Per comprendere le dinamiche che portarono all’ottavo congresso del PCI (dicembre 1956) e all’affermazione della linea dei revisionisti moderni della “via italiana al socialismo” capeggiata da Palmiro Togliatti, è bene inquadrare questo evento, decisivo per quanto riguarda la storia del movimento comunista italiano, all’interno di un contesto generale e nazionale più ampio.
Per farlo, iniziamo dal contesto internazionale.
Con la fine della II Guerra Mondiale (1939-1945) – conclusasi per opera della vittoria sul nazismo da parte dell’URSS e sul fascismo in Italia da parte della Resistenza partigiana guidata dal PCI (1943-1945) – si verificò l’inizio di un periodo di ripresa economica in tutto il mondo. La fine della II Guerra Mondiale segnò anche la fine della prima crisi generale del capitalismo (1900-1945) e la ripresa quindi degli affari dei capitalisti. Si aprì una fase di stabilizzazione nel sistema capitalista di un nuovo ciclo di accumulazione del capitale che durò circa 30 anni, il così detto periodo del capitalismo dal volto umano (1945 – 1975). Con la vittoria dell’URSS sul nazismo e la ripresa delle lotte anticoloniali guidate dal movimento comunista a livello internazionale (1945-1960), si verificò che gran parte dei paesi dell’Asia e dell’Africa passarono sotto la direzione del “blocco socialista” e che in quasi tutti i paesi imperialisti, in particolare quelli europei, i partiti comunisti divennero il riferimento di milioni di proletari: un terzo della popolazione mondiale era diretta o comunque influenzata dal movimento comunista.
Per i paesi socialisti, nella nuova fase post bellica e alla luce della nuova situazione internazionale caratterizzata dalla ripresa dell’accumulazione di capitali e di espansione dell’attività economica dei paesi capitalisti, si trattava di elaborare una linea coerente con il corso delle cose e che servisse a consolidare le conquiste del socialismo per avanzare verso il comunismo. Per i partiti comunisti, in particolare per quelli dei paesi imperialisti, si trattava di elaborare una linea specifica per fare la rivoluzione in un paese imperialista. Ciò alla luce del nuovo contesto e del fatto che in nessun paese imperialista, nonostante la crisi rivoluzionaria (per il nostro paese la vittoria della Resistenza antifascista degli anni 1943 – 1945), i comunisti erano stati in grado di portare a termine la rivoluzione socialista.
In questo contesto, si contendevano la direzione del movimento comunista a livello internazionale due linee:
La linea di sinistra sosteneva la necessità di lottare contro l’imperialismo su tre fronti: sul fronte dei paesi socialisti, lottare per il rafforzamento delle conquiste del socialismo e per impedire che la borghesia propria dei paesi socialisti1 prendesse il sopravvento all’interno del partito e nella gestione dello Stato; sul fronte dei paesi imperialisti comprendere i limiti e gli errori della sinistra del movimento comunista che avevano impedito di condurre vittoriosamente la lotta contro la borghesia per fare la rivoluzione socialista e prendere il potere; sul fronte dei paesi coloniali o semi-coloniali continuare la lotta per la liberazione di questi paesi dall’oppressione dei paesi imperialisti facendo la rivoluzione di nuova democrazia. La sinistra però non aveva compreso il nuovo contesto (fine della prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale e apertura di una nuova fase di ripresa della valorizzazione del capitale) e, in particolare per i comunisti nei paesi imperialisti, la sinistra non fece mai proprie le scoperte del maoismo2. È in questo modo che la corrente di destra ha potuto prendere il sopravvento e affermarsi.
La linea della destra nei paesi socialisti sosteneva la linea della competizione economica e della collaborazione con i paesi capitalisti. Nei paesi capitalisti la destra del movimento comunista sosteneva la possibilità di una trasformazione graduale e pacifica della società capitalista attraverso una politica di riforme (la via pacifica e parlamentare al socialismo di Togliatti)3. Nei paesi coloniali e semi-coloniali, la destra propugnava la politica di unità senza lotta con la borghesia nazionale finendo con il sostenere questa, legata alla borghesia imperialista, anziché lavorare per costruire la rivoluzione di nuova democrazia4.
Al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (1956), i revisionisti di destra capitanati da Krusciov si affermarono. Nikita Krusciov (1894 – 1971), che fu primo Segretario del PCUS dalla morte di Stalin nel 1953 fino al 1964, promosse la linea della “distensione” dei rapporti politici, della collaborazione e concorrenza economica e politica con gli USA e gli altri paesi imperialisti. A questo fine i revisionisti sovietici promossero una vera e propria campagna di denigrazione contro l’opera di Stalin (la cosiddetta “destalinizzazione”). Krusciov diventò il capo del revisionismo moderno, chiamato così per distinguerlo dal primo revisionismo di Eduard Bernstein (1850 – 1932).
