Editoriale
Se un lavoratore potesse scegliere, alzerebbe l’età pensionabile o l’abbasserebbe? L’abbasserebbe, non c’è dubbio.
Non solo per evitare che chi lavora per vivere debba passare tutta la vita a lavorare o che a più di 70 anni continui a morire nei cantieri e nelle aziende, ma anche per permettere all’esercito di giovani disoccupati di trovare un posto di lavoro.
Se un disoccupato potesse scegliere, sceglierebbe un lavoro tutelato da un contratto collettivo nazionale o un lavoro a chiamata, precario e con un alto tasso di ricattabilità quanto a condizioni di sicurezza, salario, ecc.? Sceglierebbe un lavoro tutelato da un contratto collettivo nazionale, sicuramente.
Non solo perché sarebbe più garantito individualmente, ma perché senza “zone franche” dal CCNL non esisterebbero – o sarebbero estremamente limitati – lavoratori obbligati al cottimo, sottopagati, spinti a scannarsi tra di loro e ad alimentare la guerra tra poveri.
Se ognuno potesse liberamente scegliere, sceglierebbe un lavoro che lo costringe a 8, 9, 10 ore al giorno o un lavoro che gli consente di condurre una vita dignitosa lavorando meno, in modo da poter dedicare tempo alla famiglia, alla socialità, allo studio o a qualsivoglia altra “passione”?
Se ognuno potesse liberamente scegliere tra avere un lavoro utile e dignitoso oppure vivere di sussidi, di reddito di cittadinanza, di CIG o di NASPI, sceglierebbe senza dubbio il lavoro.
Certo, chiunque può osservare che ci sono molte altre figure, soggetti e categorie oltre a quelle che portiamo qui come esempio. Ha perfettamente ragione, ma un lungo elenco non serve a chiarire il discorso.
Il punto è che nessun lavoratore – sia esso dipendente di azienda capitalista, di azienda pubblica o P. IVA – può decidere alcunché sul lavoro che è costretto a fare; sul quando, sul come, sul quanto lavorerà e sul compenso che percepirà per il suo lavoro.
A decidere sono sempre i capitalisti sulla base dell’andamento dei loro affari e lo Stato e le istituzioni borghesi sono al loro servizio.
Se gli affari vanno bene, allora essi possono anche “concedere qualcosa”, ma solo a fronte delle lotte e delle mobilitazioni dei lavoratori. Sia ben chiaro: i capitalisti “mollano la presa” solo se costretti e questo alla faccia di chi semina illusioni sul fatto che possa esistere un capitalismo “più equo e giusto”.
Se gli affari vanno male, i capitalisti non concedono proprio niente e anzi si riprendono anche quello che sono stati costretti a cedere precedentemente.
Quello che succede nei posti di lavoro determina quello che succede anche fuori, nel resto della società.
Sono i capitalisti che decidono cosa produrre e in che maniera, come devono essere distribuiti i prodotti e i servizi, come devono essere usati i soldi pubblici, come va utilizzato il territorio e quali costruzioni devono o non devono essere fatte. Allo stesso modo, sono sempre loro che decidono cosa va insegnato nelle scuole e nelle università, cosa è legale e cosa non lo è, ecc.
Da quando l’umanità è divisa in classi sociali, è la classe dominante che decide per tutti. Ma solo da quando è iniziata la fase capitalista della storia, la classe dominante non decide più sulla base di quello che serve ai suoi appartenenti per vivere nello sfarzo e nell’opulenza, ma sulla base del principio distruttivo – in tutti i sensi – della valorizzazione del capitale.
Nessun capitalista è povero, ma nessun capitalista si accontenta di “essere ricco”. Tutti i capitalisti investono soldi per fare altri soldi e quanti più soldi investono tanto più alto deve essere il loro margine di profitto. Non esiste limite a questo meccanismo. Più è grande il loro capitale maggiore è il loro potere.
Per i capitalisti non esistono diritti umani, coesione sociale, tutela dell’ambiente, valori, principi. Queste sono tutte questioni poste all’ordine del giorno (e imposte) prima dal movimento operaio e poi dal movimento comunista cosciente e organizzato degli ultimi 170 anni.
Non è questione di essere “cattivi” o “spietati”: anche il capitalista “coscienzioso” (ammesso che esista) deve sottostare alle “ferree” regole del modo di produzione che prescindono da tutto e anche da lui stesso, dalla sua coscienza e dalla sua etica individuali.
È questa la base materiale che ha portato il mondo e il nostro paese alla situazione di oggi.
A una situazione in cui i modi per azzerare i contagi da Coronavirus sono conosciuti (basta guardare alla Cina, a Cuba, al Vietnam), ma non vengono applicati perché sono in contraddizione con il profitto dei capitalisti (ancora grida vendetta la mancata chiusura delle aziende non essenziali e la mancata istituzione della zona rossa in Lombardia nel marzo dell’anno scorso).
Oggi esistono i vaccini, esiste il modo di produrne in quantità sufficiente ed esiste il modo per somministrarli in sicurezza a tutta la popolazione, ma a fare d’intralcio sono le grandi industrie farmaceutiche e i governi dei paesi imperialisti che speculano sulla salute delle masse popolari. Ecco a chi servono i brevetti e perché centinaia di aziende farmaceutiche che sarebbero in grado di produrre i vaccini non sono invece coinvolte.
Il 18 febbraio, la sonda Perseverance è atterrata su Marte per cercare forme di vita, mentre nel nostro paese e nel mondo intere popolazioni si ammalano e muoiono a causa dell’avvelenamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, per l’amianto o i rifiuti speciali dispersi nell’ambiente, per gli effetti della produzione capitalista di merci e della loro distribuzione. Tutto questo, quando invece esiste la tecnologia per produrre il necessario, distribuirlo e smaltire i rifiuti in modo compatibile – e anzi funzionale – all’ambiente e alla vita umana.
