Crisi climatica: non si può più rimandare

L’estate 2021 è stata caratterizzata da un salto di qualità nella crisi ambientale. Le temperature elevatissime registrate a giugno in Canada, dove si sono toccati i 50° e dove imponenti incendi hanno devastato intere aree del paese, hanno fatto da prologo a un’ondata di calore eccezionale che ha investito anche i paesi europei.

Incendi di dimensioni e vastità eccezionali hanno investito l’Europa dall’Italia alla Grecia fino alla Siberia, dove dall’estate 2019 si ripetono disastri fino a ora sconosciuti. Uragani e tempeste devastanti stanno ormai diventando ordinari anche alle nostre latitudini.

Assistiamo a una polarizzazione climatica che è segnale del generale aumento della temperatura terrestre, determinata da quelle che genericamente sentiamo definire “attività umane”. Una definizione generica e che si presta a fraintendimenti, che lascia intendere che tutti, indistintamente, avremmo colpa di quanto accade. Com’è facile comprendere, se tutti sono responsabili finisce che alla fine nessuno lo è, che tutto si riduce alla fatalità inevitabile e non risolvibile.

Mettiamo in chiaro allora quali sono realmente le attività umane che determinano un tale disastro. In fin dei conti viviamo e siamo attivi su questo pianeta da millenni, ma solo da poco più di cent’anni abbiamo iniziato a devastarlo.

L’inquinamento non è frutto di singoli e irresponsabili comportamenti umani slegati l’uno dall’altro. Ognuno di noi compie particolari azioni, ma queste vanno sempre considerate guardando bene al contesto in cui sono inserite e da cui sono influenzate, se non determinate. Per capire cosa accade dobbiamo partire dal fatto che siamo in un sistema che in ogni suo aspetto mette al centro il profitto dei capitalisti. Questa legge suprema regola il funzionamento della società, è il suo motore, che ci piaccia o no. Quindi la soluzione del problema non è appellarsi alla buona volontà di ciascuno di noi.

Dalla produzione di merci al trasporto, fino al consumo e allo smaltimento di ogni prodotto, tutto è regolato dal principio dell’accumulazione continua del capitale.

Nella produzione di oggetti e servizi, come nello smaltimento dei rifiuti oggi la tutela ambientale è solo un costo. Uno dei motivi che si cela dietro alle delocalizzazioni di aziende da un paese all’altro, per esempio, è la ricerca di contesti dove sono minori i vincoli ambientali da rispettare.

Dobbiamo dire che la consapevolezza di quanto l’avidità di questo sistema sia alla base del disastro climatico e ambientale aumenta e si fa sempre più diffusa.

Le denunce delle malefatte delle grandi compagnie e industrie multinazionali si sprecano. Giustamente i governi dei paesi più sviluppati e le istituzioni internazionali vengono accusati di non fare abbastanza per arginare il problema e invertire la rotta e, a fronte delle mobilitazioni crescenti, periodicamente vengono promossi grandi summit internazionali sul clima, ultimo della serie quello del G20 a Venezia del luglio scorso. Eventi di facciata, costruiti per trasmettere l’impressione di cambiare tutto mentre non si cambia niente.

D’altra parte non può essere altrimenti finché la legge che domina resta quella del massimo profitto e della lotta senza quartiere fra i diversi capitalisti per accaparrarselo.

I paesi imperialisti che oggi dirigono il mondo, con i relativi organismi internazionali e finanziari che esprimono (ONU, FMI, UE ecc.) sono i garanti di questo sistema e non hanno intenzione alcuna di modificarlo.

L’unica soluzione è spezzare questa catena a partire proprio dai paesi imperialisti, che la determinano e dirigono. La cura globale per i malanni del pianeta è instaurare il socialismo nei paesi a capitalismo avanzato.

Perché proprio il socialismo?

Perché significa puntare a produrre solo quello che democraticamente e collettivamente si decide che serve e nella quantità che serve, eliminando il profitto dalla produzione e distribuzione dei beni e servizi, la tendenza allo spreco e al consumismo. Perché significa eliminare la concorrenza, permettendo di sviluppare la cooperazione, utilizzando nella produzione i metodi più avanzati disponibili anche in materia di tutela ambientale. Perché significa pianificare il risanamento e la tutela dell’ambiente, dedicare a questo le necessarie forze e risorse. Perché significa preservare il benessere della collettività ed educare ogni singolo a una responsabilità maggiore anche nei suoi comportamenti individuali.

Queste sono le basi concrete di una soluzione che non cade dal cielo, ma che si costruisce. Non abbiamo più tempo per rimedi che non siano radicali.

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