Lettera aperta alle Brigate Volontarie per l’Emergenza di Milano

Usiamo la campagna elettorale per riprendere il percorso e svilupparlo.
Senza un loro programma autonomo, le brigate non possono porsi come alternativa, ma un bel programma – senza le brigate che lo attuano in ogni quartiere – non ha le gambe per marciare.

Cari compagni,
Vi scrivo in merito all’esperienza delle brigate volontarie per l’emergenza di Milano che da marzo dell’anno scorso sto facendo nella brigata Solidarietà Popolare Milano Sud, a Gratosoglio.
L’esperienza delle brigate è stata molto importante nella nostra città. Nella prima fase della pandemia, in particolare, esse hanno assunto un ruolo determinante a livello cittadino. Si sono affermate con forza come alternativa alla gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni che facevano (e continuano a fare) i maggiordomi di Confindustria & Co abbandonando a se stessi i quartieri popolari.
Siamo arrivati per questa strada a promuovere, il 20 giugno scorso, una manifestazione sotto la Regione, con il proposito di unire le mobilitazioni che in quelle settimane si susseguivano e lanciare un assedio popolare per cacciare Fontana e Gallera. Non siamo però stati capaci di dare seguito a quella manifestazione. Non abbiamo rilanciato l’assedio e abbiamo così cominciato ad abdicare a quel ruolo cittadino, ma anche regionale e nazionale, che le brigate di Milano avevano assunto.
Io credo che il motivo principale sia stato la mancanza di fiducia nelle nostre forze e capacità: non credevamo fino in fondo di poter realmente commissariare dal basso la Giunta regionale.

E penso che questo sentimento fosse generato soprattutto dal non aver compreso appieno come, nella nuova situazione che si era determinata con la fine della quarantena, dovevamo usare l’attività delle brigate, la distribuzione dei pacchi, per continuare a porci come alternativa. Non abbiamo capito come continuare, nelle mutate circostanze, a contendere alle istituzioni borghesi il ruolo di punto di riferimento per le masse popolari; come fare per non ridurre l’iniziativa delle brigate a un’attività di assistenza alla pari delle altre “opere caritatevoli” che già esistono.
Ricordo, infatti, che una difficoltà concreta di quelle settimane – che ha giocato un ruolo nell’alimentare la nostra sfiducia – era riuscire ad allargare anche alle famiglie a cui consegnavamo i pacchi e ai nuovi volontari che si erano uniti a noi, la partecipazione ai momenti più “politici” come le assemblee e le manifestazioni.
Insomma: quando tutti erano chiusi in casa, consegnare la spesa e distribuire pacchi gratuiti a domicilio bastava per porci come alternativa alle istituzioni borghesi che avevano abbandonato a loro stesse le masse popolari, ma nella nuova situazione questo, pur essendo importante, non era più sufficiente.
Su questa scia sono, via via, venuti meno anche gli ambiti di coordinamento e di ragionamento collettivo che per tutti noi rappresentavano uno dei principali elementi positivi di questa nuova esperienza.
Ad oggi il legame tra le varie brigate è principalmente logistico e connesso al recupero del cibo e dei pacchi spesa da Emergency.

Quando tutti erano chiusi in casa, consegnare la spesa e distribuire pacchi gratuiti a domicilio bastava per porci come alternativa alle istituzioni borghesi, ma nella nuova situazione, pur essendo importante, questo non era più sufficiente.

Durante e dopo l’estate, con la brigata a Gratosoglio ci siamo impegnati nel nostro quartiere. Abbiamo coinvolto alcune famiglie nelle attività della brigata, fissato un’assemblea settimanale con loro per discutere delle attività, ragionato della situazione del nostro territorio con l’ausilio di questionari, assemblee e iniziative. Abbiamo ampliato l’attività della brigata con sportelli, scambio vestiti, libri, giocattoli e rigenerazione di computer.
Abbiamo fatto educazione sanitaria allestendo una tenda della salute e iniziato a mobilitarci per imporre ai supermercati di donare i pacchi spesa.
Non essendoci più un coordinamento, conosco meno l’attività delle altre brigate, ma so che alcune hanno fatto percorsi simili al nostro, come immagino abbiano fatto anche altre.
Credo valga quindi anche per loro la questione che oggi si pone a noi: per sviluppare l’attività delle brigate anche solo nel proprio quartiere dobbiamo tornare ad assumere quel ruolo che avevamo acquisito a livello cittadino e anche oltre. Perché i problemi di chi vive nei quartieri popolari non possono trovare soluzione in una dimensione esclusivamente locale, ma sono questioni che riguardano l’intera città, spesso la regione e addirittura la gestione dell’intero paese.

