Con il 2021 si apre una fase di consolidamento del P.CARC: in 6 città si svolgono i congressi straordinari per strutturare meglio le forze e impostare su basi più solide l’attività ordinaria.
Sono città in cui il Partito già esiste e che vivono situazioni anche molto diverse tra loro. In tutte però, attraverso il congresso straordinario, la strada compiuta fino ad oggi viene valorizzata ai fini della strada che dobbiamo ancora compiere e dell’obiettivo di creare le condizioni favorevoli al Governo di Blocco Popolare.
A seguire, cercheremo di mettere a fuoco, caso per caso, alcune questioni che riteniamo utili non solo per i nostri compagni e il nostro Partito, ma anche per i militanti di altri partiti comunisti, di collettivi e organismi che si pongono l’obiettivo della rinascita del movimento comunista.
I problemi che i comunisti incontrano non sono mai i problemi di un singolo partito o di una singola organizzazione, ma sono problemi che tutti i comunisti devono affrontare per avanzare. Allo stesso modo, le scoperte, le vittorie grandi e piccole non sono patrimonio di una singola organizzazione, ma di tutto il campo comunista.
Sezione di Firenze-Peretola
La discussione congressuale ha posto sul tavolo tutta una serie di questioni: l’importanza del radicamento territoriale; la necessità di dare ordinarietà al nostro intervento fuori e dentro le aziende e le scuole; l’importanza di conoscere gli abitanti del quartiere, i loro problemi, le loro aspettative e persino il modo in cui esprimono la loro incazzatura per ritrovarsi al governo di questa città e di questa regione – che è stata un “baluardo rosso”! – gentaglia della risma di Giani, Renzi e Nardella.
La Sezione opera nel più popolare e popoloso quartiere di Firenze, nel cuore industriale della città, un territorio che offre mille appigli per lo sviluppo del nostro lavoro.
A fronte di questo, un limite della Sezione è proprio la mancanza di un solido legame con il quartiere. Non che non si facciano attività, al contrario. Ma ci ritroviamo a sostenere una battaglia dopo l’altra “senza gettare basi più avanzate”, senza fare di ogni battaglia l’occasione per costruire organismi che poi continuino a esistere e a operare in autonomia, in grado di diventare progressivamente dei punti di riferimento per le masse popolari del quartiere, e senza dare agli elementi più avanzati delle masse popolari la prospettiva concreta di legarsi al Partito per far rinascere il movimento comunista.
In definitiva, la Sezione ha il grande limite di intervenire “a ricasco” del movimento spontaneo delle masse popolari, senza essere in grado di dirigerlo lei stessa. Il congresso straordinario è stato occasione per ragionare sui motivi di questo limite, sulle sue soluzioni e sulle prospettive.
Il dibattito è stato vivace perché sostenuto da una pratica ricca: siamo “sempre in moto”… Ma anche la discussione ha, in un certo modo, risentito dei problemi che dobbiamo affrontare: se nel lavoro esterno essi si manifestano con l’inseguire le mille iniziative delle masse popolari, nel lavoro interno essi si traducono nella tendenza ad avvitarsi in discussioni di tipo organizzativo, quando la questione è invece ideologica.
L’abbiamo messa a fuoco, attingendo dall’esperienza del Partito e confrontandoci con la Segreteria Federale: dobbiamo approfondire la comprensione della giusta relazione fra comunisti e masse popolari; dobbiamo imparare a distinguere bene il ruolo dei comunisti e il ruolo delle masse popolari nella rivoluzione socialista che stiamo costruendo. In effetti, a ben vedere, l’attività della Sezione è caratterizzata dal fatto di sovrapporre e confondere i comunisti con le masse e l’attività dei comunisti con l’attività delle masse.
Ne viene fuori un bel casino: i comunisti si sostituiscono alle masse popolari e si fanno promotori in prima persona di mobilitazioni rivendicative, intervengono esclusivamente in queste e si pongono addirittura in concorrenza con altri che, al pari loro, le organizzano (è la guerra a chi le fa più grandi, più radicali, ecc.). Problemi del genere non possono avere soluzioni di tipo organizzativo. Non si tratta di “fare le cose meglio”, si tratta di fare “cose diverse”.