La reazione dell’ala sinistra del movimento comunista internazionale fu o tardiva o confusa. La confusione era un sintomo della debolezza ideologica della sinistra che non aveva elaborato una propria linea teorica e pratica per affrontare la situazione ed era al carro della destra. La sinistra non solo era stata colta di sorpresa dall’attacco della destra, ma si dimostrò completamente impreparata ad affrontare la lotta ideologica che era in corso. Solo il Partito Comunista di Albania (PCA) e il Partito Comunista Cinese (PCC) hanno via via compreso l’importanza vitale per il movimento comunista della lotta ideologica in corso.
Che il movimento comunista si trovasse negli anni ‘50 di fronte a problemi nuovi, determinati dal suo stesso rapido e folgorante sviluppo, vari dirigenti l’avevano detto5. Ripetutamente vari esponenti del movimento comunista avevano detto che la lotta tra le classi continuava nella società socialista, che le contraddizioni della società socialista potevano diventare antagoniste. Ma in realtà nessuno credeva potesse avvenire un rovesciamento di direzione come quello del 1956. Alla sinistra ci volle parecchio tempo perfino per riconoscere la vera natura borghese delle proposte della destra, che si presentavano come soluzioni di problemi di cui tutti avvertivano l’esistenza.
Per quanto riguarda il contesto nazionale invece, con la fine della II Guerra Mondiale assistiamo alla nascita della Repubblica Pontificia. Con l’accordo tra imperialisti USA, mafia siciliana e Chiesa Cattolica, prende avvio in Italia la direzione della Chiesa sullo Stato legale, nella fase iniziale tramite la Democrazia Cristiana: una fase che inizia dal 1947 e si protrarrà fino al 1992 (anno di dissoluzione della DC). L’Italia divenne un nuovo tipo di Stato Pontificio allargato: la Chiesa è la più alta autorità morale del regime, una specie di monarchia costituzionale senza però costituzione.; lo Stato legale opera sotto la sua alta e insindacabile direzione. La Chiesa dirige lo Stato ufficiale e governa il paese indirettamente, tramite il suo partito, la DC. La Chiesa mantiene intatta e anzi rafforza la sua struttura territoriale e di potere (curie, parrocchie, associazioni, congregazioni e ordini religiosi, scuole, strutture ospedaliere e opere pie, istituzioni finanziarie, ecc.) indipendente da quella dello Stato e in più stringe una salda alleanza con l’imperialismo americano per condurre insieme a livello internazionale la lotta contro il movimento comunista. L’imperialismo americano si installa in Italia anche direttamente, con forze proprie. La Costituzione dello Stato ufficiale è una finzione: ogni istituzione repubblicana deve fingere di prenderla sul serio (e quindi imbrogliare le masse), mentre in realtà serve solo a ordinare l’attività subordinata degli organismi dello Stato legale al volere del Vaticano. In compenso il Vaticano non porta alcuna responsabilità per le conseguenze del proprio governo. È insomma un potere irresponsabile e di ultima istanza, tacitamente accettato da tutti i firmatari del “patto costituzionale” e dai loro eredi, compreso il PCI che avvallò l’inserimento dei Patti Lateranensi in Costituzione.
Malgrado il PCI avesse assunto un ruolo di avanguardia della classe operaia e delle masse contadine sotto il fascismo e malgrado il ruolo di direzione avuto durante la Resistenza al nazifascismo (1943-1945), nel dopoguerra il PCI venne via via integrato nel nuovo regime politico. Grazie prima al suo ingresso nell’Assemblea Costituente (1946-1948) e poi alla partecipazione alle elezioni parlamentari, il PCI si avvia alla costruzione di un grande partito popolare e di massa, un partito portavoce delle lotte e delle rivendicazioni delle masse popolari all’interno delle elezioni borghesi ma allo stesso tempo un partito integrato nel sistema di potere del paese, la Repubblica Pontificia, rinunciando di fatto a promuovere la guerra contro la classe dominante avviata con la Resistenza Partigiana. Il PCI inoltre ingaggiò una lotta per sciogliere e disarmare le formazioni partigiane (maggio-giugno 1945)6 e promosse direttamente l’amnistia ai fascisti (22 giugno 1946), proposta da Palmiro Togliatti (1893 – 1964), segretario del PCI (1938 – 1964) e allora Ministro della Giustizia nel II governo De Gasperi, costituitosi a seguito del referendum del 2 Giugno 19467.
