Il PCI, la Costituzione e la Repubblica Pontificia

Attuare le parti progressiste della costituzione, superare la costituzione

Il 2 giugno, Festa della Repubblica, si celebra l’anniversario del referendum per l’abolizione della monarchia e delle elezioni per eleggere l’Assemblea Costituente (1947) che formulò la Costituzione entrata poi vigore il 1° gennaio 1948.
A partire da questo evento, con l’articolo seguente, intendiamo mostrare, da comunisti, come la lotta per attuare le parti progressiste della Costituzione sia strumento per liberare il nostro paese dai gruppi imperialisti USA, UE, dai sionisti e dal Vaticano.

1945 – 1948. Il compromesso della Costituzione

La mobilitazione sviluppatasi dopo il crollo del fascismo (8 settembre 1943) trovò nel CLN il centro autorevole attorno a cui aggregarsi, in grado di porsi come vera e propria alternativa di potere grazie alla rete costruita nelle fabbriche, nelle aziende pubbliche, nei quartieri delle grandi città, nelle campagne e in montagna (dove operavano le brigate partigiane). In questo contesto, la vittoria della Resistenza segnò l’apice della forza raggiunta dalla classe operaia e dalle masse popolari armate e organizzate attorno al PCI.

Tuttavia il PCI non usò le posizioni conquistate per portare fino in fondo la mobilitazione rivoluzionaria. Al contrario, fece del suo riconoscimento all’interno del nuovo assetto politico del paese il terreno principale dello scontro con la classe dominante e della Costituente il principale campo di battaglia. Imboccò così, progressivamente, la strada che decenni più tardi verrà definita “la via italiana al socialismo”: partecipazione alla democrazia borghese, lotte rivendicative e promozione di riforme economiche e sociali come mezzo per promuovere il progresso sociale e l’emancipazione della classe operaia.

La Costituzione non fu il prodotto della lotta per il ripristino delle libertà democratiche perdute col fascismo. Fu piuttosto frutto del compromesso raggiunto tra i due sistemi di potere che si scontravano nel paese: da un lato quello della classe operaia e delle masse popolari organizzate attorno al PCI, che con la Resistenza avevano raggiunto il punto più alto della loro lotta per il potere, senza tuttavia arrivare a instaurare il socialismo (vedi l’articolo “La resistenza, la vittoria, il sol dell’avvenire” su Resistenza n. 4/2021); dall’altro quello degli imperialisti USA, del Vaticano e delle organizzazioni criminali.
Il contenuto del compromesso fu una Costituzione che da una parte garantiva il mantenimento dell’ordinamento sociale borghese e dall’altra definiva una serie di diritti (al lavoro, all’istruzione, alla salute, ecc.) che la classe dominante si impegnava, in un indefinito futuro, a riconoscere alle masse popolari del nostro paese.

La Repubblica Pontificia, il regime DC e il “capitalismo dal volto umano”

Dopo la fase dei governi del CLN che si susseguirono tra il ‘45 e il ‘47 (governo Parri, De Gasperi I e De Gasperi II, ai quali partecipò anche il PCI), gli imperialisti USA e Vaticano cambiarono le carte in tavola. Il PCI fu estromesso dal governo e il prevalere della destra interna revisionista permise ai capitalisti italiani, alle organizzazioni criminali e al Vaticano di riprendere in mano il paese, sotto l’egida degli imperialisti USA.
Intanto, in ragione delle esigenze e delle opportunità della ricostruzione post bellica, iniziò una nuova fase di accumulazione del capitale, sostenuta dagli ingenti investimenti del Piano Marshall (1948).

Il “boom economico” che ne seguì fu condizione materiale per le conquiste in campo economico, politico e sociale che le masse strapparono con dure lotte alla classe dominante. La forza del movimento comunista – tanto a livello internazionale che nel nostro paese – rappresentava ancora una minaccia per la borghesia e il clero terrorizzati dalla possibilità di una rivoluzione socialista in Italia. Questa paura alimentò due processi:

– da una parte portò la classe operaia e le masse popolari a imporre con la loro mobilitazione l’attuazione di una parte delle misure progressiste contenute nella Costituzione (Statuto dei Lavoratori, diritto all’istruzione, istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, aborto, divorzio, ecc.). Per paura della rivoluzione, la classe dominante preferì infatti ingoiare, temporaneamente, il rospo;
– dall’altra spinse parte della borghesia imperialista a tessere le sue trame eversive: tentativi di colpi di Stato, attentati, bombe e stragi furono messi in campo per fermare l’ondata di mobilitazione rivoluzionaria che le conquiste economiche e sociali alimentavano.
L’inizio della seconda crisi generale del capitalismo (metà anni ‘70 del secolo scorso) pose fine alla fase delle conquiste ottenute dalle masse popolari con le lotte rivendicative.

