Intervista al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova

Intervista a José Nivoi, membro del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP). Le parole del compagno sono un prezioso esempio di cosa è e cosa fa un’organizzazione operaia che assume un ruolo politico, dentro e fuori l’azienda, dimostrano come un gruppo di operai – anche piccolo – può effettivamente fare la differenza se mette al centro della sua azione la classe operaia e si dà i mezzi della sua politica.

Il 2 febbraio, all’indomani della decisione di Mattarella di affidare la formazione del governo a Mario Draghi, avete lanciato un appello alla mobilitazione. Quali sono le ragioni?
Il motivo principale è il sentimento di odio per i continui governi tecnici che si stanno susseguendo nel nostro paese e che altro non sono se non la maschera dei soliti partiti “di destra” e “di sinistra” che hanno governato fino a oggi. Non riuscendo a portare fino in fondo le loro politiche, si inventano questi governi tecnici che alla fine fanno peggio di PD e destra messi insieme. Però la cosa che ci fa più arrabbiare è che oggi non esiste un’opposizione di massa solida e organizzata. Per fare un esempio, solo a Genova ci sono 8 partiti comunisti, 18 collettivi comunisti e 5 spazi di movimento, ognuno dei quali da dieci anni a questa parte, dalle mobilitazioni a Roma del 2011 dell’Occupy Movement, ha prodotto miliardi di documenti su cosa si sarebbe dovuto fare contro i governi tecnici, ecc., ma, alla prova dei fatti, c’è un immobilismo totale. (…) Negli anni ‘70 era possibile per le masse anche compiere azioni più radicali, perché c’erano dei partiti che facevano da retroterra politico, oggi invece i partiti che dovrebbero proteggere chi si mobilita (in teoria quelli di sinistra) ci puntano perfino il dito contro, andando a difendere la visione politica liberal-democratica. Noi ci auguriamo di riuscire a costruire una giornata di lotta e di scontro dalla quale nasca un movimento popolare forte, che unisca i compagni che oggi si fanno la guerra fra loro e che racchiuda i sentimenti di odio che pervadono tutte le categorie di proletari. Per fare un esempio, il 15 febbraio a Genova sono scesi in piazza i ristoratori: anche loro rientrano a pieno titolo nelle nuove masse secondo noi, ci sono persone che hanno bar, trattorie, botteghe, ecc. e campano di quello, non parliamo di borghesi! Si tratta di gente che spesso fa fatica ad arrivare a fine mese, che ha le bollette da pagare, l’affitto, figli da mantenere, ecc. Alla fine sono in una situazione simile a quella degli operai. Stiamo vedendo purtroppo che molti compagni criticano queste categorie di lavoratori, senza capire che esistono e hanno gli stessi problemi anche loro.

Il vostro appello ha avuto una grande risonanza, sui social e non solo, a dimostrazione della vostra influenza sul resto delle masse popolari di Genova e di tutto il paese. Quali sono state le reazioni al vostro appello? Come fare per “dargli gambe”?
A Genova ci stiamo confrontando con le varie realtà politiche e di movimento per sondare il terreno e decidere quali azioni intraprendere a livello cittadino. Come CALP portiamo la linea che è necessario mobilitarsi e che non basta criticare il governo Draghi; bisogna applicare le tante teorie delle quali fino a oggi si è quasi solo parlato!
A livello nazionale, anche grazie al comunicato di rilancio del nostro appello che avete fatto come P.CARC, ci hanno chiamato compagni da Roma, da Napoli, da Civitavecchia, ecc. e abbiamo in programma vari incontri anche come sindacato USB, di cui facciamo parte. Questi incontri tra compagni servono anche a definire le azioni politiche comuni da intraprendere, dovrà arrivare un momento nel quale dovremo mobilitarci tutti insieme senza divisioni e screzi come succede adesso. (…) Questo è un momento storico unico nel suo genere che potrebbe dare veramente quella scossa di cui abbiamo bisogno per andarci a ricompattare.

Voi siete un esempio di quello che vuol dire “organizzarsi dal basso”. Da circa un anno vi mobilitate contro le navi da guerra che attraccano a Genova, attuando una sorta di controllo popolare di quello che passa dal porto. Cosa vi spinge a portare avanti queste attività? Con quali obiettivi?
Per rispondere parto con lo spiegare come è composto il CALP. Siamo un collettivo di una ventina di compagni e ora anche alcuni giovani ci hanno chiesto entrare. Secondo me il nostro punto di forza è che siamo praticamente tutti sindacalizzati e con esperienza alle spalle; in più veniamo tutti da realtà politiche diverse fra loro. Ad esempio io fin da giovane ho sempre fatto parte di collettivi comunisti, partendo da Battaglia Comunista, a Noi Saremo Tutto fino ad arrivare a Genova City Strike in cui milito adesso. Alcuni di noi sono più legati al mondo dell’autonomia, altri sono anarchici, alcuni fanno riferimento ai partiti comunisti, altri più al mondo dei partiti della sinistra classica, ecc. Questo in realtà ci permette di interfacciarci con chiunque in città, dalle istituzioni alle varie realtà popolari e di movimento. In un certo senso riusciamo a prendere atto di quelle che sono le sensibilità politiche di ognuno e portarle nei luoghi di lavoro. Per fare un esempio: il punto in comune di tutti i lavoratori del porto di Genova è il sentimento antifascista e tramite quello, declinando “il tema” secondo le varie visioni e portando avanti la linea e la questione di principio per cui si è antifascisti tutto l’anno e non solo il 25 Aprile o il 1° Maggio, siamo riusciti a portare su larga scala la questione dell’antimilitarismo e a tirarci dietro i lavoratori. Per intenderci, noi non è che siamo contro le armi: paesi come il Venezuela, Nord-Corea, Iraq, Cuba, ecc. comprano armi e ben venga, perché lo fanno per difendersi dalle aggressioni dei paesi imperialisti, non per attaccare. Un altro discorso è quando tu Stato italiano usi il business delle armi e le compri per fare una guerra, contraddicendo il fatto che in teoria lavori per portare la pace nel mondo e invece vendi armi per conflitti come quello in Yemen che è uno tra i più sanguinosi degli ultimi anni, in cui il tasso di civili uccisi è altissimo.

