“Andrà tutto bene” è lo slogan a cui la propaganda di regime ha dato tanto spazio nel marzo scorso per contrastare al modo della classe dominante – a chiacchiere – lo smarrimento e la paura dilaganti. A quasi un anno di distanza la realtà dimostra che la classe dominante è incapace di affrontare e risolvere i problemi delle masse popolari e di tutelarle. È incapace perché i problemi non sono nati con la pandemia, esistevano già prima e la pandemia li ha solo aggravati, e perché per risolvere i problemi dovrebbe sacrificare gli interessi dei capitalisti, degli speculatori e dei malavitosi.
Non c’è nessun motivo valido per illudersi che tutto andrà bene, se la società è basata sugli stessi presupposti di prima e quando le misure per fare fronte alla situazione sono inefficaci o addirittura peggiorano il problema che avrebbero dovuto risolvere.
Gli esempi sono tanti. Per trattarli tutti si potrebbero scrivere i capitoli del grande libro del fallimento di chi giura e spergiura che si possono tenere insieme gli interessi dei capitalisti e quelli delle masse popolari. La verità è che o lo Stato afferma gli interessi degli uni o afferma quelli degli altri.
Il governo che non afferma senza riserve gli interessi delle masse popolari afferma gli interessi dei capitalisti.
Serve un governo che fa gli interessi delle masse popolari
Serve un governo deciso a rompere con i ricatti e della Comunità Internazionale del Vaticano, degli imperialisti UE, USA e sionisti perché sono un cappio al collo delle masse popolari.
Serve un governo deciso a spazzare via i traffici degli innumerevoli comitati di affari, consorterie, cosche e clientele che operano da parassiti su ogni attività economica, politica e sociale.
Serve un governo che metta al primo posto la difesa dei posti di lavoro esistenti e che ne crei di nuovi. Non è vero che “non c’è lavoro”, di lavoro da fare ce n’è tanto, ma i capitalisti non investono in ciò che non produce profitto e in mancanza di profitto sono ben disposti a mandare in rovina i territori, i servizi e il paese.
Serve un governo che faccia funzionare il paese negli interessi dei lavoratori e delle masse popolari anziché negli interessi dei capitalisti e degli speculatori.
Questo orientamento lo riassumiamo in sette misure:
- Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa,
- Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi,
- Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato,
- Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti,
- Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione,
- Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi,
- Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.
Il governo di cui ha bisogno il paese non può nascere dalle alchimie del teatrino della politica borghese (elezioni, maggioranze parlamentari, ecc.), deve nascere dalla mobilitazione cosciente di quella parte di lavoratori e masse popolari già organizzate. Sono loro che devono imporlo alla classe dominante. Come?
Le manifestazioni, gli scioperi e le proteste – iniziative a cui si pensa subito quando si parla di “mobilitazione” – sono importanti: rappresentano il malcontento contro le autorità e le istituzioni della classe dominante e contribuiscono a rendere ingovernabile il paese a chi persegue gli interessi dei capitalisti. Ma per imporre un governo di emergenza popolare questo tipo di mobilitazioni non basta. Il discorso non è soltanto lottare contro qualcuno o qualcosa, ma imporre un corso diverso da quello che si contesta e contro cui si protesta, individuare le misure necessarie a fare fronte alla situazione e attuarle direttamente con gli strumenti e le forze che si hanno a disposizione. È quello che stanno già facendo le brigate volontarie per l’emergenza, le brigate mediche, le tende della salute e una miriade di grandi e piccoli organismi in tutto il paese.
I due aspetti non sono in contraddizione: scioperi e proteste da una parte insieme alla mobilitazione per attuare le misure necessarie dall’altra. I due aspetti, combinati, spingono gli organismi operai e popolari ad agire da nuove autorità, da nuove istituzioni, a costituire l’embrione del governo che, avanzando su questa strada, riusciranno a imporre alla classe dominante.
“Nella coscienza delle masse, anche delle più arretrate, è scaduto il prestigio e la riverenza per le istituzioni, e queste, svuotate di ogni spirito, private di ogni moralità, sopravvivono solo come paurosi vampiri” – A. Gramsci, “Smarrimento” – Ordine Nuovo, giugno 1921).
Come giustamente ci ha fatto notare un compagno, non si tratta di stupirsi di quanto questa citazione sia attuale, ma di trovare la strada per risolvere una questione che nel movimento comunista cosciente e organizzato era già chiara cento anni fa.
La strada c’è. Sono le masse popolari che devono formare loro istituzioni. Sono le masse popolari organizzate che devono diventare esse stesse le nuove autorità di cui hanno bisogno.
La classe dominante farà “buon viso a cattivo gioco”. Se costretta, ingoierà un governo di emergenza popolare. Certo, lo ingoierà con l’obiettivo di sabotarlo, farlo fallire e affermare “vedete, pecoroni! Avete bisogno di noi che sappiamo occuparci degli affari dello Stato e dell’economia”.