Eccoci al nocciolo della questione. Non riusciamo a promuovere la trasformazione di un organismo affinché inizi a operare come nuova autorità, “semplicemente” perché non ci poniamo nella condizione di farlo. Non riusciamo a valorizzare la mobilitazione di altri (movimenti, centri sociali, ecc.) ai fini della costruzione della rete degli organismi operai e popolari perché li imitiamo in quello che loro già fanno (e in vari casi anche meglio di noi) anziché mettere a fuoco qual è il “pezzo in più” che possiamo e dobbiamo mettere noi. Non riusciamo a spingere altri aggregati di comunisti (sezioni di altri partiti comunisti, collettivi, ecc.) ad assumere un ruolo superiore nel sostegno alle lotte perché anche noi ci attestiamo al loro stesso livello.
La discussione congressuale ci ha permesso di individuare questo limite che poi, a catena, ha evidenziato tutta un’altra serie di questioni: l’importanza del radicamento territoriale; la necessità di dare ordinarietà al nostro intervento fuori e dentro le aziende e le scuole; l’importanza di conoscere gli abitanti del quartiere, i loro problemi, le loro aspettative e persino il modo in cui esprimono la loro incazzatura per ritrovarsi al governo di questa città e di questa regione – che è stata un “baluardo rosso” (del vecchio PCI revisionista) gentaglia della risma di Giani, Renzi e Nardella.
Abbiamo svolto il congresso il 29 gennaio e da coordinatore della Sezione sono stato eletto Segretario. Il congresso ci ha insegnato a maneggiare meglio la concezione comunista del mondo (le cose si imparano a fare facendole e anche sbagliando). Detta in altri termini – forse anche più corretti – ho capito meglio, come dirigente del collettivo, che è imparando ad analizzare la realtà che mi circonda con le lenti della concezione comunista del mondo che riuscirò a dare gambe ai nostri piani e ai nostri progetti portando la Sezione a raggiungere gli obiettivi che ci poniamo.
Lorenzo Mazzoni, segretario di Sezione
Sezione Verbano-Cusio-Ossola
Dove la sinistra borghese vede lo “sbandamento verso il sovranismo” di un territorio che fu rosso “come il sangue che versò”, noi abbiamo trovato un territorio ricco di contraddizioni e in cui il movimento operaio e comunista ha impresso un solco indelebile; contraddizioni che non possiamo limitarci a contemplare, ma dentro cui dobbiamo affondare le mani, in cui dobbiamo intervenire.
A fine gennaio si è svolto il congresso della Sezione VCO (Verbania-Cusio-Ossola). La Sezione, nata nel 2018, ha svolto una ricca attività e si è rafforzata con l’ingresso di tre giovani compagni. Esistevano quindi le condizioni per (e anche la necessità di) un congresso straordinario come tappa di un ulteriore sviluppo.
Come segretario uscente ho lasciato l’attività della Sezione per assumere compiti nella Segreteria Federale, è stata eletta una nuova segretaria di Sezione e il collettivo si è dato una strutturazione più funzionale grazie all’assunzione di nuove responsabilità da parte degli altri membri.
Non si è trattato però solo di un avvicendamento nella direzione e di distribuzione di compiti: è stata un’occasione per ragionare a fondo sull’attività della Sezione, sui passi avanti compiuti, sulle difficoltà che sono emerse e sulle linee di sviluppo.
Il VCO è una zona particolare, ai comunisti è richiesto uno sforzo particolare per superare l’influenza della sinistra borghese ed essere capaci di un intervento in autonomia che metta al centro gli interessi delle masse popolari e la lotta per il socialismo. Un esempio? È una zona in cui è ancora viva la tradizione legata alla Resistenza e ai valori dei partigiani (qui sorse la Repubblica partigiana dell’Ossola!), con un’importante tradizione del movimento operaio, ma è anche una zona in cui, a livello elettorale, la Lega spadroneggia da anni tanto nelle elezioni amministrative (i sindaci di molti comuni piccoli e piccolissimi sono della Lega), quanto nelle regionali. Ovviamente il VCO è un bacino di voti per la Lega anche per le politiche. La combinazione di questi fattori ha generato una situazione per cui la Lega con cui abbiamo a che fare in VCO è convintamente (costretta) a dichiararsi antifascista, a partecipare alle celebrazioni del 25 Aprile e a promuoverle, a intitolare scuole e giardini pubblici ai partigiani, ad accollarsi il “fardello” di una figura come quella di Gianni Rodari (partigiano e celebre scrittore nato a Omegna).
