Le lezioni di Gramsci in carcere: “Il partito ha come obiettivo la conquista violenta del potere, della dittatura del proletariato, che egli deve realizzare usando la tattica che è più rispondente a una determinata situazione storica.”
Le lezioni di Gramsci in carcere: “Il partito ha come obiettivo la conquista violenta del potere, della dittatura del proletariato, che egli deve realizzare usando la tattica che è più rispondente a una determinata situazione storica.”
Considerazioni su strategia e tattica riguardo alla “svolta di Salerno” del 1943, a partire dalle lezioni di Gramsci in carcere
Dal mese di marzo il Partito dei CARC conduce una campagna denominata “Il socialismo è la cura” che, tra le altre cose, celebra il centenario della fondazione del PCI ricostruendone la storia e traendone gli insegnamenti necessari per alimentare su basi nuove la rinascita del movimento comunista nel nostro paese.
Nell’ambito di questa campagna, la Federazione Toscana del Partito dei CARC il 23 maggio ha tenuto un’iniziativa dal titolo “Alle origini della liquidazione del primo PCI e gli insegnamenti per l’oggi” in cui ha trattato della condotta del PCI dal ’43 fino alla definitiva affermazione dei revisionisti moderni con Togliatti alla guida del partito (III congresso nel 1956).
La Segretaria della Federazione toscana, relatrice all’iniziativa, ha parlato della “svolta di Salerno” del 1943, l’alleanza con i partiti antifascisti e la monarchia in chiave antifascista che il primo PCI attuò su indicazioni dell’URSS e dell’Internazionale Comunista. Quelle indicazioni, tuttavia, ponevano l’alleanza come misura tattica mentre la direzione del partito italiano la attuarono come misura strategica: il compromesso con le forze borghesi, che doveva essere provvisorio e finalizzato a determinati obiettivi, si avviava a diventare linea generale del partito. Il partito non usò le posizioni conquistate con la Resistenza per portare fino in fondo la mobilitazione rivoluzionaria ma piuttosto per cercare un compromesso tra la borghesia e la classe operaia, sancito dalla Costituzione e dal riconoscimento del ruolo del PCI nel nuovo assetto politico del paese incentrato sul potere del Vaticano e del suo partito (la DC). Quella del PCI non fu una scelta “obbligata” da condizioni esterne ma il frutto, come detto sopra, del fare della tattica una strategia. Strategia e tattica sono due elementi tra loro distinti e uniti. Stalin lo spiega nello scritto “Strategia e tattica politica dei comunisti russi” (luglio 1921): “La strategia, seguendo le indicazioni del programma e basandosi sulla valutazione delle forze in lotta interne (nazionali) e internazionali, determina la strada, la direzione generale che il movimento rivoluzionario del proletariato deve seguire per raggiungere i maggiori risultati in relazione al rapporto delle forze che si viene a determinare e che si sviluppa. Conformemente a questo, essa traccia uno schema di distribuzione delle forze del proletariato e dei suoi alleati sul fronte sociale (dislocazione generale). (…)
La tattica, seguendo le indicazioni della strategia e l’esperienza del movimento rivoluzionario sia del proprio paese che dei paesi vicini, tenendo conto in ogni determinato momento dello stato in cui si trovano le forze sia all’interno del proletariato e dei suoi alleati (maggiore o minore grado di cultura, maggiore o minore organizzazione e coscienza, presenza di certe tradizioni e di certe forme del movimento, di forme di organizzazione fondamentali e ausiliarie), sia nel campo dell’avversario e sfruttando ogni disaccordo e confusione esistenti nell’avversario, indica le vie concrete da seguire affinché il proletariato rivoluzionario conquisti le larghe masse e le porti a posizioni di combattimento sul fronte sociale (in esecuzione dello schema di distribuzione delle forze tracciato dal piano strategico), le quali preparino nel modo più sicuro i successi della strategia. In relazione a ciò la tattica dà o cambia le parole d’ordine del partito”.
