Francia. Mobilitazione popolare, spinte autoritarie e tendenza alla guerra

Insieme ai gruppi imperialisti tedeschi, quelli francesi sono il pilastro su cui poggia l’UE. Come tutti gli imperialisti anch’essi sono tigri di carta e giganti con i piedi d’argilla.
Per mantenere il loro ruolo a livello internazionale, per affermare i loro interessi a scapito degli altri gruppi imperialisti, per mantenere il dominio sulle colonie hanno necessità di pacificare il fronte interno e spezzare la resistenza che le masse popolari oppongono agli effetti della crisi.
In Francia, infatti, la mobilitazione popolare da anni ha assunto forme radicali e dimensioni considerevoli: si susseguono imponenti manifestazioni (da quelle del 2016 contro la Loi Travaille/Legge sul Lavoro a quelle dei Gilet Gialli in corso dalla fine del 2018), diffusi sono gli scioperi e gli scontri di piazza, mentre sono ormai all’ordine del giorno le tensioni nei quartieri periferici delle città (le banlieues) dove bande di giovani si ribellano agli abusi e alle ordinarie violenze della polizia con assalti alle pattuglie e ai commissariati.

Tutto è in subbuglio. Lo scorso 1° Maggio 150.000 lavoratori sono scesi in piazza, scontrandosi in diverse città con la polizia. A Parigi scontri ci sono stati anche tra i Gilet Gialli e la CGT, il sindacato storicamente “di sinistra” (nato, come la CGIL italiana, dal vecchio movimento socialista e comunista, anche se più piccolo e molto più combattivo di essa), accusato dai manifestanti di essere “la nuova polizia di Macron”.
In occasione dell’aggressione israeliana al popolo palestinese si sono tenute enormi manifestazioni, vietate e disperse dalla polizia dopo lunghi scontri.

Tendenze eversive. Il 21 aprile, anniversario del fallito colpo di Stato del 1961 contro De Gaulle a opera di militari contrari al ritiro dalle truppe francesi dall’Algeria, è stata pubblicata da un giornale di destra una lettera firmata da una ventina di generali in pensione, da alcune migliaia di ufficiali di alto rango dell’esercito in pensione e da diciotto militari in servizio. La lettera descrive un paese allo sbando: “l’ora è grave, la Francia è in pericolo, numerosi pericoli mortali la minacciano”. Secondo i generali, in Francia sarebbe in corso una “guerra razziale contro il nostro paese, le sue tradizioni, la sua cultura” portata avanti con la scusa dell’antirazzismo e delle teorie decoloniali. L’islamismo e le “orde delle banlieues” cercano di impadronirsi del paese, mentre “la violenza aumenta di giorno in giorno”.

I generali esortano il governo a reagire, perché “il lassismo continuerà a espandersi inesorabilmente nella nostra società, provocando un’esplosione e l’intervento dei nostri compagni in servizio” e perché se si continuerà a “tergiversare la guerra civile porrà fine a questo caos crescente”.
L’appello è finito al centro del dibattito politico. Ma ai primi di maggio è stata pubblicata una seconda lettera, questa volta anonima, scritta da militari in servizio. I toni sono gli stessi: la salvezza dello Stato è in pericolo e la guerra civile è alle porte.
A metà maggio sono le forze di polizia a prendere parola con una lettera firmata da 93 ufficiali in pensione: lamentano una situazione di violenza diffusa contro la polizia, l’impunità per “i violenti” e chiedono mano libera per riportare l’ordine.
Il 19 maggio migliaia di agenti di polizia manifestano davanti all’Assemblea Nazionale per chiedere pene maggiori per chi “aggredisce poliziotti” e maggiori poteri repressivi. La manifestazione è sostenuta dal Ministro dell’Interno e da quasi tutti partiti, compreso il Partito Comunista Francese. Unica eccezione è France Insoumise di Melenchon.

La parte più reazionaria della classe dominante francese manovra per imporre una repressione più dispiegata, una guerra aperta alle masse popolari che si ribellano dentro il paese, premessa per combattere più efficacemente la guerra per la supremazia tra gruppi imperialisti.

Venti di guerra imperialista. Il governo francese prosegue nella sua politica di riarmo: assieme a quello tedesco e a quello spagnolo, stanzia cento miliardi di euro per la progettazione di nuovi jet militari, all’interno di una strategia per affrancarsi dal sistema militare USA.
Intensifica la missione militare francese in Sahel (Africa occidentale) per mantenere il controllo sulle ex colonie, mascherando l’operazione come misura per contenere il fondamentalismo islamico.
L’Assemblea Nazionale approva un disegno di legge per riformare il Franco CFA (la moneta comune imposta alle ex colonie), lo strumento con cui l’oppressione coloniale è proseguita. La riforma “cambia tutto per non cambiare niente”: è prima di tutto un tentativo di arginare l’ingombrante presenza cinese in Africa che minaccia la posizione degli imperialisti francesi quanto la crescente ribellione (come in Senegal).

Il 6 maggio i contenziosi della Brexit assumono la forma di scontro militare tra Francia e Regno Unito. L’oggetto del contendere sono le acque attorno all’isola Jersey (Regno Unito): i pescatori francesi rivendicano il diritto di continuare la pesca come prima della Brexit e sfidano i divieti delle autorità britanniche invadendo lo specchio d’acqua. Prima il Regno Unito e poi la Francia hanno inviato navi militari a pattugliare le acque della Manica: una situazione che in Europa occidentale ha pochi precedenti dalla Seconda guerra mondiale.
La situazione della Francia è comune alla situazione di tutti i paesi imperialisti, quella situazione che Marx ed Engels hanno così descritto nel Manifesto del Partito Comunista: “La borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l’esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire l’esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società”.

Dedichiamo questo mese ampio spazio a notizie, informazioni e analisi che riguardano la situazione internazionale.
L’intento è mostrare, attraverso esempi concreti, che la situazione dell’Italia non è un caso isolato: il mondo intero è nel marasma. Questo è il risultato del dominio della borghesia imperialista.
In ogni paese, in forme particolari e specifiche, infuria la lotta di classe.
Ogni passo avanti, ogni posizione conquistata, dalle masse popolari in un singolo paese rafforza la lotta delle masse popolari di tutti i paesi.
Il primo paese che spezzerà le catene dell’imperialismo aprirà la via alle masse popolari di tutti gli altri paesi, e darà così il miglior contributo all’emancipazione della classe operaia e delle masse popolari di tutto il mondo e alla rivoluzione proletaria mondiale!
Il modo migliore che noi comunisti, operai e masse popolari italiane abbiamo per sostenere questo processo consiste nell’avanzare nella costruzione del socialismo nel nostro paese!

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