Intervista a Massimiliano Morosini

Massimiliano Morosini, Consigliere all’VIII Municipio di Roma dal giugno 2016 all’aprile 2017

Dai risultati elettorali alle elezioni politiche del 2013 a quelli del 2018, passando dalla vittoria alle amministrative del 2016 a Roma e Torino: per il M5S sono state occasioni perse per realizzare i programmi e le promesse elettorali. A nostro avviso, un primo limite da cui dipende questo esito, è il legalitarismo: pensare che per rimettere in sesto il Paese a favore degli interessi dei lavoratori bastasse applicare leggi buone e giuste, al massimo farne altre, abrogare le leggi sbagliate e a favore dei ricchi e disonesti. Questa concezione ha significato legarsi le mani… che ne pensi?
La questione è così, ma penso che nel M5S sia mancato proprio l’interesse a fare una politica in difesa dei diritti delle classi popolari. E infatti il messaggio che passava era soprattutto che bisogna essere onesti, perché l’onestà paga. Ma l’onestà era vista, nella stragrande maggioranza dei casi, come rispetto della legge, senza considerare l’origine di classe della legge, da dove proviene la legge: perché una norma può essere prodotta dai cosiddetti “poteri forti” oppure prodotta in un ambito progressista e allora avrà un altro significato, un altro approccio al problema. La legge in quanto tale, solo perché norma formale, non è che deve essere rispettata; deve essere rispettata se è giusta e se tutela gli interessi della moltitudine.
Poi, si sono creati questi equivoci perché va bene che vuoi abrogare delle leggi e promuoverne altre di migliori, però, seppur il successo elettorale c’è stato e dal 25% del 2013 sei passato al 33% del 2018 sei il partito di maggioranza relativa, vuol dire che l’altro 67% non sta dalla tua parte. Quindi, o crei alleanze oppure secondo me sarebbe stato meglio non andare al governo e continuare a fare opposizione, anche se in Parlamento detieni la maggioranza.

Invece un’ipotesi di un governo di minoranza, non è mai stata presa in considerazione?
Il governo di minoranza probabilmente non sarebbe passato… Il M5S non aveva la capacità né politica né organizzativa per metterlo in piedi.
Questo per un “difetto di origine”: il M5S non ha quadri militanti e nemmeno un vertice di partito in grado di svolgere i ruoli necessari, non c’era una cultura politica sufficiente per poter fare un’operazione del genere. Però avevano le condizioni, che si erano già create nella legislatura precedente, di fare opposizione, ma da una posizione di forza.
Con i due governi Conte, prima con la Lega e poi col PD, il M5S è passato dal 33% a meno della metà rispetto a un elettorato potenziale. Vediamo alle prossime amministrative di Torino e Roma che risultato ci sarà, ma presumo che non sarà edificante.

Chiaro che il governo di minoranza presupponeva una volontà politica che poi abbiamo visto non esserci stata. C’erano però le condizioni politiche, indipendentemente da Di Maio, Di Battista, ecc… Avrebbe significato per il M5S avere dalla sua parte praticamente tutto il Paese, o comunque una parte consistente dei lavoratori, che ribolliva. E pure la possibilità di condizionare le altre forze politiche, non scordiamoci che la Lega fece la campagna elettorale del 2018 cavalcando temi sociali, per esempio contro la Riforma Fornero. Un governo di minoranza avrebbe significato per il M5S cercare – e ottenere – la maggioranza provvedimento su provvedimento.
Non c’era la capacità, né l’intelligenza, né la formazione per fare tutto questo. Ci vogliono dei requisiti, che sono mancati al M5S. Facendo opposizione dura si sarebbe anche potuti crescere, facendo aumentare ulteriormente i consensi, avrebbe pure potuto continuare facendo questo tipo di attività. In quel momento tutti i partiti delle Larghe Intese erano in una fase di estrema debolezza…

Ecco, qui inseriamo un secondo elemento, il conciliatorismo: anziché alzare la posta facendo valere il suo peso elettorale, il M5S ha cercato di salvare “capra e cavoli”. Ma come si fa a mettere insieme gli interessi dei Benetton e quelli delle vittime del Ponte Morandi, gli interessi di chi devasta l’ambiente e quelli delle masse popolari e delle comunità locali?
Si, il M5S è stato forte fino a quando a espresso una linea politica di rottura rispetto al sistema ma quando è andato al governo non ha più saputo e voluto esserlo.
Poi è chiaro, c’è stato un abbandono da parte della base, di quei militanti che avevano radicato nei territori il M5S. Alcuni principi originari, giusti o sbagliati che fossero, rappresentavano quei valori che davano un’identità: ma poi il Movimento si è staccato da tali principi ed è diventato un partito come tutti gli altri, di carattere un po’ centrista… non dico democristiano ma siamo là.
Questa nuova identità ha fatto allontanare tutti coloro che si erano fatti in quattro per costruire il M5S nei territori, quelli che avevano portato i primi risultati, l’attivismo più convinto… gente che era disposta, prima ancora del M5S, come “Amici di Beppe Grillo”, a formare le liste alle amministrative per prendere l’1, il 2, il 3%; quella parte si è dileguata perché il M5S aveva parole d’ordine e valori che sono stati gettati alle ortiche.
Per esempio la gestione del comune di Roma: la partecipazione popolare se la sono bellamente dimenticata, la democrazia diretta non l’hanno mai applicata; c’è una autoproclamata Principessa che si è barricata dentro la torre d’avorio del Campidoglio insieme ai suoi più intimi consiglieri del “raggio magico” e hanno gestito da lì il Comune.

