[Italia] Rubrica Centenario del PCdI: l’esperienza delle Brigate Rosse

La storia del movimento comunista cosciente e organizzato italiano è fonte rigogliosa di insegnamenti per portare a compimento il cammino interrotto del fare dell’Italia un nuovo paese socialista: il bilancio scientifico (e cioè materialista dialettico) di quest’esperienza è la chiave di volta per realizzare quest’opera.

Approfittiamo delle celebrazioni del centenario della fondazione del PCd’I per ritornare su un capitolo luminoso di questa nostra storia: il tentativo di assalto al cielo degli anni ‘70, la pratica della lotta armata portata avanti dalle Organizzazioni Comuniste Combattenti (che vedevano le loro file composte da migliaia e migliaia di uomini e donne) e in particolare l’esperienza delle Brigate Rosse (BR).

Le BR hanno lasciato un segno profondo nella lotta di classe presente e passata e a questa molti compagni, giovani e meno giovani, guardano con ammirazione stante il ruolo principalmente positivo che esse hanno avuto nel ridare fiducia nelle possibilità di vincere e di fare la rivoluzione socialista nel nostro paese e nell’incarnare una chiara risposta alla deriva revisionista del primo PCI. 

Un esperimento dirompente, questo delle BR, che ha scardinato le illusioni revisioniste ponendo nuovamente all’ordine del giorno (nella lotta di classe dell’epoca) l’obiettivo della costruzione della rivoluzione socialista. Un obiettivo mancato non solo dalle BR, ma dall’intero percorso rivoluzionario del secolo scorso: ciò che ostacola e rallenta oggi la rinascita del movimento comunista nel nostro paese è il superamento di quei limiti, quelle tare ideologiche, che hanno permeato e caratterizzato i tentativi di assalto al cielo che ci hanno preceduto: il riformismo conflittuale e rivendicativo e al riformismo elettorale.

L’esperienza delle BR ha poi contribuito a dimostrare la nocività della (terza) tara del militarismo.

La storia e il percorso delle BR sono un’eredità preziosa e trovano nell’opuscolo Cristoforo Colombo – Ossia di come convinti di navigare verso le Indie approdammo in America (scritto clandestinamente nel 1988)[1] una delle sue principali sintesi: lo riproponiamo perché le BR sono state un eroico tentativo di ricostruzione di un Partito all’altezza dei propri compiti. Obiettivo non raggiunto, infrantosi sulla suddetta tara del militarismo: lo studio di questo testo è radice di utili insegnamenti per farvi fronte e per superarla.

Un’eredità luminosa da cui attingere e da non chiudere opportunisticamente nel cassetto

L’opera delle BR si declina nel pieno della fase di ripresa dell’accumulazione del capitale dopo la II^ Guerra Mondiale (la fase del capitalismo dal volto umano, 1945-1975 circa), una fase caratterizzata da un impetuoso movimento di lotte rivendicative che riescono a strappare alla borghesia nuove conquiste di civiltà e benessere (basti pensare al ‘68, all’Autunno Caldo e ai Consigli di Fabbrica).

Da un lato le possibilità di espansione date da un mondo in macerie e dall’altro il timore che l’esempio dell’Unione Sovietica si materializzasse altrove spinsero la borghesia a dover cedere di fronte all’ampio e generoso movimento rivendicativo montante e, in risposta all’avanzata della classe operaia, a dare poi avvio alla “strategia della tensione” da parte del suo Stato e i suoi apparati (tutt’altro che “deviati”)[2].

È grazie a questo sostrato economico che si affermarono i revisionisti moderni: sono gli anni del “miracolo economico” (1955-1965) ed è in questo frangente che il PCI avanza nel diventare l’“opposizione” nello schieramento borghese, forte della presa revisionista nel PCUS (con il XX° Congresso, 1956).