Nonostante il disarmo dei partigiani e l’amnistia ai fascisti, molti comunisti ed ex partigiani decisero di proseguire la propria opera avviata nel settembre del 1943.
Una volta che fu restaurato il potere dei capitalisti in campo economico e il vecchio Stato in campo politico, la destra fece in modo che la questione del potere fosse demandata prima all’Assemblea Costituente (1946-1947) e poi alle elezioni generali del 18 aprile 1948. Benché la lotta antifascista e la Resistenza avessero prodotto una grande maturazione politica, una generale mobilitazione e una diffusa organizzazione delle masse popolari, le elezioni vennero vinte dalla borghesia tramite la DC. Essa aveva già in mano il potere politico e nelle elezioni fece valere la forza della sua dominazione: assoluta in campo economico e forte anche in campo culturale. La vittoria elettorale rafforzò il potere della borghesia perché presso la parte più incerta delle masse popolari conferì ad esso anche l’autorevolezza della volontà della maggioranza.
Il PCI era già di fatto integrato nel nuovo regime politico instauratosi a seguito della II Guerra Mondiale.
Da cosa fu dovuto?
Dopo la Liberazione dal fascismo, dal 1945 in poi, la destra del PCI ha fatto valere tra le masse la concezione che lo scontro tra le classi antagoniste (classe operaia, altri proletari, contadini e altri lavoratori autonomi da una parte e la borghesia dall’altra) poteva e doveva essere risolto con elezioni condotte sotto la dominazione economica e politica della borghesia anziché con la instaurazione del potere politico della classe operaia. Questa non fu ancora la linea “ufficiale” del PCI ma era in sostanza la linea che emergeva dalla traduzione di una linea politica concreta attuata dal partito, manifestazione della concezione che non era possibile (secondo la maggior parte del gruppo dirigente del PCI) passare direttamente dal fascismo al socialismo, che era necessaria una tappa intermedia, detta nuova tappa della rivoluzione democratica, completamento della rivoluzione democratica o democrazia progressiva.
Essa era in contrasto con le Tesi di Lione del ’26 che (tesi 4 del cap. 4) affermavano che l’unica rivoluzione possibile in Italia era la rivoluzione socialista e denunciavano espressamente (tesi 26 del cap. 4) il pericolo della deviazione di destra espressa nella proposta della Costituente, una linea che serpeggiava nel PCI già dagli anni ‘30. Nonostante questo nel partito la sinistra non aveva condotto una lotta aperta contro la concezione della Costituente. Per presentare una facciata di apparente unità e per indifferenza ai problemi “teorici”, la direzione del partito l’aveva semplicemente condannata come concezione contraria alla linea del partito e accantonata. Tuttavia la destra aveva tacitamente fatto rivivere proprio questa concezione nell’interpretazione e attuazione della linea del Fronte popolare lanciata dal VII Congresso dell’Internazionale Comunista (1935) ed era poi riuscita a far valere in parte questa linea nell’orientamento dato al movimento antifascista (composizione e linea dei Comitati di Liberazione Nazionale – CLN) e in particolare al movimento partigiano (politica di classe e formazione politica delle forze armate). La fece valere in modo più ampio e aperto subito dopo la Liberazione: come abbiamo già detto, disarmo dei partigiani, scioglimento delle istituzioni statali costituite nella lotta partigiana e durante l’insurrezione (CLN e altri), riconoscimento dell’autorità delle istituzioni del vecchio Stato e del regio governo di Roma, reintegrazione ai loro posti (salvo l’epurazione di qualche individuo) della burocrazia, della magistratura e delle forze armate del vecchio Stato, rispetto della proprietà dei vecchi padroni sui grandi mezzi di produzione (fabbriche e terra) e sulle banche, rispetto delle proprietà personali dei ricchi, deviazione e repressione delle tendenze insurrezionali espresse dalle masse nei momenti di maggiore mobilitazione.
Si arrivò all’ufficializzazione della linea della “via italiana al Socialismo” e delle “riforme di struttura” quindi con l’ottavo congresso del PCI del dicembre del 1956. La linea di Togliatti trovò strada anche nell’elezione alla presidenza della Repubblica del cattolico di sinistra Gronchi, votato da socialisti e comunisti, che fu preludio nel gennaio del 1956 dell’astensione del PCI nel voto di fiducia al governo Segni: il PCI tentò cosi di dimostrare la propria disponibilità ad una eventuale “apertura a sinistra” del governo democristiano. La speranza di portare il PCI al governo del paese prendeva sempre più piede nonostante Alcide De Gasperi qualche anno prima (1947) estromise i comunisti dal governo.