In sintesi, la strategia orienta il processo rivoluzionario nel suo complesso, mentre la tattica è l’insieme delle mosse necessarie a realizzare il disegno strategico e a esso va subordinato. Il rapporto è tra generale e particolare. I comunisti del nostro paese e di tutti i paesi imperialisti, almeno fino al momento in cui è entrata in campo la Carovana del (nuovo)PCI di cui il P.CARC è componente, non hanno compreso o voluto comprendere questo rapporto. Non hanno elaborato una strategia per la rivoluzione socialista, restando inadeguati rispetto alla situazione e senza capacità di incidere. Quando non si produce la sintesi degli opposti, in questo caso tattica (particolare) e strategia (generale)[1], da un lato e dall’altro l’ingranaggio gira a vuoto. Da un lato, nel movimento comunista italiano, abbiamo il tatticismo di chi si limita a fare ciò che il sistema capitalista permette di fare, cioè lotte rivendicative e partecipazione alle elezioni, dall’altro abbiamo il dogmatismo e l’estremismo parolaio di chi fa propaganda della rivoluzione socialista ma non fa nulla per prepararla e piuttosto aspetta che scoppi.
Gramsci è stato l’unico dirigente comunista dei paesi imperialisti ad aver maturato un certo livello di comprensione della forma della rivoluzione socialista e a dedicare una parte importante della sua vita, soprattutto negli anni della carcerazione, a elaborare una strategia e una tattica adeguate allo scopo.
Questo lavoro di elaborazione fu condotto non solo tramite i Quaderni del carcere, ma anche attraverso una serie di lezioni tenute dalla fine del 1930 in avanti per i militanti comunisti detenuti nel carcere di Turi. I contenuti di queste lezioni sono sintetizzati nel rapporto che Athos Lisa, militante del PCd’I detenuto con Gramsci, stese nel 1933 per la Direzione del Partito e che recentemente è stato ripubblicato integralmente nella raccolta di scritti di Gramsci sul partito curata da Ruggero Giacomini (Scritti sul Partito – MarxVentuno edizioni, novembre 2020).
In esse, Gramsci elabora e mostra ai compagni di partito prigionieri una misura tattica per condurre la rivoluzione socialista in Italia. Propone un’assemblea costituente utile da un lato a legare al movimento comunista i settori non proletari delle masse popolari , inizialmente riluttanti ad accettare il socialismo ma desiderosi di liberarsi dalla tirannia fascista; dall’altro a far scendere sul terreno della costruzione di un’alternativa al regime tutte le forze antifasciste.
Nel corso delle sue lezioni, Gramsci conduce una lotta ideologica serrata, senza esclusione di colpi contro il massimalismo inevitabile in un partito, il PCd’I, nato dalle lotte e non forgiato dall’unità ideologica tra i suoi membri. In questo senso si comporta effettivamente come un dirigente comunista: non ha paura della lotta, della polemica anche aspra, delle divisioni che essa determina, dello sconvolgimento che crea nelle coscienze di militanti non abituati a pensare, ma cerca di alimentarla per raggiungere un’unità superiore.
Queste, a tal proposito, le parole di Lisa nel suo rapporto: “Egli (Gramsci, NdR), non si stancava di ripetere che il partito era affetto da massimalismo e che il lavoro di educazione politica che egli compiva tra i compagni doveva portare, fra l’altro, a creare un nucleo di elementi i quali avrebbero dovuto portare al partito un contributo ideologico più sano. Nel partito troppo sovente, egli diceva, si ha paura dei tutte quelle denominazioni che non fanno parte del vecchio frasario massimalista. Si pensa alla rivoluzione proletaria come ad una cosa che ad un certo momento ci si presenti tutta compiuta. Ogni azione tattica che non sia in rispondenza con il soggettivismo dei sognatori, è considerata in genere come una deformazione della tattica e della strategia della rivoluzione. Così si parla sovente di rivoluzione senza avere ben precisa la nozione di ciò che occorra per compierla, dei mezzi per raggiungere il fine. Non si sanno adeguare i mezzi alle diverse situazioni storiche. Si è in genere più propensi a fare delle parole che dell’azione politica, o si confonde l’una cosa con l’altra. Per questo egli definiva la questione della “Costituente” “il cazzotto nell’occhio””[2].