A fine 1956 (8-14 dicembre) il PCI, con l’VIII° Congresso, sancisce la “via italiana al socialismo” attraverso la lotta per le riforme economiche e la lotta per l’allargamento della partecipazione delle masse popolari alla politica borghese, avventurandosi nel proporla come modello a livello internazionale.

Il Partito Comunista Cinese[3] (insieme al Partito del Lavoro di Albania) diventa il punto di riferimento nella lotta contro il revisionismo moderno e, per combattare la corruzione ideologica e morale innestata nel PCI, in Italia sorgono, forti della battaglia ideologica condotta dai comunisti cinesi, diverse organizzazioni di matrice operaista, marxista-leninista e rifacenti al pensiero di Mao Tse-tung.

Al contempo, il vasto movimento popolare e operaio rivendicativo, con la sola rivendicazione, raggiunge il suo culmine massimo e andare oltre (a questo punto) implica e significa organizzarsi per prendere il potere: perché questo si trasformasse in movimento rivoluzionario era necessario costruire un nuovo centro della lotta per il potere politico del proletariato a fronte dell’abdicazione di questo ruolo da parte del PCI ormai saldamente nelle mani dei revisionisti moderni.

In risposta a questa esigenza, furono due i principali tentativi di ricostruzione di un Partito rivoluzionario, entrambi esauritisi: quello dei gruppi marxisti-leninisti (in particolare del PCd’I “Nuova Unità” nel 1966) e quello delle BR[4] connotato, in ottica di guerra, dalla clandestinità e dalla linea della “ricostruzione del partito comunista tramite la propaganda armata”.

Oggi, la sconfitta delle BR è portata come dimostrazione che è impossibile fare la rivoluzione e instaurare il socialismo nel nostro paese invece, le BR furono un’organizzazione rivoluzionaria realmente innovatrice: con la propaganda armata imposero che la rivoluzione socialista è anche un fatto d’armi dimostrando, per la terza volta in Italia dopo il Biennio Rosso e la Resistenza al nazi fascismo, la possibilità concreta di dirigere le masse popolari nel passaggio dalla prima (la difensiva strategica) alla seconda fase (l’equilibrio strategico) della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Qui si sono arenate perché Partito volevano essere ma, in assenza di una teoria rivoluzionaria di riferimento e una concezione del mondo adeguata, non lo erano né lo diventarono stante per l’appunto i limiti interni di concezione e di analisi non adeguata alle forme, alle condizioni e ai risultati della lotta di classe dell’epoca.

Disperdere i grandi risultati della lotta delle BR è deleterio perché ogni sconfitta, per i comunisti, è fonte inestimabile di insegnamenti e scoperte: in questo senso, fronteggiare senza riserve l’opportunismo di chi evita di farne bilancio o anche solo di parlarne è parte integrante della battaglia per imparare dalla storia del movimento comunista che ci ha preceduto e partire così da posizioni superiori nel compiere e realizzare la nostra opera.

Lo scenario è variegato: ci sono realtà come Rete dei Comunisti e la rivista Contropiano che non disconoscono l’esperienza della lotta armata degli anni ‘70 ma la riducono a un culto della memoria senza bilancio; c’è chi arriva perfino a far finta che in quegli anni nulla sia accaduto (il silenzio di Partito Comunista e Fronte della Gioventù Comunista); c’è chi invece si presta al gioco del nemico e dispensa tesi disfattiste e complottiste (come la recente iniziativa del PCI ligure sull’inflitrazione delle BR – La complessa storia delle Brigate Rosse – Come la lotta armata in Italia cresce e viene infiltrata). Posizioni che, volenti o nolenti, prestano il fianco all’infame retorica degli “anni di piombo” e del “terrorismo”.

Limite questo (del poter e dover imparare dalla sconfitta) che si rintraccia anche nel paravento comune a diversi ex combattenti e prigionieri politici secondo cui “il bilancio dell’esperienza delle BR non si può fare perché non esiste più l’organizzazione”: per il ruolo politico che ancora i prigionieri politici hanno, il loro contributo è prezioso, proprio per rompere con l’idea disfattista che la loro sconfitta derivi dalla forza del nemico.

