tentativo di rassicurare l’opinione pubblica per apparire come i “buoni amministratori”, i “bravi ragazzi” e le “brave persone” che organizzano biciclettate, rappresentano le lotte delle masse popolari nelle assemblee elettive, chiedono sorridenti il voto ai napoletani distribuendo volantini col porta a porta, fino alla sciagurata dichiarazione di Alessandra Clemente poche ore prima del voto in cui affermava di voler collaborare e non sviluppare conflitti con De Luca e la sua banda. Di questa dichiarazione la Segreteria Federale Campania del Partito dei CARC ha richiesto una rettifica pubblica. La rettifica è arrivata ma è stata peggiore della dichiarazione, dato che ne ha confermato i contenuti.
Unico effetto di questo modo di concepire la campagna elettorale è stato quello di rassicurare la borghesia più che le masse popolari, da questo dipendono i pochi voti raccolti non da altro! Le masse popolari oggi non vogliono più essere prese per i fondelli e illuse del fatto di poter votare chi gli promette di rappresentarle nelle istituzioni borghese, vogliono partecipare, vogliono uno sbocco, vogliono rompere con questo sistema politico e liberarsi di politicanti e i partiti delle Larghe Intese, altro che essere rappresentate da chi promette di dare bacetti a De Luca!
Fine delle giunte anomale e insegnamenti da trarne –Questi compagni devono interrogarsi sulle cause e motivi della fine della parabola del M5S e soprattutto delle giunte arancioni, che hanno avuto proprio nel sindaco uscente di Napoli, Luigi De Magistris, un protagonista di primo piano. La causa dell’epilogo di queste esperienze sta nell’incapacità di questi sindaci e amministratori di essere conseguenti alle promesse di cambiamento e rottura con cui avevano conquistato il consenso e l’appoggio delle masse popolari.
Tali amministrazioni sono state frutto di un sommovimento politico che aveva preso avvio a partire dal 2008, l’anno della scomparsa dai partiti della sinistra borghese “tradizionale” dalla rilevanza politica nazionale (PRC, PdCI, ecc.). Sommovimento sulla spinta del quale il M5S voleva “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, De Magistris voleva “scassare il sistema” ma hanno fallito, preda delle concezioni legalitarie e dell’idea di tenere insieme gli interessi delle masse popolari con gli interessi dei padroni e del loro Stato (vedi anche gli insegnamenti dell’esperienza di Mimmo Lucano).
Che fare ora? Organizzarsi ovunque per cacciare Manfredi, De Luca e Draghi!
Manfredi Sindaco, ma chi deve governare la città? – La “normalizzazione” di Napoli, come anche in alcune delle grandi città del paese, come detto, non toglie le castagne dal fuoco alla classe dominante. Continua ad acuirsi la contraddizione fra enti locali (fra cui i Comuni) e il governo centrale, continua a ridursi “la coperta” con cui le amministrazioni si trovano a dover fronteggiare gli effetti della crisi e delle politiche di lacrime e sangue, la disoccupazione, lo smantellamento dell’apparato produttivo.
Nella nostra città questo significa che ogni eletto e amministratore locale si troverà come prima – peggio di prima – a dover scegliere nettamente se collaborare alla rapina delle masse popolari e alla distruzione del paese o se legarsi al movimento di resistenza delle masse popolari organizzate.
È un illuso chi crede di potersi limitare a rappresentare queste battaglie nel consiglio comunale e nei consigli municipali, quello che è necessario fare è mettersi al servizio dell’organizzazione, mobilitazione, lotta e unione delle masse popolari organizzate in comitati, collettivi, coordinamenti e associazioni che individuano le misure necessarie a fare fronte a queste emergenze e le impone ai governi locali e nazionali.
Altro che dibattere sul problema della riapertura o meno del lungomare alle automobili, l’amministrazione Manfredi cosa farà rispetto alla riattivazione delle ZES (Zone Economiche Speciali) per sostenere la battaglia contro lo smantellamento dell’apparato produttivo cittadino e vertenze come Whirpool? Cosa farà delle proprie competenze di sindaco nella gestione della sanità pubblica della città o nella gestione del porto di Napoli? Che fine faranno gli spazi sociali occupati e non della città, che da oltre dieci anni hanno assunto un ruolo decisivo di stimolo alla partecipazione e protagonismo popolare? Che fine faranno i piani di abbattimento delle Vele e le clausole sociali conquistate dai disoccupati di quel quartiere? Come gestirà le emergenze ambientali di quartieri come Bagnoli[2] e San Giovanni a Teduccio?
La debolezza di Manfredi si è manifestata già prima di essere eletto, quando il governo non ha voluto fare nessuno sconto alla prossima amministrazione napoletana nonostante le sue richieste di cancellazione del debito o di promulgazione di una legge nazionale “salva-Napoli”. Più che un sindaco è chiaro che Manfredi svolgerà il ruolo di curatore fallimentare della città, privatizzando i servizi pubblici e agitando continuamente lo spauracchio della dichiarazione di dissesto finanziario.
Per questo non bisogna accordare alcuna fiducia a sciacalli del calibro di Manfredi e De Luca. Dobbiamo partire dal fatto che il periodo che abbiamo di fronte pone condizioni nuove per tutti: la prima è che per tutte le emergenze non ci sarà soluzione diversa dall’organizzazione e dalla lotta delle masse popolari; la seconda è che le organizzazioni sindacali, politiche e gli eletti nelle istituzioni, devono mettersi al servizio delle masse popolari e la farla finita con stupide concorrenze e inutili aspirazioni a rappresentare le masse nelle istituzioni. Serve un fronte anti Larghe Intese, un fronte contro Manfredi, Draghi e De Luca!
Vincere è possibile!
Ma per vincere bisogna avere una giusta (scientifica) concezione del mondo, una giusta strategia, darsi i mezzi per la propria politica e combattere fino in fondo!
Avanti nella lotta per portare le masse popolari organizzate a istituire il Governo di Blocco Popolare!
[1] Dal computo dei voti di Napoli Solidale rispetto a quelli raccolti da Napoli in Comune del 2016 vanno sottratti i voti di PRC, PCI e simili che a questo giro erano nella lista Clemente, ma vanno aggiunti quelli di transfughi Dema e cooptazioni dall’area PD.
[2] Per chi ha poca memoria. Manfredi è stato spesso oggetto di contestazione da parte dei comitati ambientali e di lotta di Bagnoli stante il suo ruolo/complicità, in qualità di tecnico e rettore della Federico II, nella cabina di regia per Bagnoli.