La parte costruttiva della lotta di classe

Sviluppare il “per”

È facile imbattersi in discussioni che iniziano con “la lotta di classe nel nostro paese la fanno i padroni e gli operai la subiscono e basta”. In tanti percepiscono la necessità di un salto di qualità nella mobilitazione popolare.
Fra attivisti di movimenti e militanti di organizzazioni politiche una delle tesi che va per la maggiore è che ci vuole più “conflitto”. Anche nel dibattito all’interno delle brigate volontarie per l’emergenza l’argomento è ricorrente: “per superare la logica del solo assistenzialismo bisogna sviluppare il conflitto”.
Oppure è diffusa l’abitudine a valutare il successo delle mobilitazioni operaie o di altri lavoratori in base al grado di “conflittualità” che hanno espresso.
Questa tesi sulla necessità di sviluppare il conflitto, che nasce da una giusta valutazione della situazione – “dobbiamo promuovere un salto di qualità nella mobilitazione popolare a fronte dell’avanzare della crisi” – può portare fuori strada, se con “sviluppare il conflitto” si intende semplicemente moltiplicare le manifestazioni di piazza, cortei combattivi, blocchi, picchetti, assalti a luoghi simbolo del potere della classe dominante, scontri con le forze dell’ordine e così via.

Il conflitto tra masse popolari e classe dominante è un fattore oggettivo della società: per come è fatta la società capitalista, gli interessi delle masse popolari e quelli della classe dominante sono oggettivamente opposti e inconciliabili. Portare le masse popolari a condurre con maggiore consapevolezza la lotta di classe è obiettivo dei comunisti e di quanti vogliono porre fine al disastroso corso delle cose.
Però, nel capitalismo il rapporto tra masse popolari e classe dominante non è solo di conflitto, ma anche di dipendenza: gli operai dipendono direttamente dalla borghesia per il loro salario e in generale è la classe dominante a determinare le condizioni in cui vivono e lavorano le masse popolari. Quindi, proprio in quanto classi oppresse, esse non possono e non sanno fare a meno della classe dominante.
Le lotte rivendicative con cui i lavoratori e le masse popolari cercano di strappare alla classe dominante migliori condizioni di lavoro e di vita (maggiori tutele, maggiore salario, minor tempo di lavoro, rispetto dell’ambiente, ecc.) nascono e si concludono (sia nel caso di sconfitta che di vittoria) entro l’orizzonte della società capitalista e non intaccano i rapporti esistenti fra le classi (la classe dominante continua ad essere tale e così pure le classi oppresse). Ciò avviene indipendentemente dal fatto che le mobilitazioni siano pacifiche o combattive, che siano estese o circoscritte, che creino problemi di ordine pubblico o procedano seguendo vie istituzionali.

Benché non siano – e non possano per loro natura né essere né diventare – lotta politica rivoluzionaria, le lotte rivendicative sono la prima e principale scuola di lotta di classe dei lavoratori e delle masse popolari.
Sta ai comunisti incanalare le lotte rivendicative nel solco della lotta politica rivoluzionaria. Ciò non significa, come abbiamo detto, “sviluppare il conflitto”, ma operare per fare di ogni lotta rivendicativa uno strumento attraverso cui gli organismi operai e popolari imparano a emanciparsi dalle autorità borghesi e dai capitalisti.
Oltre ad essere una mobilitazione di qualità diversa e superiore rispetto alle lotte rivendicative, questa è anche la strada per elevare la combattività delle masse.

Guardiamo, ad esempio, al periodo degli anni ‘70 del secolo scorso nel nostro paese. La conflittualità tra le masse popolari e la classe dominante fu molto acuta, ma ciò non avvenne per gli appelli “più o meno convincenti” alla radicalizzazione delle lotte, ma grazie al fatto che, fin dal 1969, iniziò a crearsi un’articolata e capillare rete di organizzazioni operaie: attraverso le esperienze più avanzate dei Consigli di Fabbrica decine di migliaia di operai impararono a occuparsi della fabbrica in modo alternativo e antagonista alla gestione padronale.
Se ne ricava che il movimento popolare ampio, dispiegato e rivoluzionario non nasce dalla promozione di lotte più radicali, ma al contrario le lotte diventano più radicali man mano che il movimento in cui sono inquadrate è coscientemente rivoluzionario, cioè punta alla trasformazione della società.

Anzitutto i comunisti sono i promotori della costruzione di una nuova società.
Certo, non possono che essere anche contro l’attuale classe dominante e l’attuale corso delle cose, ma essere genericamente “contro il capitalismo” senza avere un progetto di società alternativa porta poco lontano. Siamo contro il capitalismo, ma soprattutto siamo per l’instaurazione del socialismo.
Se portiamo il discorso a un livello più concreto, per le brigate volontarie per l’emergenza superare l’assistenzialismo vuol dire promuovere la partecipazione delle famiglie che ricevono gli aiuti alimentari alle attività della brigata in modo da coinvolgerle in cose che non fanno abitualmente: portare avanti quotidianamente le attività collettive, affrontare le contraddizioni e i problemi che emergono in modo funzionale al proseguimento dell’attività, assumersi nuove responsabilità. Anche se queste attività ad oggi consistono nel “semplice” recupero e distribuzione dei pacchi spesa gratuiti e, apparentemente, non presentano nessun conflitto diretto con la classe dominante.

Sulla base di ciò che la superiore pratica sociale insegna, chi partecipa alla distribuzione dei pacchi spesa, ad esempio, si rende rapidamente conto che l’assistenzialismo non è sufficiente a fare fronte alla povertà dilagante, che bisogna mettere mano al come è prodotta e distribuita la ricchezza nella società.
Ugualmente, una mobilitazione operaia avrà tanto più successo quanto più contribuisce a formare e consolidare un organismo operaio in azienda che opera con continuità e si dà l’obiettivo di imparare a far funzionare l’azienda senza il padrone e i suoi preposti. Perché è vero che solo la lotta paga, ma nel capitalismo nessuna vittoria è duratura: anche la vertenza condotta nella maniera più radicale porta a risultati provvisori e precari. Ogni lavoratore combattivo può confermarlo sulla base della sua esperienza.
Quindi, a conclusione: è il corso oggettivo delle cose ad elevare la radicalità dello scontro fra masse popolari e classe dominante. Chi vuole avere un ruolo positivo e di prospettiva deve porsi nell’ottica di affrontare i problemi contingenti (le lotte rivendicative) con lo sguardo rivolto in avanti: gli organismi operai e popolari si attrezzano per fare fronte agli attacchi della classe dominante quanto più sono inseriti nel processo di costruzione del nuovo sistema di potere che soppianterà l’attuale, quanto più contribuiscono, in definitiva, alla rivoluzione socialista.

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