Nel pomeriggio del 31 maggio 2021 le cronache e le voci di compagni a noi vicini ci hanno raccontato dell’ennesimo morto in una fabbrica bresciana, le Fonderie di Torbole, a Torbole Casaglia (BS). Dall’inizio dell’anno sono già nove i deceduti ufficiali sul lavoro in provincia di Brescia, e 32 in tutta la Lombardia. A perdere la vita questa volta è Vasile Necoara, operaio di 54 anni che lavorava per la Cospec, ditta esterna incaricata di svolgere alcune manutenzioni. Con una caduta da 10 metri d’altezza lascia la sua famiglia, una moglie e due figli. Gli operai delle Fonderie di Torbole hanno immediatamente dichiarato lo sciopero, come ci ha riferito un operaio che lì lavora e svolge attività sindacale nella FIOM.
Come nel caso di Luana a Prato, come i recenti morti asfissiati a Pavia, come in centinaia di altri casi solo quest’anno (lo dice l’INAIL: 306 morti sul lavoro nei primi 4 mesi del 2021, un incremento del 9.3% rispetto al 2020), chi muore sul lavoro è ammazzato per il profitto, per omessa sicurezza dettata dalla ricerca di ulteriori margini di guadagno. Per questi motivi le nostre vite vengono quotidianamente messe a repentaglio ogni volta che entriamo in fabbrica, ogni volta che prendiamo un treno, ogni volta che prendiamo una funivia per farci una gita, ogni volta che attraversiamo un ponte.
La sete di profitto non ammette discussioni, è una guerra di sterminio. Le leggi vigenti non vengono applicate. Indegna è la falsa pietà e la finta sorpresa di Draghi e del suo governo di fronte all’ordinaria ecatombe sul lavoro, espressa a favore di stampa nelle settimane passate, proprio mentre lavora per liberalizzare gli appalti al massimo ribasso. Oscena è la solidarietà dell’assassino Fontana, governatore della regione Lombardia, alla famiglia dell’operaio. Fontana ciancia di fumosi tavoli istituzionali sulla sicurezza, dall’alto della sua “grande esperienza” di gestione della pandemia. Queste sono le parole, ma i fatti? Eccoli: il suo partito, la Lega, è stata protagonista dello smantellamento della legislazione del lavoro, con la legge Biagi-Maroni che ha spalancato le porte della precarietà, già aperte dalla precedente legge Treu. Queste leggi concorrono attivamente a rendere inapplicabile la tutela della sicurezza sul lavoro.
La lotta per la vita e la salute sui posti di lavoro è indissolubilmente legata alla lotta per chi comanda in fabbrica. Per avere aziende sicure è determinante lo sviluppo dell’organizzazione e del potere degli operai nelle fabbriche e nella società, sul modello che il nostro Paese ha già conosciuto con i Consigli di Fabbrica degli anni settanta. I lavoratori hanno l’interesse a produrre e vivere in sicurezza e solo i lavoratori possono organizzarsi per farlo, azienda per azienda per poi coordinarsi a livello nazionale, come stanno facendo gli operai Stellantis e CNHi o quanti si sono organizzati nel Coordinamento Nazionale della Siderurgia.
Alcune azioni che si possono fare nell’immediato sono:
1. organizzarsi per imporre le misure di sicurezza all’interno delle aziende;
2. denunciare, anche in forma anonima, quando queste non vengono rispettate, avvalendosi anche di mezzi di stampa o forze sindacali, politiche e associative che possono informare su ciò che succede;
3. mettersi in contatto con eletti (nel governo nazionale o nelle amministrazioni locali) e personalità che hanno realmente a cuore gli interessi dei lavoratori, per far fare ispezioni e controlli nelle aziende, coinvolgendo anche associazioni come Medicina Democratica;
4. organizzare presidi e volantinaggi fuori dalle aziende e nelle piazze per informare sulle precarie condizioni di sicurezza che ci sono nelle aziende, per raccogliere solidarietà e disponibilità a mobilitarsi: quello della sicurezza è un problema di tutti!
5. mobilitarsi per dare gambe alla parola d’ordine dello sciopero generale per la sicurezza: con appelli da far girare fabbrica per fabbrica, con azioni di lotta nelle aziende e nei territori che mettano lo sciopero in primo piano, con la pressione sui tutti i sindacati, a ogni livello, per imporlo dal basso.
Oggi e con urgenza al Paese serve un governo che non si limiti a varare leggi per la sicurezza sul lavoro, ma che le faccia soprattutto applicare! La costruzione di una fitta rete di organizzazioni operaie e popolari, dentro e fuori dalle fabbriche, è il presupposto su cui poggia la possibilità di imporre un loro governo, espressione dei loro interessi e che a loro risponda della sua attività. La crisi non concede scorciatoie: o si fanno gli interessi dei padroni oppure quelli degli operai. Ogni governo, ogni esponente politico, fa la sua scelta.
I lavoratori devono organizzarsi per imporre la loro forza, mentre i comunisti devono favorire e sostenere in ogni modo questo processo. Questa prospettiva è quella a cui deve lavorare quel fronte di forze che dicono di volere costruire un’altra società, in ogni territorio e a livello nazionale. La sicurezza sul lavoro è una delle trincee in cui si combatte la guerra che combattiamo.
Soprattutto di questo parleremo nell’iniziativa che la nostra sezione ha organizzato al Centro Sociale 28 Maggio di Rovato (BS), domenica 6 giugno alle ore 17:00, in occasione della presentazione del libro “I Consigli di Fabbrica degli anni settanta – La parola ai protagonisti”.