L’11 settembre 1973 Salvador Allende fu assassinato durante il colpo di stato in Cile che vide la presa del potere da parte di Pinochet, con il sostegno degli imperialisti americani. Allende era stato eletto al governo del paese tre anni prima con un programma di riforme che rappresentavano la “via cilena al socialismo”, promosso dal Partito Socialista del Cile in una coalizione dal nome Unità Popolare.
Il Governo di Allende avvio nel corso dei suoi tre anni di vita una vasto programma di riforme improntato principalmente sulla nazionalizzazione dei bacini minerari fino ad allora in mano a multinazionali statunitensi, e del comparto dei servizi (energia elettrica, trasporti, le telecomunicazioni) per poi passare ad una serie di grandi aziende. Prese il via un’ampia riforma agraria per far fronte alla povertà dei piccoli contadini e braccianti. Infine, il governo di Allende decise di non pagare più il debito enorme contratto con le banche estere. Il golpe che ha portato al suo assassinio fu orchestrato dalla CIA: gli USA non potevano tollerare la presenza di un altro paese dopo Cuba che rispondesse al blocco sovietico e mettesse in discussione l’egemonia statunitense in Sud America. Fu cosi che partì l’operazione Condor che portò al golpe col sostegno attivo di gruppi politici di estrema destra, di una parte dell’esercito cileno e di gruppi paramilitari sostenuti dalla stessa CIA.
L’esperienza del Cile di Allende offre importanti insegnamenti per chi oggi si dice comunista e per chi aspira a fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
In primo luogo l’esperienza di governo di Allende mostra che per instaurare il socialismo in un paese non è sufficiente essere eletti alle elezioni, in secondo luogo che l’instaurazione del socialismo è lotta di classe ed è quantomeno ingenuo pensare che ogni passo in quella direzione non porti la borghesia imperialista a scatenare una guerra contro chi la promuove.
Quanto avvenuto in Cile ha dimostrato anni fa quello che i comunisti italiani possono raccogliere dagli insegnamenti del vecchio PCI e in ultimo quello che anche gli elettori del M5S hanno imparato in questi anni (quello che già gli elettori di Tsipras in Grecia avevano imparato qualche anno fa). Se pur le esperienze non sono paragonabili in termini di scopo (il M5S non ha mai avuto la volontà di costruire una società socialista, ma di riformare lo Stato negli interessi delle masse popolari) lo sono per quanto riguarda il metodo con cui hanno perseguito i propri scopi.
Tutte queste esperienze hanno dimostrato che chiunque si ponga l’obiettivo di fare gli interessi delle masse popolari deve tener conto della guerra che la borghesia imperialista gli scatena contro più o meno apertamente, dai sabotaggi, ai tentativi di corruzione e manipolazione fino ad arrivare alla guerra civile.
Parlando del nostro paese, gli insegnamenti che ricaviamo sono che non ci sono vie pacifiche o di riforme strutturali al socialismo; che non è possibile praticare la via della conciliazione con gli interessi delle istituzioni come UE, BCE, NATO, Confindustria e nel rispetto di norme e prassi di cui loro stesse sono artefici. Per rompere con queste ed essere pronti a difendersi dagli attacchi e dalla guerra conseguenti è necessario darsi i mezzi per farlo. Non basta quindi raccogliere voti, avere eletti in Parlamento e neanche andare al governo. Oggi si tratta di costruire un nuovo tipo di governo che abbia come sua espressione gli esponenti di fiducia delle masse popolari organizzate, costruire e imporre la forza di nuove autorità che sono quelle degli organismi operai e popolari. Un governo che faccia affidamento su una rete di organizzazioni popolari (e il collettivo di fabbrica della GKN è un esempio concreto di organismo) e lavora perchè queste si estendano e si rafforzino può avere la forza per combattere sabotaggi e attacchi . Senza di questo, anche se si riesce a prendere in mano il governo, il potere resta nelle mani dei potentati economici e finanziari e il governo o è impotente oppure è debole ed esposto agli attacchi feroci degli imperialisti.
La storia del movimento comunista insegna, anche con i suoi fallimenti, che la rivoluzione proletaria non è un sollevamento popolare che scoppia da un giorno all’altro, ma che l’instaurazione del socialismo si basa sull’esistenza e la forza di una rete di organismi popolari guidati dal partito comunista, rete che opera con autorevolezza nelle principali aziende, luoghi di lavoro e città già all’interno della società capitalista e che costituisce l’ossatura del futuro stato socialista. Quella rete che in URSS fu la rete dei soviet e che oggi noi chiamiamo rete del nuovo potere, fatta di organizzazioni operaie e organizzazioni popolari.
È alla costruzione di questa rete che chi oggi aspira a fare dell’Italia un nuovo paese socialista deve lavorare fin da subito.
Una rete che oggi può estendersi e rafforzarsi, fare scuola pratica di comunismo e avanzare verso la costruzione del socialismo, nella lotta per imporre – e successivamente per difendere dagli attacchi che gli rivolgeranno contro i gruppi della comunità internazionale – un proprio governo di emergenza, fatto degli esponenti politici e sindacali che riesce a mettere al proprio servizio (anche da questo punto di vista la battaglia del Collettivo di fabbrica GKN è esemplificativa di quanti esponenti un singolo gruppo di operai riesce a mettere all’opera). Un governo di rottura come fu quello di Allende, ma che a differenza di quello di Allende operi principalmente per mobilitare gli organismi operai e popolari a attuare direttamente le misure, a controllare sulla loro attuazione e a difenderle, epurandolo dagli elementi più ostili presenti ai vertici delle forze armate e delle istituzioni pubbliche e lavorando affinchè ogni aspetto della società sia gestito e controllato in una certa misura dagli organismi operai e popolari. Un governo che sia difeso proprio dalle masse popolari organizzate e in primo luogo dagli operai avanzati, che nella sua difesa facciano una scuola pratica di comunismo per avanzare verso la costruzione del socialismo.