Oltre alle questioni del porto vi esprimente spesso anche su vicende non prettamente legate al vostro lavoro in banchina…
Sì, ad esempio abbiamo più volte preso posizione su questioni di femminicidi e discriminazioni di genere. Una delle vicende che abbiamo seguito più da vicino negli ultimi anni è quella dell’omicidio di Martina Rossi (uccisa in Spagna a seguito di un tentativo di stupro di due ragazzi italiani. Le autorità volevano far passare il caso per un suicidio e così assolvere gli assassini-ndr). Suo padre, Bruno, è stato uno dei fondatori del collettivo autonomo nel porto negli anni ’70. Vedere lui, nostro compagno di lotte, e la madre così provati ci ha distrutto perché era come se fosse morta nostra figlia. La loro lotta è la nostra lotta, per cui ci è venuto naturale appoggiarli in qualunque cosa avessero voluto fare, letteralmente qualunque – anche le cose più radicali – quindi anche nella scelta di intraprendere la via legale per fare giustizia. Per sintetizzare, gli obiettivi del CALP sono gli obiettivi dei compagni, gli obiettivi dei lavoratori.

Quali prospettive vi ponete per i prossimi mesi? In che modo le mobilitazioni che già state portando avanti si inseriscono nell’opposizione al governo Draghi?
Abbiamo delle cose in cantiere a livello sindacale per il lavoro nel porto, che potenzialmente possono anche avere un risvolto politico, ma che non sto qui a spiegare perché prettamente tecniche. In questo cerchiamo anche di coordinarci con i portuali di altre città.
In ogni caso la nostra lotta come lavoratori si inserisce a pieno titolo nell’opposizione al governo Draghi. I nostri obiettivi sono: ripristinare l’articolo 18, abolire il Job’s Act in tutte le sue parti e abolire i Decreti Sicurezza. Questi sono i punti cardine su cui stiamo lavorando e lavoreremo nei prossimi mesi e dovranno secondo noi essere al centro della mobilitazione per quello che riguarda i lavoratori dipendenti.
In particolare c’è da notare che i Decreti Sicurezza sono stati modificati solo nella parte riguardante l’immigrazione, ma per quello che concerne la lotta sociale sono stati addirittura inaspriti! Rischiare 12 anni di carcere per un blocco stradale e minare il principale strumento in mano alla classe operaia che è lo sciopero è assurdo, sono misure da abolire! Però ci rendiamo anche conto che oggi non c’è una forza politica che riesca a far perno su questa cosa, anche perché chi ha attuato e inasprito il Decreto Sicurezza è un partito considerato da tante persone “di sinistra” come il PD. Cioè chi avrebbe dovuto toglierlo lo ha inasprito, quindi è anche difficile andare da questi personaggi per chiedergli di abolirlo… Ci vorrebbe una controparte strutturata che riuscisse in qualche maniera, anche con la lotta, a imporre l’abolizione dei Decreti e il ripristino dell’art. 18. Sull’argomento dei lavoratori autonomi sono un po’ più ignorante, ma sicuramente bisogna porre rimedio alle loro situazioni con dei sussidi, con l’annullamento delle imposte, ecc. Questi sono gli obiettivi politici che si affiancano a quelli sindacali, questo è quello per cui lottiamo ogni giorno dentro e fuori dal porto.

La Rete Antifascista di Genova aderisce alle mobilitazioni dei ristoratori.
Con un post su Facebook la Rete Genova Antifascista ha dichiarato il proprio sostegno alla mobilitazione dei commercianti (ma ci sono anche gli operatori turistici, gli artigiani, i lavoratori dello spettacolo, ecc.) che manifestano il 22 febbraio perché non riescono più a tirare avanti.
Il comunicato di Genova Antifascista è particolarmente importante perché promuove l’unità fra diverse classi e settori delle masse popolari contro il nemico comune, la borghesia imperialista.
I comunisti e gli antifascisti devono partecipare attivamente a tutte le mobilitazioni delle masse popolari tanto per sviluppare le caratteristiche positive di ognuna quanto per sbarrare la strada ai tentativi di infiltrazione dei fascisti, dei leghisti e di tutti coloro che alimentano la guerra fra poveri.

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