Proponiamo a seguire alcuni stralci dell’articolo di Renato Caputo pubblicato sulla rivista on line La Città Futura. In questo articolo egli analizza la vittoria elettorale in Perù di Pedro Castillo candidato del partito Perù Libero e adesso nuovo presidente. Il fatto ha suscitato particolare interesse nelle organizzazioni comuniste del nostro paese e la ricostruzione di Caputo è utile a non scadere in due opposti estremismi nel concepire questo risultato elettorale:
a) le masse popolari sono riuscite a prendere il potere e in Perù si apre una fase socialista;
b) non è cambiato niente e le masse popolari sono cadute nell’ennesimo trappolone elettorale.
Con la vittoria di Obrador in Messico, le forze della sinistra – che proprio in questo paese, anche nel decennio progressista, erano state fermate da clamorosi brogli elettorali – hanno ripreso a vincere sul piano elettorale. Si tratta in ogni caso – come conferma la vittoria l’anno successivo di Alberto Fernández in Argentina – di una sinistra a trazione socialdemocratica e riformista, più timida e anche più fragile di quella che si era affermata nel primo decennio del XXI secolo. (…)
Tale tendenza riformista potrebbe essere messa in discussione dal successo nelle elezioni in Perù del partito Perù libero che si definisce marxista leninista e mariateguista, dal nome del più importante marxista del paese, una sorta di Gramsci peruviano. Tale partito – guidato dal maestro campesino e sindacalista di base Castillo – ha sconfitto al primo turno le destre divise e la stessa candidata socialdemocratica (…) D’altra parte, le forze dell’ordine costituito – resesi presto conto del tragico errore di presentarsi separate al primo turno, sottovalutando la possibilità di un exploit delle forze della sinistra radicale, come accade spesso hanno prontamente invertito rotta. I fratelli-coltelli del primo turno sono riusciti a fare blocco al secondo turno, per quanto intorno a una candidata impresentabile, pur di sbarrare la strada al candidato delle masse popolari oppresse e sfruttate. Come di consueto, nel momento in cui vedono messi in discussione i loro abnormi e sempre più irrazionali privilegi, i ceti dominanti hanno prontamente rinunciato alle regole formali della liberal-democrazia, alla quale pur dicono di richiamarsi. (…)
Nonostante tale svolta opportunista di destra, il voto si è estremamente polarizzato, con le masse popolari a votare per Castillo e borghesia, ceto medio e piccola borghesia a fare blocco a sostegno della candidata della destra. In tal modo, la distanza fra i due candidati al ballottaggio si è ristretta sempre di più. Castillo, dato dai primi sondaggi con un 20% di elettori in più della sua concorrente, ha finito per apparire sconfitto ai primi exit poll, in cui al solito mancava il dato delle regioni più povere e remote del paese, schierate massicciamente per Castillo.
Come spesso accade, la tattica di assumere posizioni meno radicali per conquistare voti al centro si è dimostrata, a conti fatti, piuttosto fallimentare, anche se ha presumibilmente tenuto a bada le spinte della destra a un colpo di Stato preventivo per mettere al sicuro i privilegi della classe dominante.
Allo stesso tempo, è quanto mai evidente che, non solo la vittoria del candidato delle masse oppresse va difesa con una massiccia mobilitazione popolare – e questo gli oppressi e sfruttati peruviani sembrano averlo compreso – ma anche che un reale governo di cambiamento ci sarà e potrà avere possibilità di successo soltanto se crescerà la mobilitazione dei ceti subalterni, modificando i rapporti di forza reali fra le classi sociali.
(…) Come proprio l’esperienza del socialismo del XXI secolo ha ulteriormente dimostrato, vincere le elezioni non significa né prendere il controllo della società civile economica, né avere il dominio sullo Stato profondo, a partire dagli apparati repressivi.
(…) Masse popolari e sinistra in Perù sono di fronte a un bivio, in quanto o le prime manterranno alta la mobilitazione e le seconde porteranno avanti le originarie e più radicali riforme – trasformando in senso progressista la costituzione neoliberale e nazionalizzando le principali risorse naturali – o il governo diverrà sempre più debole e sempre più incapace di contrastare la classe dominante, che mantiene nelle sue mani la ricchezza, lo Stato profondo e i mezzi per l’egemonia sulla società civile, nel senso gramsciano del termine.