[Bologna] Intervista al collettivo ABABO

Nel capitalismo l’arte e la cultura sono appannaggio della borghesia che le considera come una merce da vendere e comprare per garantire profitti ai capitalisti, mentre le masse popolari o ne vengono estromesse oppure l’“arte” nei loro confronti è veicolata allo scopo di abbrutirle, fonte di distrazione dalla lotta di classe e intossicazione dei cuori e delle menti.
Per questi motivi oggi anche l’arte deve essere ambito di lotta: lo dimostra il collettivo studentesco ABABO, nato nell’Accademia di Belle Arti di Bologna proprio durante l’emergenza, aprendo un fronte nuovo rispetto a quelli storici delle facoltà di lettere o di filosofia.


Il collettivo ABABO, infatti, è formato dai giovani studenti e artisti che inevitabilmente andranno a unirsi ai tanti artisti e lavoratori dello spettacolo costretti dopo anni di gavetta ad elemosinare paghe da fame (senza contare le ricadute che l’emergenza sanitaria ha avuto in questo settore).
Queste studentesse e studenti si sono organizzati e mobilitati a partire dalle condizioni specifiche dell’Accademia (e la sua cattiva gestione perdurata per anni e aggravata dalla pandemia) fino a coordinandosi anche con altre organizzazioni e collettivi universitari e unendo la loro lotta con quella dei lavoratori dello spettacolo e dei riders, per far sì che le masse popolari si riapproprino dell’arte rendendola collettiva e fruibile a tutti.

Qui l’intervista corale che abbiamo raccolto.
Buona lettura.

***

Chi siete? Com’è nato il collettivo ABABO?
Siamo un gruppo di studentesse e di studenti dell’Accademia (di Belle Arti, ndr) che ad inizio marzo, con l’avvio del secondo semestre e a fronte del fatto che come un anno fa non si poteva tornare in Laboratorio, non si sapeva quando e come ci saremmo tornati, ha deciso di riunirsi per rabbia e per provare a capire cosa stesse succedendo e se ci fosse la possibilità di tornare a praticare la formazione in Laboratorio, dato che teoricamente noi paghiamo le tasse.

Come vi siete organizzati per far fronte dal basso alle chiusure e ai problemi che questa gestione della pandemia ha generato tra i giovani?
Siamo partiti con delle assemblee fra noi studenti perché sono un ottimo momento di scambio: per noi l’arte è la cosa più importante e principale perché è quello che studiamo. Quindi abbiamo organizzato una nostra prima giornata, la TAZ (la Temporary Art Zone, ndr) il 23 aprile scorso in piazza Puntoni e stiamo per chiamare una open call per far esporre gli artisti in concomitanza con l’open tour (a fine anno accademico, si organizzano mostre dei lavori degli studenti dentro le Gallerie d’Arte bolognesi, ndr), che quest’anno è riservato ai tesisti ed è visitabile solo da critici e da persone elitarie. Abbiamo quindi deciso di muoverci all’interno dell’esibizione per rendere l’arte fruibile e soprattutto sicura per tutti, specialmente in questo momento. Siamo convinti che si possa fare, quello di cui non siamo convinti è il fatto che ci vengano incontro per farlo, quindi questo è il nostro modo di “aprirci”.
Visto che le Gallerie d’Arte cittadine hanno appena riaperto e hanno il calendario pieno, però, non è fattibile: la Direzione Accademica ha così deciso di organizzare l’open tour internamente all’Accademia, solo che non sanno come gestirlo e quindi limitano le esposizioni e gli accessi.

Dal basso noi organizziamo giornate artistiche per rendere l’arte nuovamente fruibile o comunque cerchiamo di creare dei momenti in cui è possibile il contatto. La cosa che ci è mancata molto come accademici è proprio lo scambio interno al Laboratorio, perché lì puoi vedere l’opera di qualcun altro e allo stesso tempo c’è proprio un bisogno di incontrarsi per lavorare insieme, anche perché l’arte si fa insieme, è dialogo, è apertura… queste giornate aperte sono la prova di quello che cerchiamo di fare noi come collettivo.

Vi siete coordinati con altre realtà studentesche organizzate?
Sì, una delle ragazze del collettivo fa parte di Labas e TPO e quindi abbiamo iniziato a frequentare questi spazi e qui abbiamo conosciuto il collettivo studentesco Saperi Naviganti con cui poi abbiamo fatto insieme diverse manifestazioni, come quelle del 26 marzo e del 1 maggio, chiamate da Riders Union Bologna, partecipandovi come “semplici” studentesse e studenti in quanto le AFAM (istituti di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, ndr), dove rientrano le Accademie, i conservatori ecc., sono un qualcosa di diverso dell’UniBo con diritti, fondi, organizzazioni diverse: ci mettiamo insieme ma siamo differenti!

Avete pensato di unire la vostra lotta con quelle del mondo del lavoro?
La nostra idea parte come parallelismo rispetto al lavoro che si sta facendo all’interno dell’Accademia: la collaborazione sia con la Consulta che con la Direzione è presente.
Abbiamo parlato con i lavoratori dello spettacolo che uniti sono scesi in piazza con noi, c’è la voglia di unirsi ad altre realtà perché siamo tutti sulla stessa barca, soprattutto con i lavoratori dello spettacolo, perché noi siamo i futuri lavoratori dello spettacolo!
È una situazione questa, nonostante il fatto che non vogliamo “mischiare” AFAM con UniBO, che ci fa venire voglia di collaborare.

Quali sono le prospettive della vostra lotta e quali obiettivi pensate che si debba porre chiunque lotti per il diritto allo studio e per un’istruzione che sia davvero per tutti?
Personalmente, come studiosa di arte vorrei che chiunque lotta in questo ambito si rendesse conto di quanto sia importante mettere le mani in pasta perché l’arte, dalla scuola media in poi, viene completamente ridotta ad una serie di termini teorici da imparare a macchinetta, ed è molto triste.
Come obiettivi abbiamo principalmente, in questo momento storico difficile, quelli di riportare l’arte ad essere fruibile, pubblica, gioiosa, ora che si riduce solo a mostre digitali, online, cose aberranti visto quello che studiamo.
Non puoi davvero fruire di un’opera d’arte se la guardi da uno schermo… ti deve emozionare, devi guardare ogni piccolo particolare, devi avere la possibilità di avvicinarti, di girarci intorno… riportare l’arte a come dovrebbe essere.

Ci siamo appena formati come collettivo ma la strada che stiamo provando a prendere è quella di crearci noi delle occasioni per uscire dal mondo istituzionale ed entrare nel mondo pubblico e professionale, che è quello carente, e questo noi lo sentiamo molto perché il nostro è un settore molto bistrattato. L’arte in Italia, e quindi il collettivo, funge anche da occasione per condividere, per fare mostre e cioè per ampliare le possibilità che l’Accademia non ci dà.

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