Ma il processo che portò all’affermazione definitiva della linea dei revisionisti non fu affatto pacifico.
Nel luglio del 1954 l’ex partigiano Giulio Seniga, vice-responsabile della sezione vigilanza di cui è responsabile Secchia, abbandona il partito con documenti e danaro e invia una lettera alla Direzione del partito, ma nominalmente a Secchia, in cui denuncia la politica seguita dalla destra e chiede proprio a Secchia di mettersi apertamente alla testa della sinistra e di dare battaglia. Di lì a qualche mese altri membri autorevoli del partito diffondono ai delegati alla IV Conferenza Nazionale del PCI (Roma, gennaio 1955) una lettera aperta firmata “I compagni di Azione Comunista”8 che denuncia la linea della destra e lancia ai compagni l’appello alla lotta contro di essa. Sono solo i due episodi più clamorosi, la punta di un iceberg costituito da mille segni di insofferenza per la direzione della destra, che si manifestano nel partito. Per tutta risposta Togliatti fa approvare l’allontanamento di Secchia dalla carica di vicesegretario (che condivideva con Longo) e dalla Direzione. Da qui in poi la direzione del PCI attuò una politica di emarginazione dei vecchi dirigenti formatisi durante la lotta clandestina al nazifascismo, provvedendo alla loro sostituzione con elementi più giovani e già formati e in sintonia con la nuova concezione del Partito togliattiana, ossia quella del partito di massa e che basa la propria attività principale sulla partecipazione alle elezioni. Dal giugno del 1956 inizia la pubblicazione del periodico Azione Comunista10, firmato da Luciano Raimondi, ancora direttore della Scuola Convitto Rinascita, e da Bruno Fortichiari, membro del primo Comitato Esecutivo del partito eletto il 21 gennaio 1921. Solo in luglio Raimondi viene espulso dal PCI nonostante il voto contrario della Cellula Zdanov di cui era membro. Contemporaneamente viene annunciata l’espulsione di Fortichiari e di Seniga (che ha avuto nel frattempo vari incontri con dirigenti del PCI, compreso Secchia). Tra l’estate e l’ottavo congresso è uno stillicidio di espulsioni di seguaci della linea di sinistra. Esse continuano anche dopo il congresso fino a saldarsi con quelle dei “filocinesi” dei primi anni ‘60. Molti compagni se ne vanno volontariamente, si dimettono, non rinnovano la tessera. Il partito diventa sempre più omogeneo alla concezione revisionista che lo guida: quella delle riforme di struttura prima e poi del compromesso storico con la DC, della solidarietà nazionale con la DC, ecc. Da un punto di vista organizzativo il PCI cambiava in conformità alla linea che stava assumendo. Il nuovo statuto proposto da Luigi Longo, sodale di Togliatti, recitava nel suo preambolo “il Partito Comunista italiano è l’organizzazione politica di avanguardia della classe operaia e di tutti i lavoratori i quali, nel pieno spirito della Resistenza e dell’internazionalismo proletario e nella realtà della lotta di classe lottano per l’indipendenza e la libertà del paese, per l’edificazione di un regime democratico e progressivo”. Lo stesso Togliatti affermò, prima dell’ottavo congresso del 1956, al suo rientro da Mosca e dopo aver divulgato il “rapporto segreto” su Stalin9 in cui Nikita Krusciov faceva della denigrazione di uno dei principali dirigenti del movimento comunista internazionale lo strumento per affermare la linea dell’ala destra del Partito Comunista dell’URSS, che si potesse deviare dal modello sovietico (Intervista a Nuovi Argomenti – estate 1956).
Da qui, prese più forza l’opera di epurazione degli elementi di sinistra all’interno del PCI, l’ottavioCongresso segnò l’apertura al partito sulla base della raccolta di voti e consensi e non più sulla base dell’adesione alla causa.
