Draghi, 6 mesi sono già troppi

I primi 6 mesi di governo, Draghi li ha passati:

– a cercare di tenere insieme una maggioranza che sta su con lo sputo. Tranne che sul mantenere in vita questo governo i partiti sono, infatti, in disaccordo su tutto;

– a perseguitare e reprimere le avanguardie di lotta (dai lavoratori della logistica del SI COBAS ai portuali di Genova);

– a imbastire il bluff del PNRR, una (fittizia) montagna di soldi promessi in prestito all’Italia dalla UE e non ancora arrivati, che aggravano la sottomissione del nostro paese alle istituzioni finanziarie e speculative internazionali senza avere, peraltro, alcuna ricaduta pratica nell’economia reale.

In 6 mesi, Draghi non ha risolto nessuna delle contraddizioni che rendono instabile il suo governo (vedi “Draghi è una tigre di carta. Il punto sulla situazione politica” su Resistenza n. 7-8/2021), ma non poteva più rimandare l’attacco ai diritti, alle tutele e a quanto rimane delle conquiste delle masse popolari. Doveva trasmettere un segnale forte e chiaro ai padroni e ai banchieri che l’hanno installato…. e da luglio il segnale è partito!

Con la riforma della giustizia (riforma Cartabia) Draghi strizza non uno, ma tutti e due gli occhi alle organizzazioni criminali e sdogana definitivamente il malaffare e il crimine come condotta “abituale e lecita” della classe dominante: l’impunità per i ricchi è garantita ora anche nella forma, oltre che nella sostanza. Draghi ha fatto, in qualche mese, ciò che in decenni non era riuscito a Berlusconi! Ma questa è solo una delle manifestazioni della linea di governo tutta incentrata sulla “guerra contro chi lavora”…

Lo sblocco dei licenziamenti, attivo formalmente dal 1 luglio, ha avuto la funzione di un “libera tutti”: i padroni hanno iniziato a fare alla luce del sole e su larga scala quello che nei mesi precedenti – quando i licenziamenti erano formalmente “bloccati” – facevano di soppiatto e in misura ridotta. Il risultato è una catastrofe occupazionale, con i lavoratori completamente abbandonati a loro stessi dai vertici dei sindacati di regime (CGIL, CISL, UIL, UGL) che piangono lacrime di coccodrillo. I padroni, per lo più fondi di investimento o multinazionali straniere (fondo statunitense Melrose per la GKN, fondo tedesco Quantum Capital Partners per la Gianetti Ruote, il colosso USA Whirlpool, il colosso franco-indiano ArcelorMittal), licenziano a rotta di collo. In alcuni casi, invece, come per la ex-Embraco di Riva di Chieri o Alitalia, i licenziamenti arrivano dopo anni di promesse, tavoli, trattative e “piani di salvataggio” da parte dei governi che si sono succeduti.

La fuga di Stellantis (prima FIAT e successivamente FCA) dalla produzione di auto in Italia, dopo miliardi e miliardi di finanziamenti pubblici incassati, è solo il prossimo, annunciato, cataclisma occupazionale.

In tutto ciò – al netto delle tante altre situazioni che qui non citiamo – il governo Draghi non se ne sta certo con le mani in mano, ma opera attivamente in favore di padroni e speculatori!

Dove non favorisce direttamente licenziamenti e delocalizzazioni procede con lo smantellamento delle conquiste e delle tutele ottenute dalle masse popolari con le lotte dei decenni passati e con la sperimentazione di nuove forme di discriminazione sociale. L’introduzione del Green Pass è un esempio chiaro.

Il Green Pass non è una misura sanitaria, ma politica; è uno strumento per alimentare divisione e contrapposizione fra masse popolari e per introdurre la discriminazione come strumento ordinario di controllo sociale, di governo della società e di repressione. Le partecipate manifestazioni contro il Green Pass, organizzate fin dal 24 luglio scorso, sono state subito oggetto di criminalizzazione da parte dei media di regime, ma è soprattutto nelle applicazioni “pratiche” di questa misura che emerge in maniera lampante la sua natura reazionaria.

L’obbligatorietà del Green Pass per accedere alle mense aziendali è chiaramente uno strumento di ricatto contro i lavoratori dipendenti, è l’anticamera del demansionamento e del licenziamento discriminatorio.

Con questa imposizione, sempre che la mobilitazione non costringa il governo a fare marcia indietro, dovranno fare prestissimo i conti anche gli insegnanti, mentre per ora è solo “la bella stagione” a mitigare in parte l’ulteriore batosta inferta a ristoratori, commercianti, baristi, ecc. Tutto questo quando interi settori delle attività sociali e sportive (piscine, palestre, campi sportivi, ecc.) sono preclusi ai ragazzi delle masse popolari che non si vaccinano o non possono pagarsi il tampone (o meglio la sequela di tamponi). Lo stesso accade per cinema, teatri, eventi culturali e spettacoli.

A chi non indossa gli occhiali della propaganda di regime, per la quale “il Green Pass è uno strumento per limitare i contagi e spingere la popolazione a vaccinarsi”, appare evidente che la questione è un’altra.

Il governo Draghi non sta facendo nulla per fare fronte alla pandemia, anzi impone misure che la alimentano. Un esempio: il 7 agosto l’INPS ha comunicato che per i lavoratori dipendenti il periodo di quarantena non sarà più riconosciuto come malattia. Tradotto in parole povere: chi vuole osservare l’isolamento, perderà lo stipendio. Un modo eccellente, quindi, per indurre i lavoratori – che non vivono certo di rendita – a sottrarsi alla misura sanitaria più efficace, per ostacolare il tracciamento dei positivi e alimentare, di conseguenza, i contagi!

Tutti coloro che hanno svolto un ruolo in difesa dei posti di lavoro, della sanità pubblica, della scuola pubblica, dei trasporti, contro le speculazioni e la devastazione ambientale – o che solo hanno avuto interesse a comprendere quali siano stati gli effetti delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni – sanno bene che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è uno strumento a vantaggio esclusivo dei capitalisti.

La questione che qui ci preme affrontare è che nessun gruppo di lavoratori, nessun settore delle masse popolari può fare fronte da solo, singolarmente, all’attacco in corso. Non solo, posto che mille mobilitazioni pongono direttamente o indirettamente la questione della cacciata di Draghi, è urgente e necessario ragionare dell’alternativa per evitare che le mobilitazioni si esauriscano e per dare loro, invece, slancio e prospettiva.

I tanti motivi per cui è necessario cacciare Draghi hanno una sintesi politica che riguarda il presente e il futuro del governo del paese e che chiama direttamente in causa la rinascita del movimento comunista nella combinazione di due movimenti:

– sostenere, alimentare, rafforzare e orientare ogni mobilitazione contro Draghi e contro le misure che il suo governo vuole imporre;

– usare la mobilitazione quella mobilitazione per rafforzare la rete di organismi operai e popolari, capace di imporre un proprio governo di emergenza.

Difendersi con ogni mezzo dalle manovre del governo Draghi e contrattaccare: imporre il governo che serve gli interessi delle masse popolari deve diventare l’obiettivo comune di ogni mobilitazione.

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