Se vogliamo realmente porci come alternativa all’attuale sistema e non esserne, al contrario, inglobati dobbiamo tornare a ragionare almeno a livello cittadino. Tenendo anche conto che, attualmente, ci troviamo in una fase particolare: quella della campagna elettorale per le elezioni comunali.
Questa sarà sicuramente per le Larghe Intese l’occasione per usare l’esperienza delle brigate a fini elettorali. Il PD e Sala già manovrano per istituzionalizzare le brigate e intestarsi questa esperienza, mentre la destra ne approfitta per contestare loro il legame con centri sociali e spazi occupati.
Non è un caso che, senza grandi sforzi da parte nostra, il Comune di Milano abbia destinato quasi un milione di euro al progetto Milano Aiuta, con il quale, attraverso Emergency, rifornisce le brigate di pacchi spesa gratuiti. Non è un caso che abbia premiato le brigate con l’Ambrogino d’oro. Dall’altra parte, anche la Lega ha già cominciato la sua campagna elettorale organizzando una contestazione fuori dal Torchiera proprio in un giorno in cui si distribuivano i pacchi spesa.
Per fare fronte a queste manovre dobbiamo intervenire nella campagna elettorale con una nostra linea autonoma, dobbiamo trasformarla in un’occasione per tornare a porci con forza come alternativa alle Larghe Intese che amministrano la città, la regione e il paese da decenni, con i risultati disastrosi che vediamo.

Credo che il discorso riguardi, anzitutto, quello che già facciamo nei quartieri dove operiamo. Dobbiamo valorizzare le relazioni costruite in questi mesi di attività con gli abitanti e le altre realtà popolari che li abitano per definire, quartiere per quartiere e dal basso (attraverso assemblee, questionari e tutti gli altri strumenti d’inchiesta che saranno necessari e che individueremo), le misure che servono. Dobbiamo elaborare il nostro “programma” che dia risposte agli effetti dell’emergenza sanitaria ed economica a cui finora abbiamo risposto con la solidarietà, e che dobbiamo cominciare ad attuare subito con azioni di lotta.
A partire da questo lavoro nei quartieri è però necessario, come dicevo, ragionare anche a livello cittadino. Questo significa ricostruire un coordinamento su basi nuove.
Un coordinamento attraverso cui, a partire dallo scambio di esperienze, arriviamo a definire un “nostro programma” anche a livello cittadino e a promuovere iniziative comuni di lotta e di autogestione per dargli gambe. Concretamente vuol dire che, se dall’inchiesta che facciamo emergono due problemi comuni, ad esempio il degrado e la povertà, una parola d’ordine con cui irrompere nella campagna elettorale a livello cittadino potrà essere: riqualificare i quartieri popolari creando nuovi posti di lavoro utili e dignitosi! Sulla scorta di questa parola d’ordine coordineremo, allora, scioperi al contrario in ogni quartiere come iniziativa per affermare nella pratica questa misura che si dimostrerà non solo necessaria ma anche possibile da attuare.
Un coordinamento che sia anche strumento per moltiplicare le nostre forze: occorre rafforzare le brigate esistenti (prima di tutto attraverso il confronto politico) e promuoverne la formazione di nuove sulla base delle misure che abbiamo già individuato e che, di volta in volta, individueremo.
Concretamente, questo significa che se dall’inchiesta emerge, ad esempio, che un problema comune è la gestione ALER dell’edilizia popolare, per affrontarlo e per portare avanti sui territori le soluzioni che individueremo, dovremo promuovere la formazione di nuove brigate in ogni quartiere in cui ci sono case popolari.
Un coordinamento, infine, che sia strumento per sostenere tutte le mobilitazioni popolari: da quelle in difesa della sanità pubblica a quelle in difesa del diritto allo studio e al lavoro. Possiamo iniziare col diffondere l’esempio delle brigate mediche e la pratica del tampone sospeso, soprattutto nelle scuole e nei posti di lavoro, fino ad arrivare a trattare anche della questione vaccini.
In definitiva: senza un loro programma autonomo, le brigate non possono porsi come alternativa; ma un bel programma, senza le brigate che lo attuano in ogni quartiere, non ha le gambe per marciare.

Chiudo, chiarendo una questione. Come vedete ho parlato di intervenire nella campagna elettorale, ma non di liste, candidati, alleanze. Credo che i punti che ho indicato siano la base per intervenire nella campagna elettorale tenendo l’iniziativa in mano. Se abbiamo ben chiari gli obiettivi, la presentazione di liste o candidati o il confronto con altre forze politiche possono essere strumenti che, analizzando la situazione concreta, dobbiamo valutare con serenità se usare o meno. Comunque sempre in funzione di promuovere il protagonismo popolare e la realizzazione delle misure urgenti che indichiamo.
Bando al disfattismo!
Siamo noi, assieme al resto delle organizzazioni operaie e popolari, l’unica alternativa ai Sala, ai Fontana e ai governi delle Larghe Intese. Dobbiamo avanzare fino ad avere la forza di cacciare questa gentaglia e imporre le nostre amministrazioni locali e il nostro governo d’emergenza!
Avanti Brigate!
Mattia Bertolle

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