Gramsci sa bene però che questa spregiudicatezza tattica è possibile solo alla luce di una ferrea fermezza nella strategia da parte del partito, che deve mantenere la sua autonomia, il suo ruolo dirigente all’interno del fronte, la chiarezza dell’obiettivo finale da raggiungere. Lisa riassume così il pensiero di Gramsci: “Il partito ha come obiettivo la conquista violenta del potere, della dittatura del proletariato, che egli deve realizzare usando la tattica che è più rispondente a una determinata situazione storica, al rapporto di forze di classe esistente nei diversi momenti della lotta. Nella misura in cui il partito saprà manovrare in queste fasi di lotta, dal grado della sua capacità politica dipenderanno le possibilità del superamento delle parole d’ordine intermedie, che segneranno le tappe dello sbloccamento degli strati sociali da conquistare e la modificazione dei rapporti di forze.
(…) La “Costituente” rappresenta la forma di organizzazione nel seno della quale possono essere poste le rivendicazioni più sentite dalla classe lavoratrice, nel seno della quale può e deve svolgersi, a mezzo dei propri rappresentanti, l’azione del partito che deve essere intesa a svalutare tutti i progetti di riforma pacifica, dimostrando alla classe lavoratrice italiana come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria.
(…) Bisogna che il partito faccia sua questa parola d’ordine sulla base della quale sarà possibile un’intesa con i partiti antifascisti; intesa che ci deve porre nelle condizioni di indipendenza politica e di supremazia di fronte ad essi. In questo senso la nostra tattica ci condurrà, indipendentemente dalle preoccupazioni sulle denominazioni, a realizzare gli obiettivi che il partito si propone”.
In conclusione, pur non potendo dire se la tattica proposta da Gramsci fosse adeguata o meno a quella situazione, vediamo che le lezioni oggetto del rapporto Lisa sono esemplari di un metodo scientifico di analisi e di azione che egli provò a introdurre nel partito. Il carcere e la repressione fascista, pur non impedendo a Gramsci di continuare il suo lavoro di elaborazione, arrestarono il processo di trasformazione del partito avviato durante la sua segreteria e impedirono di strutturare un gruppo dirigente con il livello ideologico e politico adeguato ad andare oltre la concezione della rivoluzione come esito di un’esplosione di lotte e elaborare una strategia e una tattica vincenti.
La parola d’ordine della Costituente fu dunque presa in mano dai revisionisti, che conquistarono la direzione del partito e fecero della stesura della Costituzione il terreno principale della lotta di classe, frenando la lotta per il socialismo, che aveva preso slancio con la Resistenza fino a far diventare il partito ala sinistra del regime democristiano e a determinarne la degenerazione che ha condotto all’attuale sfacelo. Ma la loro opera di distorsione e di deviazione non può cancellare l’esperienza del movimento comunista, che ha inequivocabilmente dimostrato la possibilità e la necessità per la classe operaia, guidata dal suo partito comunista, di andare oltre le proteste e le rivendicazioni contingenti, imparando a dirigere la società nel suo complesso e a rivoluzionarla.
Per questo il P. CARC e la Carovana del (n)PCI promuovono oggi la costituzione di un fronte ampio di tutte le forze opposte alle Larghe Intese per cacciare il governo Draghi e costituire al suo posto un governo di emergenza popolare. Non si tratta di una “terza via” tra capitalismo e socialismo o di una “via al socialismo attraverso le riforme”, ma di un passaggio tattico, utile a far crescere la rete delle organizzazioni operaie e popolari che di questo governo saranno le autorità, chiamate ad attuarne il programma di lotta e a comprendere così di poter esercitare direttamente il potere.
In questo modo il socialismo non è più un sogno da agitare a vuoto o un evento da aspettare passivamente, ma un obiettivo concreto da perseguire tramite un lavoro di costruzione quotidiano ed esteso nel tempo, fino alla vittoria.
[1] Tattica e strategia sono in relazione di opposizione. La distanza, ad esempio, tra Napoli e Milano è misurabile come una linea retta, ma se ci muoviamo a terra dobbiamo fare una serie di deviazioni e a volte intraprendere un senso di marcia opposto alla direzione verso la mèta ultima. Così sul piano strategico la nostra direzione va all’obiettivo, ma sul piano tattico può accadere che la direzione vada al contrario.
[2] Gramsci, Scritti sul Partito – MarxVentuno edizioni, novembre 2020, pag. 254.