Sullo sciopero generale dell’11 ottobre e sulla necessità di rinnovare il movimento sindacale
La scorsa estate i sindacati di base sono riusciti a proclamare uno sciopero generale unitario per metà ottobre (originariamente per il 18, anticipato all’11). Lo sciopero non è solo la risposta all’omicidio di Adil Belakhdim, sindacalista del SI COBAS investito durante un picchetto a Novara il 18 giugno, ma anche alla crescente repressione delle lotte e sui luoghi di lavoro, agli attacchi del governo Draghi ai diritti e alle tutele, agli effetti della crisi.
Chi conosce lo stato delle relazioni fra le organizzazioni sindacali di base e la loro tradizionale tendenza alla concorrenza, la loro litigiosità e il settarismo che le caratterizza, ha certamente considerato che lo sciopero unitario fosse una dimostrazione di maturità e un’importante assunzione di responsabilità in nome degli interessi dei lavoratori.
I promotori avevano annunciato che la preparazione dello sciopero sarebbe stata occasione per svolgere assemblee nelle aziende e nei quartieri e iniziative di lotta. Questo è in parte avvenuto, ma per svilupparsi ed estendersi la mobilitazione aveva bisogno di una sintesi e di un rilancio.
A questo scopo, i sindacati promotori dello sciopero avevano indetto un’assemblea nazionale il 19 settembre, a Bologna. Ma solo cinque giorni prima, il 14, l’assemblea è stata revocata perché i gruppi dirigenti dei sindacarti di base – come dicono loro stessi – non sono riusciti ad accordarsi sulla gestione degli interventi (sic!). Non si sono cioè messi d’accordo sul numero di interventi assegnati a ogni organizzazione e hanno mandato a monte la prima e unica iniziativa unitaria nazionale di promozione dello sciopero.
Scriviamo questo articolo a fine settembre, a circa due settimane dallo sciopero. Noi abbiamo lavorato fin dalla sua indizione per farne uno strumento per alimentare la mobilitazione contro il governo Draghi, per promuovere l’organizzazione sui posti di lavoro e per far confluire sotto la direzione della classe operaia le numerose mobilitazioni delle masse popolari in corso in questi mesi. E abbiamo toccato con mano le conseguenze della condotta dei gruppi dirigenti dei sindacati di base che continuano a proclamare unità, ma si comportano all’opposto, alimentando la divisione e la contrapposizione fra i lavoratori.
Il reciproco scambio di accuse rispetto alla responsabilità di aver mandato a monte l’assemblea e la mancanza di volontà nel mettere avanti gli interessi e le aspirazioni dei lavoratori rispetto alle “piccole ragioni e ai piccoli torti”, alimentano bieche rivalità fra lavoratori iscritti a un sindacato e quelli iscritti a un altro. Altro che “solidarietà e unità”!
I gruppi dirigenti dei sindacati di base tentano di eludere le loro responsabilità moltiplicando gli attacchi contro CGIL, CISL e UIL, attacchi che mettono sullo stesso piano i dirigenti dei sindacati di regime (che sono davvero complici del governo Draghi e dei padroni) e le RSU e gli iscritti, quelli che, ad esempio, hanno scavalcato le dirigenze e fatto gli scioperi spontanei in molte aziende quando Adil è stato ammazzato. Altro che “allargare la partecipazione allo sciopero”!
Nonostante questo, tanti delegati e iscritti ai sindacati di base non hanno perso l’aspirazione a fare sciopero insieme a tutti i lavoratori e cercano di promuovere a livello territoriale quello che non è stato fatto a livello nazionale: assemblee unitarie come a Firenze (dove continua il suo percorso il coordinamento di forze sindacali “Ogni giorno Primo Maggio), a Brescia e a Torino.
Lo sciopero generale dell’11 ottobre riuscirà grazie alla loro spinta e al sostegno degli organismi operai e popolari (attivi dentro e fuori le aziende) e dei movimenti.
Noi continueremo a lavorare affinché lo sciopero contribuisca a sedimentare organizzazione; a creare e sviluppare relazioni tra le organizzazioni operaie e popolari, tra sindacati e organizzazioni politiche; a favorire l’iniziativa comune per cacciare Draghi e imporre un governo che obbedisca ai lavoratori organizzati.
Il paese è il Titanic che affonda: i lavoratori schiattano nelle stive, i padroni ballano noncuranti sul ponte. Le poche scialuppe disponibili andranno ai secondi, non ai primi. Bisogna cambiare rotta. Bisogna concentrarsi su questo e dare un taglio definitivo alle beghe da pollaio.
Per questo lo sciopero generale dell’11 ottobre (il bilancio sul lavoro preparatorio, sulla partecipazione e le valutazioni sulle prospettive) deve anche essere l’occasione per aprire una discussione franca e seria sul rinnovamento del movimento sindacale nel nostro paese.
Esso NON passa dal contendersi il primato a chi è più radicale, a chi fa più tessere, a chi mette piede in più aziende, ma passa da una sana emulazione nel promuovere nelle aziende l’organizzazione dei lavoratori, indipendentemente dalla tessera sindacale.