Anche laddove ci si inoltra nel bilancio della lotta armata, è difficile che questo venga portato fino in fondo: è il caso dell’articolo Brigate Rosse, la parte dannata della storia a firma di Geraldina Colotti su Cumpanis.net (gennaio 2021). L’articolo si conclude con uno spiraglio: “il laboratorio degli anni ‘70 resta ancora una straordinaria fucina a cui attingere”. Il punto è che arriva a metà del guado, lasciando la questione del “cosa attingere” in un limbo non meglio identificato.

Il Cristoforo Colombo e i suoi insegnamenti

Pippo Assan, lo pseudonimo di un “protagonista della lotta di classe degli anni ‘70” autore del testo qui presentato, illustra con chiarezza e ritmo incalzante che le BR, con la loro iniziativa pratica, diventarono un nuovo centro della lotta per il potere politico del proletariato, quel punto di riferimento per le masse popolari “orfane” di un Partito adeguato.

La “rotta” intrapresa portò le BR a rompere con la melensa concezione secondo cui la rivoluzione prima o poi scoppia, dimostrando invece che la rivoluzione è un processo: con una pratica più avanzata della loro consapevolezza e teoria, hanno applicato la giusta concezione secondo cui la rivoluzione si costruisce nell’ambito dell’ordinamento sociale borghese, un processo che prende avvio qui e ora e il cui primo passo è la ricostruzione del partito comunista. Insegnamento questo che la Carovana del (nuovo) PCI ha fatto proprio.

È questa una delle principali ragioni per cui riteniamo l’esperienza delle BR princialmente positivia: navigando verso le Indie (voler fare la rivoluzione socialista), approdarono in America (la forma e il contenuto della rivoluzione socialista). Questa l’innovazione, la “scoperta dell’America”, che le pagine del Cristoforo Colombo pongono in primo piano.

Così facendo smascherarono i revisionisti moderni fino ad accelerarne il declino e acuirono le contraddizioni in campo nemico (emblematico in questo fu l’operazione Moro[5]) arrivando anche a condizionarne la politica.

Dimostrarono che anche i proletari con il “mondo nuovo” dentro possono imparare a fare la guerra.

Ma nonostante l’eroismo profuso, l’esperienza delle BR si è esaurita senza assumere compitutamente il ruolo di centro per la lotta per il potere del proletariato. Ruolo che, stante il cambio di fase, non poteva essere assunto per come erano nate e cioè avanguardia delle lotte rivendicative.

La fase del capitalismo dal volto umano prima e l’ingresso di una nuova situazione rivoluzionaria in sviluppo poi (fine anni ‘70 – inizio anni ‘80) sono le cornici entro cui necessariamente contestualizzare quest’esperienza rivoluzionaria: Pippo Assan, illuminando il cambio oggettivo di contesto e di fase, fissa i motivi della sconfitta delle BR. D’altronde, già Lenin aveva chiarito la dialettica tra condizioni oggettive e soggettive della nostra opera: “Per il marxista non v’è dubbio che la rivoluzione non è possibile senza una situazione rivoluzionaria e che non tutte le situazioni rivoluzionarie sboccano nella rivoluzione[6]. Una bussola fondamentale, ieri come oggi.

La concezione (e la linea) che guidava le BR doveva evolversi e trasformarsi conformemente alle nuove condizioni oggettive in evoluzione e cioè il passaggio dal periodo di ripresa dell’accumulazione del capitale alla nuova (seconda) crisi generale per sovraccumulazione assoluta di capitale (per SAC).

In concreto, scambiarono la fase del capitalismo dal volto umano e l’apice della lotta popolare per ottenere nuove conquiste (all’interno della società borghese) come il momento per poter dare “la spallata finale” all’ordinamento sociale nemico, senza individuare i prodromi dell’avvio di una nuova crisi generale del capitalismo.

