Draghi ha la fiducia della UE, delle banche, di Confindustria, dei vertici dei sindacati di regime e della maggioranza del parlamento, ma non ha né la fiducia né il sostegno dei lavoratori e delle masse popolari. Anzi, la sua installazione sta già provocando proteste e mobilitazioni che sono destinate ad allargarsi. I comunisti e i lavoratori devono estenderle per impedire l’attuazione delle misure di lacrime e sangue che Draghi è stato chiamato a imporre.
La formazione del governo Draghi è espressione della temporanea tregua firmata da comitati di affari, dalle lobbies, dalle famiglie malavitose, ognuna in lotta con le altre per difendere ed estendere interessi particolari nella speranza di mettere le mani sui soldi che la UE continua a promettere (Recovery Fund). Il governo Draghi, quindi, è tutt’altro che forte e coeso: è un governo in cui il più autorevole ministro è un faccendiere e in cui i meno autorevoli hanno fatto carriera solo grazie alla loro partecipazione ai festini di Arcore.
Il governo Draghi è un’ammucchiata di ministri: alcuni di loro hanno partecipato direttamente, in primo piano o dietro le quinte, al processo di smantellamento delle tutele e dei diritti delle masse popolari e al saccheggio delle risorse del paese negli ultimi 30 anni. Altri vengono da quel movimento che aveva promesso di liberare il paese proprio da questi personaggi.
Il programma del governo Draghi non è mai stato messo nero su bianco, ma il suo contenuto è chiaro: Draghi ha preso il posto di Conte per rimettere il paese nel solco, solo momentaneamente e parzialmente deviato, dei governi che attuano il programma comune delle Larghe Intese: smantellamento di quello che rimane dei diritti e delle tutele dei lavoratori, liquidazione dell’apparato produttivo del paese e privatizzazioni in ogni campo, tagli alla spesa pubblica (in particolare le pensioni) e sottomissione dell’Italia al meccanismo del Debito Pubblico, cioè ai circoli della speculazione finanziaria internazionale di cui Draghi è un emerito esponente.
Altro che difesa dell’ambiente, di Quota 100, del Reddito di Cittadinanza e dei contratti collettivi di lavoro!
Se Draghi fallisce, non è “la rovina dell’Italia”, ma la rovina dei capitalisti e degli speculatori italiani e internazionali, di tutti coloro che traggono profitto dallo sfruttamento e dalla sottomissione delle masse popolari del nostro paese.
Il fallimento di Draghi è l’obiettivo di tutti coloro che non intendono rassegnarsi al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla speculazione e devastazione dell’ambiente, alle privatizzazioni e riduzione a merce di ogni servizio pubblico, al completo smantellamento delle tutele e dei diritti politici, sociali e civili che le masse popolari hanno conquistato negli anni in cui il movimento comunista era forte.
È un obiettivo di tutti i lavoratori e di tutte le masse popolari. Ma è un obiettivo che, per la natura della posta in gioco, può essere perseguito efficacemente solo in stretto legame con la costruzione dell’alternativa ai governi delle Larghe Intese, con la costruzione del governo di cui i lavoratori e le masse popolari hanno bisogno: un governo di emergenza popolare.
La parabola del M5S di Grillo e Di Maio (che hanno trasformato il M5S da principale forza parlamentare antisistema a principale forza parlamentare che sostiene il governo della Troika) e le manovre sporche di Mattarella per far fuori Conte e installare Draghi sono l’ennesima dimostrazione che il cambiamento di cui c’è bisogno non può avvenire cercando di conciliare gli interessi dei capitalisti con quelli delle masse popolari, né seguendo il catechismo della politica borghese.
Chi punta a raccogliere consensi elettorali dalla mobilitazione contro il governo Draghi per poter entrare in parlamento e incidere “dall’interno”, chi pensa di poter diventare “una voce delle masse popolari nel teatrino della politica borghese”, non ha capito la questione principale: le masse popolari devono governare il paese senza più delegare il compito a questo o quel rappresentate più o meno “amico del popolo” o “di sinistra”.
Le mobilitazioni, le lotte, le manifestazioni contro questa o quella misura del governo Draghi sono tutte giuste e legittime, qualunque forma assumano (pacifica, “violenta”, di massa o di piccoli gruppi di avanguardia), tuttavia, anche se una singola lotta raggiunge il risultato di ostacolare l’attuazione di questa o quella misura, nessuna lotta garantisce risultati definitivi.