La borghesia continua a ripetere che questo è l’unico mondo possibile, che ci sono “alcuni miglioramenti da fare”, ma che non esiste – e non serve – un’alternativa.
I comunisti sanno che questo non è vero, sanno che viviamo solo la fase terminale di un periodo definito e circoscritto dell’evoluzione dell’umanità e che, proprio dalle condizioni materiali e culturali create dal capitalismo, scaturiscono i presupposti per il necessario balzo in avanti: l’instaurazione di un nuovo modo di produzione in cui, per funzionare, il mondo deve essere governato dai lavoratori associati.
I primi paesi socialisti hanno dimostrato che un altro mondo è possibile. Oggi conosciamo anche i limiti e gli errori che hanno portato al loro dissolvimento. Da quell’esperienza abbiamo tratto insegnamenti preziosi per riprendere il cammino e instaurare nuovi paesi socialisti.
Spetta a noi comunisti e agli elementi d’avanguardia della classe operaia e delle masse popolari dare alla storia la spinta di cui ha bisogno.
Per il momento, non è importante stabilire se quelli che hanno coscienza che un altro mondo è possibile sono tanti o pochi: è importante stabilire che il mondo che dobbiamo conquistare è il frutto di una guerra e che il modo con cui la combattiamo – quello che si fa o non si fa, l’iniziativa che si prende o non si prende, la battaglia che si ingaggia o non si ingaggia – fa la differenza, decide del risultato. La prospettiva per cui si combatte decide della vittoria.
Parare i colpi, resistere, opporsi al dominio dei capitalisti e sperare che il degrado si arresti non basta. Se si deve combattere, che allora sia lotta per conquistare il mondo migliore, non per difendere il mondo marcio in cui viviamo.
Per vincere serve un piano di guerra
Draghi può fare tutte le “riforme” che vuole, ma al di là delle chiacchiere e della propaganda di regime, la ciccia è che chi lavora dovrà farlo più a lungo, per più ore al giorno e senza rompere i coglioni per maggiori tutele o maggiori stipendi. Altrimenti può starsene a casa senza lavorare.
La ciccia è che negozianti e commercianti saranno strangolati dalla crisi generale e dalle tasse più di quanto sono oggi. Ma non tutti: i colossi della Grande Distribuzione, dell’e-commerce, i trafficanti e gli speculatori finanziari, loro no.
La ciccia è che per quanto in tanti non siano d’accordo con le misure imposte dalla classe dominante, tutti saremmo costretti a subirle e a farci la guerra gli uni con gli altri nella speranza di raccattare le briciole che ci strapperemo di mano.
Quelle “riforme” saremo costretti a subirle se non ci mettiamo in testa che la questione non è principalmente “opporsi a Draghi e alle sue ricette”, ma valorizzare anche quelle proteste per promuovere l’organizzazione e il coordinamento di tutti quelli che si mobilitano per difendersi dagli effetti della crisi. Bisogna far montare la protesta e rendere ingovernabile il paese a Draghi e al suo governo di parassiti fino a cacciarli. Bisogna portare la parte organizzata dei lavoratori e delle masse popolari a costituire il loro governo di emergenza.
Imporre il governo di emergenza popolare, quello che noi chiamiamo Governo di Blocco Popolare, non è ancora la costruzione del mondo migliore possibile, ma un deciso passo in quella direzione.
Nel Governo di Blocco Popolare, non saranno ancora i lavoratori a decidere l’età pensionabile, ma il governo potrà imporre, ad esempio, che non si lavori più di 32 anni e che chi ha più di 60 anni vada in pensione con quanto gli serve per vivere una vita dignitosa.
Ci saranno ancora i disoccupati, per un certo periodo, ma il governo opererà per dare a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso e non ci sarà più nessun settore di lavoro sottratto alla contrattazione collettiva nazionale. Sarà il governo a definire un salario minimo per legge. Sarà il governo a prendere in mano direttamente gli ispettorati del lavoro e a trasformarli nelle agenzie di controllo popolare disseminate sul territorio. Su questa base saranno riorganizzate tutte le relazioni economiche e sociali.
Ad esempio, sarà il governo italiano che stringerà accordi con Cina, Russia e Cuba per le forniture del vaccino contro il Covid-19 e lo distribuirà capillarmente, creando apposite strutture laddove le ASL (che nel frattempo torneranno per decreto Unità Sanitarie Locali e non Aziende) sono state troppo saccheggiate e devastate per garantire il servizio.
Il Governo di Blocco Popolare non è, non sarà, il “paradiso in terra”. E non segnerà neppure un periodo di pace: finché i capitalisti non verranno estirpati, essi trameranno per riprendere le redini del paese, useranno ogni mezzo compresi il terrorismo e la guerra aperta, se necessario.
Ma a quel punto, a combattere non sarà più una minoranza della popolazione.
E contro la maggioranza della popolazione che vuole combattere e che è decisa a difendere quello che ha conquistato e ad avanzare ancora, non c’è terrorismo o guerra che tengano.
Oltre alla presa del governo, se i comunisti saranno capaci di guidarle, la classe operaia e le masse popolari prenderanno anche il potere, instaureranno il socialismo.
Questo non è un “bel sogno irrealizzabile”, ma il piano di guerra che tutti coloro che hanno la necessità di combattere e che sono decisi a vincere devono darsi per avanzare nella rivoluzione socialista e fondare la società in cui tutto il potere sarà nelle mani della classe operaia e delle masse popolari organizzate.
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