Il Centenario della fondazione del PCd’I
Nel 1922 si svolse a Roma il secondo congresso del PCd’I, ad appena un anno dalla sua fondazione. Il congresso sancì una linea di aperta contrapposizione con le indicazioni dell’Internazionale Comunista e avviò il Partito verso un vicolo cieco da cui si riprenderà solo 4 anni dopo, con il Congresso di Lione e la nomina di Gramsci alla sua direzione. Furono 3 anni decisivi per la sorte della mobilitazione popolare e quindi del paese: senza un partito comunista adeguato al compito di promuovere e dirigere la rivoluzione socialista fino alla vittoria, la mobilitazione reazionaria delle masse popolari prese il sopravvento.
Trattiamo l’argomento oggi perché, nonostante le mille differenze, la questione della concezione, della strategia e della tattica dei comunisti è, come allora, la questione principale.
Il contesto è quello del primo dopoguerra: la Grande Guerra (1914-1918) aveva mostrato alla classe operaia e alle masse popolari di tutta Europa che la rivoluzione socialista era necessaria; il successo della Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 aveva dimostrato loro che era anche possibile.
In tutti i paesi imperialisti era in corso un ampio movimento popolare. Al grido di “fare come in Russia”, milioni di lavoratori avevano dato vita a tentativi insurrezionali e rivoluzionari nel cuore dell’Europa. I partiti socialisti e socialdemocratici riuniti nella Seconda Internazionale si erano però dimostrati inadeguati a guidare la rivoluzione socialista. Di fronte al fallimento di questi tentativi rivoluzionari, fu la borghesia a prendere la testa del movimento delle masse popolari, traducendo la ricerca di una via di uscita dal marasma in corso nella mobilitazione reazionaria.
In Italia, in particolare, alla sconfitta del Biennio Rosso seguì una rapida avanzata del fascismo che di lì a poco (precisamente con la Marcia di Roma dell’ottobre del 1922) avrebbe preso il potere.
A fronte di questa situazione, l’Internazionale Comunista (1919 – 1943), nata su impulso di Lenin e dei bolscevichi, si mise alla testa del processo per costituire in ogni paese partiti comunisti che rompessero con il riformismo e la sottomissione dei partiti socialisti esistenti alla borghesia imperialista. Nel suo II Congresso (19 luglio – 7 agosto 1920), essa definì le 21 condizioni che ogni partito avrebbe dovuto soddisfare per poter aderire e, nel III Congresso (22 giugno – 12 luglio 1921), registrando il momentaneo fallimento dei movimenti rivoluzionari, definì la tattica del Fronte Unico contro la mobilitazione reazionaria: una politica basata sulla combinazione di lotta ideologica contro il riformismo e unità di azione nelle mobilitazioni per unire le forze antifasciste.
In questo contesto in Italia nacque il PCd’I che nel 1922 tenne il suo secondo congresso.
Innegabilmente, un ruolo positivo nella nascita del PCd’I fu assunto da Amedeo Bordiga che fu il principale promotore della scissione dal PSI. Proprio questo ruolo lo pose di fatto alla testa del Partito.
Il secondo congresso del Partito, svoltosi a Roma tra il 20 e il 24 marzo 1922, certificò l’egemonia del gruppo di Bordiga nel movimento comunista italiano. In esso vennero varate le tesi sulla tattica (“Tesi di Roma”) che andavano nella direzione opposta rispetto alle risoluzioni dell’Internazionale sul Fronte Unico. Perseguivano sì lo sviluppo della lotta ideologica contro i riformisti e i socialdemocratici, ma anche la separazione e la contrapposizione fra il partito comunista e tutti gli altri partiti antifascisti.
In ragione di ciò, il PCd’I sviluppò un atteggiamento di chiusura e settarismo anche nei confronti delle diverse forme che la mobilitazione delle masse popolari andava prendendo nel paese. Basti pensare alla politica adottata nei confronti degli Arditi del Popolo, la principale organizzazione di lotta armata contro le squadre fasciste, considerata da Bordiga ambigua in ragione della presenza al suo interno di posizioni fortemente eterogenee e contraddittorie. Il Partito arrivò a contrapporre agli Arditi la costituzione di “squadre d’azione comuniste” e a emettere una direttiva “di scomunica” pubblicata su L’Ordine Nuovo il 3 luglio 1921.
Anche nelle fabbriche la politica del Partito fu di chiusura nei confronti degli operai socialisti, anarchici, cattolici, ecc., nonostante le indicazioni chiare provenienti dall’Internazionale Comunista.
A parte alcune prese di posizione di Gramsci, in seno al Partito non si sviluppò una lotta sulla linea da seguire né una chiara alternativa alla direzione di Bordiga.
A fronte del consolidamento del fascismo, gli errori di linea e di tattica del PCd’I spinsero l’Internazionale Comunista a intervenire direttamente per rimuovere Bordiga dalla segreteria del Partito e sostituirlo con Gramsci che in Unione Sovietica (dove soggiornò tra il maggio 1921 e il 1923), aveva consolidato la sua assimilazione del marxismo – leninismo.
La direzione di Gramsci fu confermata e consolidata con il III Congresso, svoltosi nel 1926 a Lione (il PCd’I fu costretto alla clandestinità dopo essere stato messo fuori legge dalla dittatura fascista). Le “Tesi di Lione”, approvate dal congresso, contengono una critica precisa alla linea tattica e alla concezione di Bordiga individuata apertamente come una deviazione del movimento comunista da contrastare senza ambiguità. Nel documento sono denunciate chiaramente le “preoccupazioni formalistiche e settarie” a fronte delle quali “l’attività del partito e le sue parole d’ordine perdono efficacia e valore rimanendo attività e parole di semplice propaganda”.
