Intervista al Sostegno alimentare di San Frediano – Firenze

Raccontateci quando e come è nata l’iniziativa di sostegno alimentare di San Frediano.
A marzo dell’anno scorso, all’inizio del primo lockdown, insieme ad altre associazioni di quartiere (Bianchi di Santo Spirito, Periferie al Centro e Amici dei Nidiaci), abbiamo iniziato a consegnare la spesa a domicilio a chi non poteva uscire di casa. In poco tempo abbiamo deciso di consegnarla anche a chi non poteva pagarla, per poi arrivare a mettere su una distribuzione di pacchi alimentari gratuiti usando come base i locali dell’associazione Periferie al Centro. Successivamente, dopo pressioni alle istituzioni, abbiamo ottenuto l’utilizzo a magazzino di un locale inutilizzato da anni che è tuttora il fulcro della nostra attività.

Quali sono state le difficoltà principali a cui avete dovuto far fronte?
Sicuramente un maggior riconoscimento da parte delle istituzioni dell’importanza di un impegno a sostegno della popolazione ci avrebbe evitato di dover faticare per ottenere quel piccolo spazio che ci serve per tenere il cibo e per distribuirlo a chi ne ha bisogno. Un uso “a magazzino” non consente di svolgere agevolmente quelle iniziative collaterali che renderebbero l’attività del Sostegno ancora più benefica e coinvolgente, come assemblee e pranzi nel cortile all’aperto, giochi per bimbi , doposcuola per ragazzi, ecc.
Un altro problema stringente all’inizio sono stati i fondi, dato che per distribuire pacchi a centinaia di famiglie abbiamo potuto contare solo sull’autofinanziamento. Ancora non siamo riusciti a trovare il modo di svincolarci dalla grande distribuzione organizzata e dai suoi prodotti costosi per l’ambiente e non solo, che nessun supermercato ha voluto scontare di un centesimo per venirci incontro.
Nonostante nella sede si parlino molte lingue, più delle barriere linguistiche ci vessano quindi le istituzioni, le grandi aziende e la condizione di abbandono in cui versa una buona fetta della popolazione di Firenze.

Che tipo di risposta avete ricevuto dal quartiere? Siete riusciti ad allargare la rete di partecipazione a quanto già esisteva sul territorio e se sì in che modo?
La reattività nel quartiere è stata da subito molto forte. Possiamo contare sul protagonismo di tutte le persone che si impegnano nel comporre e distribuire i pacchi, sulla collaborazione con altre associazioni del quartiere, sul supporto degli esercizi solidali che ci riforniscono di pane e verdure fresche a fine giornata e anche su una discontinua ma costante affluenza di donazioni da privati solidali. La necessità di un aiuto reciproco e dal basso è stata recepita da molte persone e realtà diverse, che si sono trovate, o ritrovate, a collaborare, per questa volta, su un piano così delicato e vitale come è l’alimentazione per tutte e tutti. Attivarsi e incontrarsi è stata anche un’esperienza di socialità alternativa, in questi tempi di solitudine e passività.

Una delle questioni più dibattute all’interno degli organismi del sostegno alimentare, delle brigate, ecc. è la necessità di non scadere nell’assistenzialismo, di non ridursi a essere una “stampella del sistema”. È una discussione che state affrontando anche voi?
Questa riflessione mi ha, da subito, piacevolmente colpita nell’avvicinarmi al Sostegno alimentare. Di fronte alle pressanti necessità delle persone in difficoltà economiche è facile tralasciare sbrigativamente l’interezza e il protagonismo di chi ci sta di fronte. In questi mesi abbiamo iniziato a sperimentare percorsi tendenti al mutualismo nell’intento di auto-organizzarci per creare alternative dal basso al sistema, nonostante lo spettro dell’assistenzialismo sia sempre in agguato. Attraverso dialoghi al telefono e dal vivo, assemblee aperte a tutte le persone interessate a fruire e/o a partecipare al Sostegno e invitando chi prende il pacco a diventare volontario a sua volta, cerchiamo di coltivare il dialogo, la partecipazione, la fiducia e la responsabilizzazione individuale e collettiva. Molte delle persone che animano il Sostegno nei turni e nelle assemblee sono le stesse che prendono il pacco, anche se ci piacerebbe raggiungere un livello di compenetrazione maggiore tra azione e ideazione, tra aspetti politici e aspetti materiali di ciò che stiamo creando insieme.