Qui abbiamo trovato “gli operai che votano Lega”. E non una sparuta minoranza! Qui abbiamo toccato con mano cosa significa che la Lega ha una base a cui deve rendere conto.
Stante le caratteristiche del territorio, la Lega ha ancora un ascendente sulle masse popolari anche per la “politica di rottura” di cui è stata promotrice per “tutelare gli allevatori dalle grinfie della UE” fin dati tempi dei “COBAS del latte”.
Dove la sinistra borghese vede lo “sbandamento verso il sovranismo” di un territorio che fu rosso “come il sangue che versò”, noi abbiamo trovato un territorio ricco di contraddizioni e in cui il movimento operaio e comunista ha impresso un solco indelebile; contraddizioni che non possiamo limitarci a contemplare, ma dentro cui dobbiamo affondare le mani, in cui dobbiamo intervenire.
La Sezione del VCO lo ha sempre fatto, fin dalla sua nascita. Anzi, è nata – per certi versi – proprio su questa spinta.
Abbiamo toccato con mano però, che la buona volontà non basta, che un orientamento giusto, ma generale, non è sufficiente: occorre dotarsi di strumenti di lavoro scientifici, occorre attingere alla concezione comunista del mondo e imparare a maneggiarla.
Ci siamo posti di riprendere e sviluppare il lavoro di inchiesta sul territorio: il VCO è composto da una miriade di piccoli e piccolissimi comuni (anche i “grandi centri” sono per lo più piccole cittadine) nei quali sono disseminate le attività produttive. La classe operaia non è concentrata, ma dispersa e dobbiamo mettere a punto metodi e sistemi per individuarla in maniera più precisa.
Anche l’inchiesta su quali siano oggi le principali attività produttive è un campo di lavoro aperto. Le vecchie fabbriche hanno subito processi di ristrutturazione e alcune hanno chiuso. Le famiglie operaie hanno in parte cambiato settore di lavoro (a beneficio del turismo, dell’allevamento e dei servizi, ecc.) e si sono “disperse” sul territorio e ci sono da considerare anche i moltissimi frontalieri che lavorano in Svizzera.
Termino con una breve riflessione sulle mobilitazioni delle masse popolari. Anche in VCO c’è fermento su mille fronti. Nelle piazze si ritrovano insieme elementi delle masse popolari con i più vari orientamenti. Insieme si combatte, ad esempio, la battaglia contro la costruzione dell’ospedale unico e la chiusura dei piccoli ospedali già esistenti e a scendere in campo ci sono anche varie amministrazioni locali per la massima parte leghiste… insomma, una situazione in cui la necessità di un intervento dei comunisti è evidente.
Il salto che dobbiamo compiere attiene proprio al riportare, senza indugi e senza preclusioni di sorta – superando l’influenza della sinistra borghese sempre in agguato – la falce e il martello nel suo posto naturale, fra le masse popolari che si mobilitano.
In questo modo volgiamo a nostro favore le caratteristiche positive del territorio e le sue contraddizioni: ad esempio quelle fra la Lega e le masse popolari che pretende di rappresentare, quelle fra le amministrazioni locali leghiste, la Regione e il governo centrale, quelle fra i politicanti che in Val Susa speculano sul TAV e in VCO sono costretti ad attivarsi contro gli effetti della devastazione ambientale e del dissesto idrogeologico. Non si tratta solo di “smascherare la Lega”, ma di fare in modo che il movimento comunista torni a essere punto di riferimento per le masse popolari.
Matteo Chindemi, segretario uscente della Sezione