Nessuna lotta garantisce risultati definitivi
Quello che la classe dominante è costretta a cedere oggi, tornerà a pretenderlo, con gli interessi, domani.
Basta guardare alla riforma delle pensioni e all’abolizione dell’articolo 18: quello che non sono riusciti a fare i governi Berlusconi e Prodi lo hanno fatto, pochi anni dopo, i governi Monti e Renzi con l’accordo e il contributo di quei sindacati di regime che ai tempi dei governi Berlusconi e Prodi organizzavano proteste e manifestazioni.
Chi oggi chiama alla lotta contro Draghi senza indicare chiaramente quale alternativa costruire e come costruirla, veste i panni della CGIL di Cofferati che nel 2002 incitava alla lotta contro Berlusconi (e portava 3 milioni di persone in piazza) senza curarsi del fatto che chi sarebbe venuto dopo Berlusconi avrebbe fatto uguale o pure peggio.
Stante la posta in gioco, la situazione politica richiede di fare alcuni passi avanti nell’organizzazione e mobilitazione delle masse popolari.
In particolare su tre questioni.
1. La mobilitazione, l’organizzazione e il coordinamento degli organismi operai e popolari. Da quando Mattarella ha annunciato di aver conferito l’incarico di formare il governo a Draghi sono iniziati malumori e proteste in tutto il paese. Ora che Draghi si è installato e fa bella mostra dell’alto profilo dei ministri incaricati, malumori e proteste si sono allargate e si allargheranno. Bisogna combinarle – e non contrapporle o metterle in concorrenza – con le mobilitazioni di quei settori colpiti dalla pandemia e messi in ginocchio dalle misure inadeguate del governo precedente, bisogna combinarle con le mobilitazioni di chi si oppone allo smantellamento dell’apparato produttivo e alla devastazione ambientale (da Taranto alla Val di Susa), bisogna in ogni modo contrastare tutte le tendenze che spingono a dividere e contrapporre il campo delle masse popolari. Senza aspettare gli attacchi per organizzare la lotta, ma lottando fin da subito per prevenirli.
2. Costruire un ampio fronte contro le Larghe Intese. L’ammucchiata dei partiti borghesi attorno a Draghi contribuisce a definire i campi contrapposti della lotta di classe e della lotta politica del prossimo periodo. In ogni organizzazione sindacale, in ogni partito borghese, in ogni aggregato sociale si definiscono e si contrappongono due linee:
– quella di chi si mette al servizio di Draghi e del suo governo “armi e bagagli” oppure accampando mille scuse per non promuovere la mobilitazione e l’organizzazione delle masse popolari (“il governo non ha ancora fatto niente di male, aspettiamo a protestare” o “vediamo come lavora Draghi”);
– quella che incarna il malcontento e la protesta delle masse popolari e lo scollamento fra queste e il sistema politico delle Larghe Intese.
Ovunque si manifesti questa seconda tendenza e qualunque siano le sue manifestazioni, bisogna raccoglierla e legarla alla costruzione di un ampio fronte di forze politiche, sindacali e sociali. Dobbiamo costruire, alle condizioni di oggi, un fronte similare a quello che fu il CLN nella Resistenza.
3. La rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato. “Unità della sinistra”, “unità dei comunisti”, “unità d’azione”, “fronte unico di classe”… si moltiplicano gli appelli di ogni tipo e ogni appello è accompagnato da mille discriminanti, distinguo e clausole che rendono l’unità d’azione impossibile. Chi ha a cuore la rinascita del movimento comunista nel nostro paese deve essere coerente e dare seguito pratico agli appelli che lancia (vedi articolo a pag. 4). Se non ci fosse frammentazione, se le divisioni e le differenze non esistessero oggettivamente e non fossero profonde e importanti, non ci sarebbero neppure tanti appelli all’unità. Non esiste un’efficace unità d’azione senza dibattito politico, come non esiste unità ideologica senza iniziativa pratica comune.
Abbiamo di fronte un bivio: da una parte l’attacco a viso aperto delle Larghe Intese che puntano a fare in Italia quello che la Troika ha fatto in Grecia nel 2010, dall’altra la possibilità di rivoltare questo attacco contro chi lo conduce e togliere le redini del paese a chi lo sta devastando. In questa situazione 10, 100, 1000 mobilitazioni sono necessarie, ma limitarsi a parare i colpi non basta. Che sorgano 1000 mobilitazioni capaci di mirare in alto. Che il loro obiettivo sia imporre il governo di emergenza popolare di cui c’è bisogno per dare a ogni lotta prospettiva di vittoria!
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