Da qui la conseguente incapacità di identificare correttamente il mutamento del regime politico in cui operavano e nel comprendere che anche la natura del movimento delle masse popolari andava trasformandosi. Una natura che è poi diventata dirigente fino ai giorni nostri e cioè quella della resistenza (principalmente difensiva) a fronte della fase di eliminazioni delle conquiste da parte della borghesia in risposta all’avvio della crisi per SAC.

Si passava quindi dalla fase delle conquiste alla fase della difesa e per questa ragione l’intervento dei comunisti doveva partire dalla resistenza e dalla centralità delle masse popolari nella costruzione del nuovo potere del proletariato.

È un insegnamento decisivo per i comunisti di ogni tempo: l’analisi della fase e della natura della crisi in corso sono fondamentali per definire con correttezza il che fare, pena ne è una fallace conoscenza della realtà che impedisce di trasformarla.

La non comprensione del passaggio di fase fu un limite dovuto alla mancata unità ideologica e la debole assimilazione e applicazione della Concezione Comunista del Mondo (il marxismo – leninismo con l’innesto del maoismo e l’applicazione di un suo apporto, la linea di massa). Non solo, le BR se ne discostarono sempre di più, lasciando ampio spazio alla concezione e alla cultura politica della Scuola di Francoforte[7] che ne permeò le file: gli errori di analisi e di metodo portarono alla disgregazione del legame con le masse popolari fino a concepirle troppo arretrate per fare la rivoluzione.

Il risultato fu la sostituzione della centralità e protagonismo delle masse con l’attività combattente di un’avanguardia: la deriva e il naufragio nel vicolo cieco del militarismo è la traduzione conseguente in cui incapparono, subordinando la politica all’attività militare.

Il successo della propaganda armata doveva tradursi nella costruzione del Partito e non nella “guerra civile dispiegata” (“proprio quando questa costituiva (e costituì) un’azione suicida”, scrive l’autore dell’opuscolo) ed è lo stesso Pippo Assan a chiarire il salto che le BR avrebbero dovuto compiere: “rafforzare la nostra capacità di analisi ed orientamento politico, rafforzare la nostra direzione nel movimento delle masse, creare nostri canali e strumenti per formare e reclutare nuove leve in vista del declinare del movimento delle masse”, cioè “fare il salto a partito”.

La raccolta del testimone

Il “nuovo mondo” non si improvvisa e grazie al bilancio scientifico dell’esperienza i comunisti possono (e devono) imparare dalle sconfitte: la Carovana del (nuovo) PCI, il cui nucleo originario prende vita nei primi anni ‘80, ha imparato la lezione facendo propria la necessaria centralità della teoria rivoluzionaria e della sua elaborazione, il marxismo – leninismo – maoismo.

Da questa esperienza la Carovana del (nuovo) PCI mutua l’insegnamento che, per realizzare la nostra opera, bisogna partire dalla costruzione di un Partito all’altezza del compito storico e con il lungo percorso nel 2004 approdato nella fondazione del (nuovo) PCI (e con la sua evoluzione, fino ad avere oggi due Partiti fratelli, il (nuovo) PCI e il P. CARC) lo ha tradotto concretamente: è il Partito Comunista ad essere il centro dirigente e decisivo della costruzione del potere del proletariato organizzato ed è precisamente su questo piano che bisogna far convergere il nostro impegno rivoluzionario.

I fatti hanno la testa dura: la vittoria della rivoluzione socialista dipende dai comunisti e questi hanno bisogno di dotarsi di una una strategia (la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata) e di una tattica corrispondente alle condizioni oggettive e soggettive della fase in cui operiamo (la linea del Governo di Blocco Popolare).