Questo è quello che è successo un po’ dappertutto, a Torino e ovunque vai…
I rapporti con i cittadini… dicevamo “siamo i portavoce dei cittadini” ma quando sono stati eletti non sono stati più portavoce. Non ascoltavano più non solo i cittadini, ma nemmeno la base degli attivisti, che era la principale forza del Movimento, la sua spina dorsale… ecco, sono stati presi e messi in un angolo, soprattutto quelli che erano più critici.
Da una struttura di rottura a una struttura di gestione del potere, la trasformazione è stata questa.

C’è stato proprio un problema di corruzione…
Sì, di corruzione “ideologica”.

C’è infine una terza questione che non riguarda la corrente di destra nel movimento, ma quelli come te che si sono battuti contro la deriva… ed è la sfiducia nelle masse popolari, sfiducia di poter essere vento di cambiamento facendo leva sul popolo che vi aveva sostenuto… non avere fiducia in questa forza è stato alla base della deriva di cui parlavi ora.
È una fiducia che non c’è mai stata… in un meccanismo in cui ci si chiude nel palazzo a decidere, tutta la retorica sulla partecipazione svanisce… Quindi o è stata un gigantesco abbaglio oppure qualcuno ha messo un coperchio sopra tutto il malcontento popolare che si stava esprimendo e lo ha chiamato M5S, perché altrimenti probabilmente questo malcontento avrebbe trovato altre strade.
Questo Grillo lo ha detto chiaro e tondo, tempo fa, in un post sul suo blog: il M5S ha posto freno all’esplodere di fenomeni ultra reazionari come nell’est Europa. Questo non lo so se è vero, però effettivamente c’è stato più di qualcuno che ha riconosciuto al M5S il ruolo soprattutto di “pompiere”…

La classe dominante manovra e trama, ma indicare il M5S come il frutto di un complotto di UE, Confindustria, USA, ecc… significa dire che si sono creati loro stessi un fenomeno che gli ha creato ben più problemi dei vantaggi che pensavano di ricavarne…
No certo, che si tratti di un complotto dall’alto proprio non esiste, ma è vero che quella che doveva essere una “rivoluzione gentile” ha azzerato i conflitti, perché poi tutto quello che era conflittuale doveva confluire all’interno di organismi istituzionali che però sono diretti dalla classe dominante e non da forze popolari…
Mi ricordo Di Maio che voleva l’impeachment per Mattarella e pochi giorni dopo è andato a inginocchiarsi a Canossa. Stessa cosa per l’acqua pubblica e via dicendo… tutta una serie di cavalli di battaglia sulla base dei quali il movimento ha preso voti, sono poi stati presi e gettati alle ortiche. Credo che se si fanno grandi proclami, poi occorra essere conseguenti…

A livello municipale, a Roma, sei stato un eletto del M5S, ma hai anche un passato di militante del PRC; posti i limiti del M5S di cui abbiamo parlato, pensi che il mancato intervento dei comunisti, dei partiti e delle organizzazioni di sinistra abbia inciso sulla deriva imboccata dal M5S?
Ho sempre fatto politica a sinistra e mi è sempre piaciuto farlo… diciamo chiaramente che anche per i partiti e le organizzazioni comuniste e di sinistra “fare la rivoluzione” non è un obiettivo all’ordine del giorno… quindi è ovvio che il sommovimento provocato dal M5S non è stato visto come un’occasione per allargare l’intervento fra le masse popolari.
Il M5S era un contenitore trasparente: se veniva riempito di rosso si colorava di rosso anche all’esterno. Però le forze di sinistra organizzate che avrebbero potuto intervenire e orientare, di “esercitare egemonia”, non hanno colto l’occasione.
Mi ricordo perfettamente le forze di sinistra… per esempio la Rete dei Comunisti che organizzò un’assemblea pubblica con la presenza di Di Battista e mi ricordo chiaramente un intervento di Nunzio D’Erme in cui disse “Votate per il M5S”… Questo per dire che da parte di alcuni c’era la capacità di intravedere una possibilità, ma in verità dopo la predica non c’è stata la capacità di sviluppare una pratica. Pure il M5S con la linea “né di destra né di sinistra” non ha favorito un rapporto con le forze autenticamente socialiste.

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