In conclusione, con l’ottavo Congresso del dicembre 1956 la destra del PCI arrivò a proclamare apertamente che attraverso le riforme di struttura all’interno dell’ordinamento capitalista si poteva instaurare il socialismo in Italia (via parlamentare al socialismo, via elettorale al socialismo, via democratica e pacifica al socialismo, riforme di struttura). Essa però poté proclamare apertamente questa linea quando la sua forza nel partito venne accresciuta dalla vittoria dei revisionisti moderni nell’URSS e in gran parte del movimento comunista internazionale10. L’affermazione della destra poggiava principalmente le sue basi sulla debolezza della sinistra, priva di una propria linea teorica e pratica e completamente impreparata per condurre una lotta ideologica all’interno del partito per isolare e correggere gli errori di concezione e ideologici, che diressero le posizioni e la pratica del PCI. Questo passaggio del vecchio PCI è illustrato nello scritto Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (in Opere di Mao Tse-tung , vol. 19). Con questa dichiarazione la destra passò dal disarmo di fatto del movimento comunista al suo disarmo anche ideologico, alla sua corruzione e disgregazione.
Note
1 La natura particolare della borghesia nei paesi socialisti è il 3° apporto del maosimo trattato in La Voce del (n)PCI 10, pag. 30 – 33.
2 Gli apporti principali del maoismo al marxismo-leninismo (per questi apporti si parla di marxismo-leninismo-maoismo) sono sei: 1. La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia universale della rivoluzione socialista, anche nei paesi imperialisti: per sua natura la rivoluzione socialista non scoppia e non può scoppiare; 2. La rivoluzione di nuova democrazia nei paesi semifeudali è una componente della rivoluzione socialista; 3. La lotta di classe nella società socialista è indispensabile per condurre avanti la transizione dal capitalismo al comunismo. Nei paesi socialisti la borghesia non è costituita principalmente dagli eredi delle vecchie classi sfruttatrici: è costituita da quei dirigenti del Partito comunista, dello Stato proletario e delle altre istituzioni sociali che danno ai problemi di sviluppo della società socialista soluzioni ispirate dal sistema sociale e dall’esperienza dei paesi capitalisti; 4. La linea di massa è il principale metodo di lavoro e di direzione del Partito comunista verso le masse popolari. Essa consiste nel mobilitare in ogni ambito la sinistra perché unisca a sé il centro e isoli la destra; nell’individuare le tendenze positive (quelle che vanno nell’interesse particole strategico delle masse popolari) esistenti in ogni ambiente, nel sostenerle e far sì che prevalgono sulle tendenze negative che portano al consolidamento del potere della borghesia; 5. La lotta tra le due linee nel Partito è il principio per lo sviluppo del Partito e la sua difesa dall’influenza della borghesia. Ad ogni passo dello sviluppo del Partito le scelte si riassumono in due vie e in due linee: una che fa avanzare la rivoluzione ed esprime l’interesse del proletariato e l’altra che frena la rivoluzione ed esprime l’influenza della borghesia. È indispensabile individuare le due linee e far prevalere la linea rossa; 6. I comunisti non sono solo il soggetto (i promotori e dirigenti) della rivoluzione socialista: essi sono anche oggetto della rivoluzione socialista. Ogni persona che aderisce al Partito comunista è quello che è, ma è anche quello che non è e che può diventare grazie all’azione del collettivo. Ogni comunista deve essere disposto a trasformare la propria concezione del mondo, la propria mentalità e in una certa misura anche la propria personalità per svolgere con maggiore efficacia il suo ruolo di promotore e dirigente della rivoluzione socialista: è la riforma intellettuale e morale (RIM) che fa parte della formazione permanente che il Partito dà a ogni suo membro.
3 Concepire la possibilità di un passaggio graduale e pacifico attraverso riforme di struttura dalla società capitalista al socialismo era la stessa linea dei primi revisionisti della fine del 1800 (Bernstein & C.) che aveva portato alla disfatta i partiti socialdemocratici dei paesi imperialisti.
4 A tal proposito vedi La Voce 68, pagina 50.
5Vedi Stalin Problemi economici del socialismo in URSS, 1952
6Già nel 1960 la brigate in varie zone si ricostituirono sostanzialmente armate.
7Sulle ragioni per cui la destra del PCI si affermò sulla sinistra, vedi La Voce 26 del (n)PCI, Pietro Secchia e due importanti lezioni.
8A questo proposito vedi La Voce del (n)PCI 4 – pagg. 39-46
9Nel 1956 uscì sulla rivista «Nuovi Argomenti» (con la data maggio-giugno), il testo dell’intervista a Togliatti Nove domande sullo stalinismo, che sarebbe divenuta immediatamente un documento della massima importanza in relazione alle conseguenze del processo di destalinizzazione, non solo in Italia. L’intervista a Togliatti fu pubblicata in anteprima su «l’Unità» il 17 giugno 1956.
10Questo passaggio del vecchio PCI è illustrato dal PCC nello scritto Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19).