Putrefazione del regime DC e attacco alle conquiste

Il progressivo esaurimento del movimento comunista, ormai diretto dai revisionisti moderni tanto a livello internazionale che nel nostro paese, culminò con il simbolico “crollo del Muro di Berlino” (novembre 1989) cui seguì, nel 1991, lo scioglimento del PCI. Si aprì una fase di “nera reazione” in tutto mondo.
Il regime politico italiano è travolto dall’aggravamento della crisi generale: l’assetto su cui esso era incentrato era ormai inadeguato a governare il paese e doveva essere superato. Tangentopoli (1992) e le “stragi di mafia” (1992-1994) furono manifestazioni della guerra per bande interna alla classe dominante per la definizione dei nuovi equilibri di potere.

Dopo una fase di passaggio (governi tecnici di Amato e Ciampi 1992-1993) per indirizzare il nuovo corso del paese, la formazione del primo governo Berlusconi (1994) inaugura quello che nel corso dei decenni successivi diventerà il sistema politico basato sull’alternanza di Centro-destra e Centro-sinistra, entrambi promotori dell’attuazione del medesimo programma, il programma comune della borghesia imperialista.
La debolezza del movimento comunista, la sempre più attiva collaborazione degli eredi del PCI revisionista (PDS, DS) con la classe dominante e l’insipienza della sinistra borghese concorrono al processo per cui la borghesia imperialista è all’attacco su tutti i fronti.
Le conquiste ottenute nei decenni precedenti dai lavoratori e dalle masse popolari vengono progressivamente smantellate; i diritti dei lavoratori vengono via via demoliti; inizia la stagione delle privatizzazioni con la distruzione della sanità e dell’istruzione pubblica; con l’entrata nell’Euro cediamo agli imperialisti franco-tedeschi un’ulteriore quota della nostra sovranità nazionale.
In questo contesto, la Costituzione è sotto attacco. Berlusconi la definisce “bolscevica” per giustificare i vari tentativi di stravolgerla e “riformarla”. La modifica del Titolo V approvata nel 2001, i tentativi di riforma del governo Berlusconi nel 2006 e del governo Renzi nel 2016, vanno nel senso di eliminare anche nella forma ciò che la classe dominante ha già eliminato nella sostanza.

Dalla crisi del 2008 ai giorni nostri: la sinistra borghese alla testa della mobilitazione per difendere e attuare la Costituzione

Tra il 2008 e il 2009 la crisi generale del capitalismo entra nella sua fase acuta. I vertici della Repubblica pontificia, il loro sistema politico (le Larghe Intese) mettono in atto misure dall’evidente carattere antioperaio, antipopolare ed eversivo. Basta ricordare qui, fra le tante “riforme” che si abbattono sulle masse popolari, l’introduzione nella Costituzione del pareggio di bilancio (2012).
Su spinta delle campagne referendarie per l’acqua pubblica, contro il nucleare (2011) e contro la riforma della Costituzione promossa da Renzi, inizia a svilupparsi un variegato movimento per la difesa e attuazione della Costituzione.
Esso è diretto da varie componenti della sinistra borghese e da settori di sinceri democratici molto attivi in quella fase. Raccoglie e mobilita organizzazioni sindacali e politiche, associazioni e movimenti che gli conferiscono effettivamente le caratteristiche di una mobilitazione di massa. Quel movimento ha espresso sia i limiti ideologici e politici di chi lo dirigeva che le potenzialità derivanti dalla forza delle masse popolari.

Per quanto riguarda i limiti di chi lo dirigeva, la sinistra borghese si è buttata anima e corpo nella “difesa della Costituzione” perché la sua massima aspirazione è una società capitalista regolata da leggi democratiche e “giuste”. Si è trattato, per la sinistra borghese, di una “battaglia per la vita”, poiché essa non ha una prospettiva alternativa al capitalismo da costruire, ma opera “perché le cose vadano meglio” o, tutt’al più, se questo non è proprio possibile, perché “le cose non vadano peggio”. Il carattere velleitario di questa impostazione è dimostrato dalla realtà.

