La sinistra borghese è costituita dall’insieme di partiti, organismi e personaggi che concretamente, nella loro attività politica, nei loro programmi, nelle loro iniziative e proposte politiche, non vedono altra società possibile che quella basata sull’iniziativa economica dei capitalisti, sulla proprietà dei capitalisti, sulle aziende che devono produrre profitti, sulle relazioni mercantili (di compra-vendita).
Non concepiscono o rifiutano il socialismo.
(…) Vorrebbero (supponiamo pure sinceramente) che tutti i membri della società avessero una vita decente. In concreto che l’avessero anche i proletari, i nullatenenti, che sono quelli a cui nella società borghese è negata o che per averla devono arrabattarsi ogni momento della loro vita, sperando sempre di trovare un padrone, che non sia troppo esoso, che gli affari del loro padrone vadano bene. Vorrebbero salari decenti, pensioni decenti, un lavoro assicurato per tutti i proletari. Insomma vorrebbero il capitalismo, una società borghese (cioè fondata sulla proprietà e sull’iniziativa economica dei capitalisti), ma senza “i mali del capitalismo”, che provocano disordini e ribellioni, scioperi e dimostrazioni, ruberie ed evasione fiscale e che, in definitiva, inciampano con crisi e sproporzioni il funzionamento della stessa economia capitalista.
Vogliono il capitalismo senza gli inconvenienti del capitalismo.
Da “La crisi della sinistra borghese”, La Voce del (nuovo)PCI n.27