Ma i suoi tentativi di “rimettere le cose a posto” saranno tanto più disperati e inconcludenti quanto più le masse popolari saranno disposte a tenere nelle loro mani il governo e saranno proiettate ad avanzare nella rivoluzione socialista, fino a conquistare il potere.
Sì è un sogno! Come diciamo nell’Editoriale di questo numero, bisogna sognare in grande.
I ministri di un governo di emergenza popolare sono nominati e revocati in base a quanto sono fedeli all’obiettivo di trasformare il paese. Devono essere scelti dagli organismi operai e popolari. La loro azione e il loro mandato sono subordinati al fatto che facciano quello che sono stati incaricati di fare dagli organismi operai e popolari, altrimenti sono revocati e al loro posto ci va qualcun altro.
Non c’è posto, per capirci, per gente come Speranza. Chi va messo al suo posto? Non ha senso fare nomi a caso: ci sono reti di medici e infermieri, sindacati e associazioni democratiche che hanno tutti gli strumenti per indicare un ministro della salute che non faccia le marchette a Pfizer, ai gruppi economici e ai cardinali della sanità privata… e lo stesso vale per il ministro dell’economia, del lavoro, dell’istruzione pubblica, ecc.
Non “lasciamoli lavorare”, ma “dovete fare quello che diciamo noi”
Quando le masse popolari si mettono in moto, anche fra gli elementi della sinistra borghese, fra i sinceri democratici e nel movimento sindacale emergono personaggi che si distinguono per essere più illuminati, democratici, “amici del popolo”.
È responsabilità dei revisionisti del PCI prima, e della sinistra borghese poi (PRC e frammenti), se i lavoratori e le masse popolari sono stati educati per 40 anni a delegare i loro interessi a questo o quel rappresentante della classe dominante che appariva “più democratico”. Sono loro che hanno ridotto l’attività politica e sindacale dei lavoratori a tessere e voti.
Non è vero che le cose vanno dove il singolo esponente carismatico è disposto a farle andare. In verità le cose vanno dove le masse popolari organizzate le spingono.
“Lasciamoli lavorare” è la formula tipica, usata da chi ha lasciato mani libere alla borghesia imperialista, al Vaticano e ai loro lacchè e pensa che le masse popolari hanno bisogno “del pastore” (pecoroni! Lasciate lavorare chi se ne intende!).
Dobbiamo fare il contrario. “Fate quello che diciamo noi, oppure via”, con le buone o a calci in culo.
In questo modo anche i democratici, i progressisti, gli illuminati, al di là che abbiano mille relazioni con la classe dominante – a partire dal fatto che è il loro ambiente di provenienza: è dove hanno studiato, lavorato, fatto carriera, sono diventati esperti e intellettuali… – si mettono al servizio del cambiamento del paese e possono svolgere un ruolo positivo. Ma in definitiva il loro ruolo non è determinante.
Non dipende da loro se il futuro prossimo sarà cupo e nefasto oppure luminoso. Il corso oggettivo delle cose impone un cambiamento: esso sarà positivo se la classe operaia e le masse popolari diventano artefici del loro futuro strappandolo di mano ai capitalisti, ai papi, ai cardinali e ai malavitosi.
Non è solo una strada possibile, è precisamente la strada che stiamo perseguendo e che chiamiamo le masse popolari a percorrere.
Quegli Onorevoli “un po’ così”…
Nelle lunghe giornate della crisi di governo i media hanno parlato tanto dei “responsabili” che avrebbero dovuto votare la fiducia a Conte pur essendo stati eletti nei partiti di opposizione. Mattarella si è inventato un altro nome, i “costruttori”, per cercare di nascondere la puzza di marcio che il termine “responsabili” ricordava, dopo che Razzi e Scilipoti votarono la fiducia a Berlusconi nel 2010…
Fra i possibili “responsabili”, in quei giorni è stato intervistato Lorenzo Cesa, capo dell’UDC. Non se ne sentiva parlare da quando finì sotto inchiesta a Catanzaro per truffa e associazione a delinquere, nel 2006 (operazione Poseidone) e ora era lì in TV a decidere se sostenere o far cadere il governo.
Che storia! è finito sotto inchiesta per ‘ndrangheta, un’altra volta!
È un caso isolato, non rappresenta tutti i parlamentari! dicono i “difensori delle istituzioni”. E hanno ragione! Non tutti rappresentano direttamente la ‘ndrangheta: c’è anche chi rappresenta altre organizzazioni criminali, la grande industria, il Vaticano, ci sono quelli del “partito del cemento”, i promotori delle grandi opere e pure i fautori dell’impunità per gli sbirri che compiono abusi.
La Repubblica Pontifica è una commistione di centri di potere: ogni fazione è in lotta con le altre per spartirsi gli affari, ma tutte sono unite contro la classe operaia e le masse popolari.
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