“È inevitabile”, continua il documento, “come conseguenza di queste posizioni, la passività politica del partito. Di essa “l’astensionismo” fu nel passato un aspetto. Ciò permette di avvicinare l’estremismo di sinistra al massimalismo e alle deviazioni di destra. Esso è inoltre, come la tendenza di destra, espressione di uno scetticismo sulla possibilità che la massa operaia organizzi dal suo seno un partito di classe capace di guidare la grande massa sforzandosi di tenerla in ogni momento collegata a sé”.
Il “comunismo di sinistra” (il bordighismo e il trotzkismo sono sue varianti) è una deviazione dal marxismo.
È composto da personaggi e gruppi rimasti ancorati al marxismo della Seconda Internazionale, caratterizzato da:
1. determinismo storico: la rivoluzione socialista scoppierà, il socialismo prevarrà per forza dello sviluppo storico, ecc.;
2. comunismo inteso come soddisfazione delle rivendicazioni in termini di beni e servizi (salario, ecc.). Rivendicazioni che gli operai giustamente avanzano nei confronti dei capitalisti, ma che sono ancora all’interno delle relazioni borghesi;
3. emancipazione degli operai come loro diritto di associarsi come si associano i capitalisti, di discutere e parlare, di organizzarsi: in breve come estensione agli operai dei diritti della democrazia borghese. Senza tener conto che la democrazia borghese è fatta su misura dei capitalisti e in più che gli operai sono sistematicamente esclusi dalle condizioni e dai mezzi necessari per partecipare alla democrazia borghese. Quindi in realtà siamo di fronte a portatori di una deviazione (diversione) dalla lotta di classe, di un imbroglio, di una illusione. (…);
4. la concezione del partito come espressione della classe operaia nel campo della lotta politica (senza neanche distinguere chiaramente tra partecipazione alla lotta politica borghese e lotta per la conquista del potere) anziché come avanguardia (Stato Maggiore) che guida la classe operaia ad adempiere al ruolo storico della soppressione della borghesia e del superamento della divisione dell’umanità in classi
Da “Solo con una concezione giusta si è capaci di mobilitare quanto di positivo vi è anche dove predominano concezioni sbagliate”; La Voce del (nuovo)PCI n.43
Benché trattato brevemente e in modo molto sintetico in questo articolo, il secondo congresso del PCd’I offre ai comunisti di oggi insegnamenti particolarmente importanti.
L’insegnamento principale lo ricaviamo dal contestualizzare il secondo congresso nella ricca e gloriosa storia del movimento comunista: il partito adeguato a dirigere la rivoluzione socialista fino all’instaurazione del socialismo è il partito che usa sistematicamente e senza paura la lotta ideologica per contrastare le concezioni e le idee sbagliate e per affermare (e usare) le idee e concezioni giuste.
Il movimento comunista cosciente e organizzato ha già trattato e risolto nel suo processo evolutivo alcune questioni che pure si ripresentano oggi. La questione del settarismo “verso chi non è comunista” o la chiusura verso lavoratori “che non sono operai” (discussione tanto in voga oggi contro le Partite IVA!) non sono solo “opinioni”: sono errori gravi e devono essere corretti. La storia dimostra che chi non vuole correggerli è estraneo al movimento comunista. Vale per Bordiga e vale per Trotsky: le loro concezioni “di sinistra” non furono e non sono in grado di trasformare la realtà, sono nocive al movimento rivoluzionario della classe operaia e delle masse popolari.
Certo è, e questo è un altro insegnamento, che non basta denunciare i limiti delle concezioni arretrate: un partito comunista adeguato ai suoi compiti è quello in cui chi denuncia i limiti e gli errori è disposto ad assumersi la responsabilità della direzione basata su una linea giusta, cioè su una linea coerente con le leggi attraverso cui si trasforma la realtà.
Per questo, concludiamo che, lungi dall’essere una storia ingessata e buona per le celebrazioni, quella del primo partito comunista italiano è storia che dimostra, in lungo e in largo, l’importanza dell’unità e della lotta ideologica. Non c’è alcuna unità possibile senza lotta ideologica.
Arditi, non gendarmi!
Gli Arditi del Popolo, di cui quest’anno ricorre il centenario della fondazione, erano un’organizzazione paramilitare costituita da veterani ed ex militari della prima guerra mondiale fondata a Roma, il 17 giugno 1921.
Nascono dalla mobilitazione nel primo dopoguerra degli ex combattenti, in particolare quelli dei reparti d’assalto, gli Arditi appunto, delusi dagli esiti della guerra e dal peggioramento delle loro condizioni di vita. Una parte di essi confluì nel nascente squadrismo, l’altra diede vita agli Arditi del Popolo.
Il mancato intervento del Partito Comunista d’Italia sugli Arditi del Popolo, dovuto al giudizio di ambiguità che il gruppo dirigente bordighista dava di un organismo contraddittorio e politicamente eterogeneo (c’erano dentro socialisti, repubblicani, senza partito, ecc.), determinò un rapido riflusso di quella mobilitazione che fu in gran parte riassorbita dal fascismo.
L’errore del PCd’I fu ampiamente criticato dall’Internazionale Comunista, che invano aveva dato indicazioni precise per valorizzare una mobilitazione particolarmente importante ai fini della lotta al fascismo. Per approfondimenti sulla storia degli Arditi del Popolo, rimandiamo all’articolo pubblicato nel 2019 su Resistenza.