Lavorare per Poste Italiane per molti è ancora sinonimo di “lavoro comodo e garantito”. Quali sono oggi le reali condizioni di lavoro?
Posso parlare con cognizione soltanto del mondo degli uffici postali, che probabilmente restano un settore “privilegiato” rispetto al recapito e allo smistamento, sia per le mansioni svolte, sia per gli orari, la sicurezza e le condizioni di lavoro. Eppure, anche noi operatori di sportello viviamo situazioni pesanti sia per la strutturale mancanza di organico, sia per l’eterogeneità e il grande numero di servizi che siamo tenuti ad offrire, con le responsabilità conseguenti. Infatti, un ufficio postale ormai è allo stesso tempo una specie di filiale bancaria, un negozio di telefonia, un ente fornitore di servizi definiti “universali” come quello della corrispondenza, e anche una sorta di CAF. Poste è ormai una S.p.A e l’eredità da “vecchio carrozzone pubblico” si vede prevalentemente nell’enormità della sua macchina burocratica, oltre che nell’inefficienza e nella disorganizzazione. In tutto questo, il personale non è adeguatamente sensibilizzato e formato né dal punto di vista operativo, né da quello tecnico e legale, incentivato com’è alla sola vendita dei prodotti commerciali. I corsi che ci vengono proposti sono del tutto sbilanciati sulle vendite, per giunta tutti online e impossibili da svolgere negli orari di lavoro, saturati come sono dal servizio alla clientela o dalle pratiche di back-office. Chi viene “sportellizzato” viene sbattuto davanti all’utenza senza esser preparato e può contare solo sull’ausilio degli altri colleghi (che possono o meno dimostrarsi disponibili) e sulla loro competenza nelle mille procedure. A fronte di una risibile indennità di cassa giornaliera, dobbiamo rispondere interamente del denaro in entrata e in uscita, vale a dire che se ci sono ammanchi dobbiamo compensarli di tasca nostra, oltre che sostenere responsabilità civili e persino penali in caso di errori o operazioni non conformi in termini di trattamento di dati personali, antiriciclaggio, norme di diritto finanziario, eventuale smarrimento di corrispondenza registrata e via dicendo. L’errore è sempre dietro l’angolo e per tutelarsi alcuni colleghi fanno il meno possibile o demandano a terzi, per esempio ai call center, a loro volta con personale precario e non formato che rimanderà a noi le richieste ricevute. E la percentuale di errore aumenta se si lavora sotto organico e sotto la pressione dell’emergenza sanitaria, che abbiamo vissuto interamente.
Qual è il livello di organizzazione dei lavoratori nell’azienda?
I sindacati presenti sono, in maniera preponderante, quelli confederali o aspiranti tali come la UGL, con una storica maggioranza della CISL, a cui spesso devi iscriverti se vuoi far carriera. Svolgono per lo più il ruolo di cane da guardia delle istituzioni, in un gioco delle parti fatto di auto-celebrazioni e di denunce di rito finalizzate a tenere a bada il personale che viene mantenuto nell’ignoranza e in cui si incentiva il meccanismo della delega. Banalmente, è difficile visionare le graduatorie finali di bandi interni o ottenere informazioni precise su accordi, regolamenti e diritti. Tutto resta nel condizionale e nell’approssimazione, quindi laddove l’organizzazione del lavoro è debole, prevalgono le prassi aziendali, i piccoli privilegi derivati dall’anzianità di servizio e quindi le sottili forme di abuso. Il CCNL è scaduto nel 2018 ed è in fase di rinnovo, ma questo avviene senza il coinvolgimento dei lavoratori, che in alcuni casi, specie nei piccoli uffici, sono caratterizzati da una discreta arretratezza (da qui, forse, il pregiudizio sul tipico “para-statale nullafacente delle Poste”). Siamo manovali travestiti da impiegati. Mi ha colpito la definizione che un’amica mi ha dato del tipico postale: “chi mai si prende la responsabilità delle proprie azioni e ne demanda ad altri le conseguenze”. Trovarsi di fronte ad un atteggiamento del genere in effetti è disarmante, contrario a ciò che un lavoratore dovrebbe essere, alla dignità del suo ruolo sociale nella lotta di classe. Ci sono uffici grossi, ma la realtà prevalente è la galassia di piccole realtà che comunicano poco tra loro, rendendo ancora più difficile la diffusione di informazioni, la presa di coscienza e l’organizzazione.
Riprendendo il tuo ragionamento riguardo al ruolo sociale del lavoratore di Poste, è evidente che il servizio postale dovrebbe essere un bene pubblico sganciato da logiche di profitto…
È proprio così e anzi il potenziale è enorme. Vivendo l’ufficio postale da dentro mi preme dire che esso è un presidio fondamentale per il territorio, sia per la capillarità della sua presenza sia per il riconoscimento di cui gode tra la popolazione. Un ufficio postale potrebbe dare risposte a numerosi bisogni, è un luogo a suo modo di socialità e rappresenta anche un agente di inchiesta. Infatti eroga servizi essenziali, di pubblica utilità, come quello postale, ormai in secondo piano rispetto a quello finanziario e commerciale, oltre alle pratiche inerenti la pubblica amministrazione e di assistenza indiretta ad anziani e alle fasce più popolari delle masse. Pensiamo al cosiddetto “sportello amico”, che assolve alle richieste legate innanzitutto ai permessi di soggiorno e di sostegno al reddito, tra cui il Reddito di Cittadinanza. Ma “di amico” esso ha ben poco perché si limita all’esecuzione di procedure oscure persino all’impiegato, che non viene informato delle normative che vanno oltre la ristretta operatività e che spesso si trova, senza saperlo, a reiterare prassi diffuse ma vessatorie. Al contrario, operatori con adeguata formazione potrebbero fornire un reale supporto in termini di indirizzo, difesa e sostegno e, perché no, organizzazione contro le inefficienze e l’iniquità strutturale del sistema, specie per chi non ha strumenti economici e culturali per farvi fronte. Ovviamente a tutto ciò non c’è interesse perché la direzione dell’azienda è tutt’altra… Perché appunto Poste è una S.p.A. e la privatizzazione del servizio pubblico spiega tutto.