Il 27 aprile del 1937 moriva Antonio Gramsci (1891 – 1937), fondatore e segretario del Partito Comunista d’Italia e suo principale dirigente.
Gramsci è stato l’unico dirigente comunista del nostro paese a cimentarsi nel compito di “tradurre il marxismo in italiano”, usando la scienza marxista nella forma più alta fino ad allora elaborata, il marxismo-leninismo, per analizzare la realtà italiana e ricavare una teoria e una linea per fare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Attraverso la sua elaborazione Gramsci scopre che la rivoluzione socialista non scoppia, ma si costruisce passo dopo passo come una “guerra di posizione”; scopre che i comunisti per assolvere ai loro compiti devono compiere una “riforma intellettuale e morale” trasformando la loro concezione, mentalità e personalità; analizza e comprende tratti caratteristici della società italiana, come il ruolo del Vaticano e la questione meridionale.
Nonostante queste scoperte, Gramsci non riesce a portare a termine il rinnovamento del partito comunista italiano (la bolscevizzazione). La radice della sua sconfitta sta nel suo stesso percorso, che non parte dall’adesione alla scienza comunista e dalla sua assimilazione e che, per questo, è del tutto diverso da quello compiuto da Lenin:
“Chi legge gli scritti stesi da Lenin tra il 1893 e il 1923, si trova davanti a una successione imponente di testi il cui autore è partito dalla scienza del marxismo assimilata al massimo livello allora esistente risultato dell’opera di Marx e di Engels che resta attivo fino al 1895, la applica a una realtà (la rivoluzione russa) a cui quella scienza non era ancora stata applicata che sporadicamente (da Marx ed Engels e da Plekhanov) e via via che egli passa da intellettuale a dirigente politico comunista, la arricchisce, fino a farne una scienza più avanzata, il marxismo-leninismo.
Leggendo gli scritti di Gramsci invece ci troviamo davanti a uno scrittore progressista che ragiona con intelligenza, ma secondo il buon senso comune dei socialisti italiani del tempo e che solo dopo l’impatto con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 si mette individualmente a studiare il marxismo-leninismo e via via lo usa per interpretare la realtà italiana fino a diventare promotore della costituzione del partito comunista, dirigente, benché non di primo piano, di esso e infine dal 1923 promotore della bolscevizzazione del partito. Bolscevizzazione che vuole essere una rifondazione del partito sulla base del marxismo-leninismo, rifondazione che nella realtà restò incompiuta a causa della sua carcerazione, ma proseguì sul piano dell’elaborazione intellettuale nei Quaderni del carcere. Noi comunisti quindi dobbiamo studiare i suoi scritti distinguendo quello che resta valido ancora oggi perché entrato nella scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia applicata al nostro paese, quello che si riferisce a circostanze particolari ben definite e che eventualmente sono istruttive per il metodo che Gramsci ha applicato, quello che fa parte del percorso di riforma intellettuale e morale di Gramsci e che Gramsci stesso ha superato” – da “Tre fasi del pensiero di Gramsci”, La Voce del (nuovo)PCI n. 56, luglio 2017.
Per comprendere le opere di Gramsci e inserirle correttamente nel loro contesto dobbiamo infatti tenere conto del suo percorso di trasformazione ideologica e politica, che consta di tre fasi:
– la prima va dal 1919 al 1921. Sono gli anni della pubblicazione dell’Ordine Nuovo e del lavoro tra la classe operaia torinese, culminato con l’occupazione delle fabbriche (settembre 1920), con la promozione della costituzione dei Consigli di Fabbrica e infine con la fondazione del Partito Comunista d’Italia;
– la seconda va dal 1923 al 1926. Gramsci viene chiamato dall’Internazionale Comunista a dirigere il Partito;
– la terza va dal suo arresto, avvenuto nel novembre del 1926, alla sua morte nel 1937. Gramsci stende i 29 Quaderni del carcere che rappresentano il punto più alto della sua elaborazione intellettuale.
Solo nel corso di questo processo Gramsci si libera via via della concezione idealista su cui si era formato e impara progressivamente ad assimilare e a usare la concezione comunista del mondo.
La differenza tra il tortuoso percorso compiuto da Gramsci e quello di Lenin si spiega con la differente genesi del movimento comunista cosciente e organizzato in Italia e in Russia.
Il partito comunista russo è sorto in maniera del tutto indipendente dal movimento operaio russo. Esso è stato costituito da circoli di intellettuali rivoluzionari, raccolti nel gruppo “Emancipazione del lavoro” di Plekhanov, che hanno aderito al marxismo e solo successivamente lo portato “dall’esterno” alla classe operaia e alle masse popolari, come spiega Lenin nel Che fare?: “Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza socialdemocratica (i comunisti allora si chiamavano socialdemocratici – ndr). Essa poteva essere loro apportata soltanto dall’esterno. La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia colle sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare al governo questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali. (…) Anche in Russia la dottrina teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra gli intellettuali socialisti rivoluzionari”.
Diversamente, il movimento comunista italiano è sorto non dall’unità ideologica sull’assimilazione del marxismo, ma “nel fuoco della lotta di classe”, sulla base del movimento spontaneo della classe operaia italiana.
In conclusione, il principale insegnamento che ricaviamo dall’esperienza di Gramsci è che l’assimilazione e l’uso della scienza comunista (marxismo-leninismo-maoismo) costituisce la base della rinascita del movimento comunista ed è la guida per assolvere al compito storico che Gramsci ci ha lasciato in eredità: fare dell’Italia un nuovo paese socialista.