La sconfitta delle BR non può essere imputata né alla ferocia della borghesia, né al “canto” di pentiti, delatori, dietrologi e dissociati e né al ruolo attivo e collaborazionista del PCI revisionista nell’“unità nazionale” con la Democrazia Cristiana. Certamente, la violenza del nemico è sì stata dura, basti pensare al “circuito dei camosci”, alle “leggi speciali” (da cui deriva il 41 bis odierno), alla tortura e alle esecuzioni come in via Fracchia a Genova[8] ma la sola repressione non è mai di per sé sufficiente per impedire la riscossa operaia e popolare.

Assecondare la tesi disfattista secondo cui la lotta armata degli anni ‘70 non raggiunse il suo obiettivo a causa della feroce repressione fatta dalla borghesia è deleterio ai nostri fini perché mina la fiducia nella possibilità di vittoria e soprattutto presta il fianco a caricature della realtà: sarebbe la buona volontà della borghesia a consentire o meno l’azione rivoluzionaria.

Per queste ragioni, i temi su cui come Carovana del (nuovo) PCI riteniamo necessario sviluppare il confronto con tutti coloro protesi a portare a compimento l’opera intrapresa da chi ha aperto la via, sono quattro:

  1. il bilancio del movimento comunista (prima ondata della rivoluzione proletaria e primi paesi socialisti, crisi del movimento comunista e revisionismo moderno, rinascita del movimento comunista sulla base del MLM);
  2. la teoria della (prima e seconda) crisi generale del capitalismo nell’epoca imperialista e della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo;
  3. il regime di controrivoluzione preventiva instaurato dalla borghesia nei paesi imperialisti;
  4. la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

A cento anni dal cammino intrapreso sotto la bandiera di Antonio Gramsci, con scienza, orgoglio, dedizione e onore avanziamo verso il “nuovo mondo” e cioè nel fare dell’Italia un nuovo paese Socialista!

***

Solidarietà ai rivoluzionari prigionieri ancora nelle mani del nemico!

La solidarietà dei compagni e delle masse popolari con i rivoluzionari prigionieri è una questione politica: l’invio di lettere ai detenuti politici e ai compagni prigionieri, come forma di sostegno e rottura dell’isolamento indotto dalla reclusione. Negli ultimi anni il Partito dei CARC ha avviato la promozione dell’invio di cartoline ai detenuti politici del nostro paese. Chiunque volesse sostenere i rivoluzionari prigionieri ancora detenuti scrivendo messaggi di solidarietà, può mettersi in contatto con noi via mail scrivendo a carc@riseup.net. Forniremo gli indirizzi dei luoghi di detenzione e, per chi volesse, metteremo a disposizione le cartoline.

La solidarietà è un arma, usiamola!


[1]   Il testo rimesso in circolazione, grazie alla sua clandestinità, dal (nuovo) PCI è disponibile nella versione aggiornata dalla       Redazione del sito www.nuovopci.it nel 2016. Può essere richiesto alle Edizioni Rapporti Sociali, inviando una mail a carc@riseup.net.

[2]Basti ricordare, nel 1974, le stragi in p.zza della Loggia a Brescia e quella dell’Italicus.

[3]Per approfondire consigliamo lo studio di Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1962) e Ancora sulle divergenze fra il compagno Togliatti e noi (1963) reperibili in Opere Complete di Mao Tse-tung, Edizioni Rapporti Sociali (1991-1994);

[4]   Costituitesi con il Congresso di Costaferrata (RE) nell’agosto 1970.

[5]Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, fu catturato a Roma da un commando delle BR il 16 marzo e poi giustiziato il 9 maggio 1978.

[6]    Il fallimento della II Internazionale in Opere, vol. 21, Editori Riuniti, pagg. 191-192.

[7]Per approfondimenti rimandiamo alla Nota 74 (pagg. 282-283) del Manifesto Programma del (n) PCI reperibile su www.nuovopci.it.

[8]Nella notte del 28 marzo 1980, i carabinieri del generale Dalla Chiesa, irruppero in un appartamento sicuro delle BR e assassinarono Riccardo Dura, Lorenzo Betassa, Piero Panciarelli e Annamaria Ludmann.

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