Almeno quattro sono le province in Toscana che risentiranno della chiusura di 161 filiali Monte dei Paschi, nel caso in cui vada in porto la così detta “operazione spezzatino”. Si tratta della fusione fra Monte dei Paschi di Siena e Unicredit; quest’ultimo ha intenzione di rilevare, però, solo la parte “buona”, i crediti inesigibili e deteriorati se li dovrà accollare una “bad bank”, cioè il Tesoro e cioè la cittadinanza italiana.
I miliardi di crediti deteriorati che si accollerà l’Ente pubblico ricadrebbero sui cittadini in forma di maggiore tassazione e minori servizi, mentre, per quanto riguarda MPS, come sempre a fare le spese saranno i lavoratori (dipendenti della banca e indotto). Si parla, infatti, di circa 5000 esuberi, senza contare il danno che la chiusura di filiali di una delle maggiori industrie della Toscana provocherebbe sull’economia in generale.
Il futuro del Monte dei Pachi si sta decidendo “nelle segrete stanze”, senza un minimo coinvolgimento dei lavoratori e delle lavoratrici, che in questi mesi hanno sentito dire dal Governo e dalle diverse parti politiche tutto e il contrario di tutto e che rischiano di perdere il lavoro da un momento all’altro.
Tra le province che risentirebbero della chiusura c’è anche quella di Siena, una città in cui governi di Larghe Intese targati PD sono fra i principali artefici dello smantellamento di MPS, ricordiamo il caso del deputato del PD Pier Carlo Padoan, che, dopo aver lavorato per la nazionalizzazione della banca, una volta eletto a Siena si dimise per andare a fare il presidente di Unicredit, ovvero della banca che è in trattativa per acquistare (e, di fatto, affossare) proprio il Monte dei Paschi di Siena.
Durante la campagna elettorale per le suppletive (si voterà il 3 e 4 ottobre), il candidato del PD Enrico Letta (che, guarda caso, non si presenta col simbolo del PD) non spende una parola sulla vicenda MPS; allo stesso tempo, come ci si potrebbe affidare alle promesse di Matteo Salvini, che cerca di cavalcare il tema per raccogliere voti? Ricordiamo che anche lui è un uomo di Draghi, lo stesso Mario Draghi che, da capo della Banca di Italia, quando MPS rilevò Banca Antonveneta, accollandosi altri 7 miliardi di debiti, non mosse un dito per impedire l’operazione ma anzi la incoraggiò!
Insomma, è chiaro che i lavoratori e le lavoratrici MPS non possono aspettarsi niente di buono da questi personaggi che hanno dimostrato nella pratica di fare gli interessi di speculatori e finanzieri, interessi inconciliabili con quelli di tutti quelli che per vivere hanno bisogno di lavorare.
Cosa fare allora? Serve che la lotta contro lo smantellamento di MPS si leghi alla lotta per la difesa dell’apparato produttivo del nostro paese, in particolare alla mobilitazione degli operai della GKN di Firenze (in occupazione da mesi, stanno dimostrando che “insorgere” possibile), della Whirlpool di Napoli, dei lavoratori e delle lavoratrici Alitalia. Serve che i lavoratori MPS prendano in mano la loro sorte -con il sostegno o meno dei sindacati- si organizzino, formando Comitati per esercitare un controllo dal basso nella gestione del capitale e del lavoro (seguendo l’esempio del Collettivo di Fabbrica della GKN), per imporre una vera nazionalizzazione, legandosi ai numerosi comitati di lavoratori della zona, come il Comitato dei Lavoratori della Scuola di Siena.
I lavoratori MPS stanno di fatto già andando in questa direzione, dato che, in occasione dello sciopero del 24 ottobre, una delegazione di lavoratori Mps in sciopero sono andati all’assemblea permanente alla GKN.
Lo sciopero del 24 settembre è stato una prima tappa di un percorso che deve continuare con la partecipazione allo sciopero generale indetto per l’11 ottobre da tutti i sindacati di base.
Vincere è possibile, serve fare come alla GKN! Per risollevare il futuro di MPS, cacciare Draghi, Letta e Padoan!