Alcuni spazi liberati in città, tra cui l’occupazione di via del Leone che ospita e che ha promosso le attività del sostegno alimentare, sono al centro di un importante attacco repressivo per la manifestazione del 30 ottobre scorso. Pensate che la repressione possa essere una leva o un freno all’attività?
A seguito dei provvedimenti repressivi, gran parte delle persone del Sostegno (oltre che delle realtà di quartiere) hanno espresso la loro solidarietà agli arrestati. L’assemblea del Sostegno si è anche impegnata a intraprendere vari tipi di azioni di sensibilizzazione e raccolta fondi, in particolare per smentire la criminalizzazione operata dalle forze dell’ordine e dai giornali a danno di chi era in piazza il 30, tra cui i compagni che conosciamo e che portano avanti da anni percorsi di lotta e solidarietà nel quartiere. Questa presa di posizione ha incentivato un maggiore coinvolgimento politico, che si è espresso anche nella partecipazione alle mobilitazioni degli operai della Textprint di Prato.

Sulla base della vostra esperienza potete descriverci la situazione di emergenza nel territorio in cui intervenite?
San Frediano, come altri quartieri e città dove si semina la monocoltura del turismo, non è stato pianificato per resistere al venir meno dei suoi visitatori danarosi e distratti. Almeno non economicamente. Mentre i commercianti stringono la cinghia e le serrande, chi già viveva con il minimo si trova a fare i conti con la crisi più nera. Reti di solidarietà, sopravvissute ai diserbanti del sistema turistico, si tendono tra le case ancora abitate del quartiere, arrivando ad abbracciare ed aiutare centinaia di persone che non sanno a che santo votarsi. Nei mesi del primo lockdown perfino il Comune suggerisce alle tante persone che non riesce a sfamare di chiamare il centralino del nostro sostegno alimentare. Nei mesi a seguire abbiamo dato vita anche a uno sportello antisfratto: nonostante il blocco dell’esecuzione degli sfratti, sempre più singoli e famiglie non riescono più a pagare affitti e bollette dei loro condomini o delle case popolari e si rivolgono a noi per chiedere aiuto pratico e legale. Ci preme che queste persone e la loro marginalità non vengano trasferite nelle periferie, così come vogliamo che le piazze tornino ad essere vissute ed attraversate da chi abita o lavora nel quartiere, da giovani che giocano, ballano, scherzano, da anziani a passeggio… e non solo da pattuglie, anacronistici aperitivi e violenze inosservate. Dico violenze perché la desertificazione delle strade e delle piazze lascia purtroppo campo libero anche al peggior disagio popolare, arginabile solo con la cura e l’unione di tutte le forze solidali del quartiere.

Avete preso parte a diversi confronti nazionali e locali tra brigate: che cosa ne avete ricavato in termini di insegnamenti e quali sono, secondo voi, le prospettive di sviluppo?
L’incontro con altri percorsi simili al nostro ci ha consentito di renderci conto di come a livello nazionale, per non dire globale, le istituzioni falliscano a trovare soluzioni al dilagare della povertà nel breve e nel lungo periodo. Ne scaturisce una sempre maggiore consapevolezza del potere dell’autogestione, che nasce dal basso e si fonda sulla solidarietà e non sulla coercizione. Riflettere a livello più esteso su questioni come cibo, casa, lavoro, grande distribuzione, salute, socialità, ecc. non è un tentativo di sopperire all’assistenza di base dello Stato. Si tratta di riprendere in mano comunitariamente il controllo delle nostre vite, iniziando a intravedere cosa si può costruire al di fuori dello Stato stesso.

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