Per quanto riguarda invece le potenzialità insite nella mobilitazione delle masse popolari, anzitutto va detto che nessuno di coloro che le ha sfidate apertamente, dichiarando di voler smantellare la Costituzione, è riuscito nel suo intento. Se la mobilitazione delle masse popolari non si è dispiegata fino in fondo, esprimendo tutta la sua forza, questo è avvenuto solo perché i promotori e dirigenti di quel movimento hanno impedito loro di volare alto, costringendole a non superare mai il limite che le vuole sottomesse ai capitalisti e al clero.

Attuare le parti progressiste della Costituzione, superare la Costituzione.

Compagni e compagne!
La Costituzione non è un totem. È il frutto della fase storica in cui è stata scritta, è espressione del compromesso raggiunto nella lotta tra due classi antagoniste, due sistemi di potere diversi, due modi diametralmente opposti di concepire il futuro. Il compromesso da cui essa è nata, ha sancito la resa del PCI, la sconfitta della classe operaia e delle masse popolari e la vittoria della borghesia imperialista. Questa è la causa dell’attuale, catastrofico, corso delle cose. Ma la borghesia imperialista non riesce né a governare il paese con le vecchie regole, né a eliminare le vecchie regole sostituendole con nuove e più favorevoli ai propri interessi: la mobilitazione delle masse popolari glielo ha impedito e glielo impedisce.

Anche oggi come dopo la vittoria della Resistenza, seppur in condizioni molto diverse, si scontrano due sistemi di potere: quello della borghesia imperialista, che appare forte ma che va a morire (un gigante dai piedi d’argilla!) e quello della classe operaia e delle masse popolari, che sembra piccolo, ma che è destinato a crescere. Il primo è il vecchio che va a scomparire, il secondo è il nuovo che avanza e si rafforza grazie alla combinazione di due azioni coscienti che ognuno di noi è chiamato a compiere:

– promuovere 10, 100, 1000 iniziative e mobilitazioni nelle fabbriche, nelle aziende, nelle scuole, nei quartieri e nei territori per spingere gli organismi operai e popolari ad attuare dal basso le parti progressiste della Costituzione;
– unirsi e prendere parte attivamente alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato.

Quanto più il sistema di potere degli organismi operai e popolari legati al movimento comunista cresce, tanto più acquisisce autorevolezza e forza per imporre il governo di emergenza popolare di cui il paese ha bisogno. La costituzione del Governo di Blocco Popolare e l’attuazione del suo programma porranno concretamente l’esigenza di superare la Costituzione (superare il compromesso di cui è espressione) e di far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese.

La Repubblica Pontificia italiana

“La doppia sovranità Stato/Chiesa sulla penisola ha un carattere particolare, ha creato un regime unico nel suo genere. La sua particolarità consiste nel fatto che in Italia la Chiesa non è una religione. La religione è solo il pretesto e la veste ideologica di una struttura politica monarchica feudale. Questa ha a Roma e in ogni angolo del paese dirigenti nominati dal monarca (…).
La Chiesa e il suo capo assoluto, il Papa, formano il governo supremo di ultima istanza dell’Italia. Essa non annuncia né programmi né orientamenti né presenta alcun bilancio del suo operato, perché sul suo operato essa non riconosce al popolo italiano alcun diritto di voto e nemmeno d’opinione.
Questo governo, occulto e irresponsabile, dirige però il paese attraverso una struttura statale che pretende di essere, come in ogni repubblica borghese costituzionale, legittimata dalla volontà popolare e di avere alla sua testa un Parlamento e un governo che devono essere sanzionati dal voto popolare. Ufficialmente questa struttura è l’unico Stato.
A differenza di ogni altra monarchia costituzionale, i confini delle competenze tra lo Stato costituzionale e la Chiesa sono arbitrariamente, insindacabilmente e segretamente decisi dalla Chiesa caso per caso. Proprio questo conferisce a tutto il regime una certa dose di precarietà, ma anche quella flessibilità che consente rapporti di unità e lotta con tutti gli altri poteri autonomi che hanno piede nel paese.
Un simile regime non è descritto in nessun manuale di dottrine politiche, ma non per questo è meno reale ed è quello con cui il movimento comunista deve fare i conti nel nostro paese” – dal Manifesto Programma del (nuovo)PCI.

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