Abbiamo letto sulla Nazione che verranno attivate, con il progetto Re-Start, le Reti di Solidarietà dei quartieri fiorentini per la distribuzione di pacchi alimentari, forniti da Caritas e Banco Alimentare in aggiunta ai buoni spesa: verranno erogati fino al 30 aprile. Sembrerebbe una buona notizia questa attivazione delle istituzioni, seppure a scoppio ritardato se si considera che le nuove restrizioni per la Toscana e Firenze sono state stabilite a fine ottobre e si sono protratte quasi fino a Natale, colpendo ulteriormente i lavoratori legati al settore del turismo e della ristorazione (ma anche quello aeroportuale e la pelletteria stentano a ripartire, per ovvi motivi) che già versavano in difficoltà economiche.
“Il 52,5% di coloro che hanno fatto richiesta dei buoni spesa sono lavoratori che hanno visto cambiare la propria situazione reddituale a causa del Covid, mentre gli altri (il 47,5%) sono persone che vivono in soglia di povertà (Isee inferiore a 6000 euro). Tra i lavoratori, due terzi (il 64%) sono a tempo indeterminato, il 16% a tempo determinato, il 13% lavoratori autonomi e il 7% lavoratori intermittenti” dice La Nazione.
Aggiungiamo che sono lavoratori di settori in cui il lavoro nero è spesso la norma, motivo per il quale chi vi lavora ha avuto sostegni al reddito dallo Stato prossimo allo zero (per non parlare della CIG arrivata dopo mesi). Comunque, è una fotografia esemplare della situazione di emergenza in cui siamo immersi visto che si parla di migliaia di famiglie.
Questo “progetto” è il tentativo di far rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta, cioè di istituzionalizzare il lavoro di redistribuzione alimentare che diverse brigate di solidarietà e squadre di raccolta hanno riattivato (lo facevano già a primavera durante il primo lockdown) nei giorni immediatamente successivi al DPCM di fine ottobre, che tra l’altro ha chiuso e costringe a tale condizione i circoli e le case del popolo: luoghi nati sui principi del mutualismo e deputati a svolgere un compito simile. Una chiusura che prosegue in modo ingiustificato e il cui motivo è squisitamente politico, se messo a paragone con centri commerciali, fabbriche e chiese che proseguono tranquillamente le rispettive attività, dove gli assembramenti sono la norma e non ci sono praticamente più nemmeno i blandi controlli che venivano fatti qualche mese fa.
Si vogliono, semplicemente, tenere chiusi i luoghi di aggregazione, confronto, mutualismo e organizzazione delle masse popolari insieme al mondo della cultura: cinema, scuole e teatri, associazionismo, musei.
Tornando alla raccolta alimentare, vediamo in questa mossa il tentativo di soffocare esperienze, riassorbendole, che in questi mesi hanno coinvolto e valorizzato centinaia di volontari alimentandone il protagonismo e spesso togliendoli dall’apatia, che hanno tessuto reti di solidarietà e nuovi rapporti in quartieri popolari come Rifredi, S. Frediano e S. Iacopino senza aspettare che le suddette istituzioni si muovessero (abbiamo visto quanto sono lenti).
Le squadre hanno fatto leva sulla generosità dei commercianti, degli ambulanti dei mercati e costretto anche alcuni supermercati della GDO per avere a disposizione i generi di prima necessità necessari, di tante e tanti sottoscrittori a testimonianza della generosità delle masse popolari. Oggi proseguono in modo ordinario le attività di redistribuzione a diverse decine di famiglie ogni settimana.
Le cifre che si spendono settimanalmente e il valore di quanto viene donato ogni settimana per fare i pacchi alimentari, ci fa dire che i 300mila euro stanziati da qui a tre mesi dalle istituzioni sono una cifra abbastanza ridicola rispetto alle reali necessità dei lavoratori e delle masse popolari, a conferma che la classe dominante si vuole solo lavare un po’ la coscienza con la carità ma si guarda bene dal risolvere i problemi principali e urgenti.
Serve dare a tutti un lavoro utile e dignitoso di cui la raccolta differenziata spinta e il potenziamento del trasporto pubblico locale sono due tra i tanti esempi, invece di proseguire le speculazioni e gli scempi delle Grandi Opere Inutili come il (pericolosissimo) sottoattraversamento cittadino dell’AV e il raddoppio di Peretola; serve il potenziamento degli altri servizi a cominciare dalla sanità e dalla medicina territoriale in grado di fronteggiare adeguatamente (non come ora) il COVID e ogni altra malattia non mortale nel 2021; serve il recupero degli edifici pubblici vuoti come villa Basilevsky per eliminare le classi pollaio e far ripartire la didattica in presenza a pieno regime in sicurezza, con le assunzioni di docenti e personale ATA a tempo indeterminato e non limitate al COVID come adesso; serve il recupero di immobili come le tante caserme (ex Panificio, Sesto Fiorentino) e palazzine vuote per far fronte alle migliaia di richieste di case popolari invece che proseguire con la svendita del patrimonio pubblico alle multinazionali del turismo di lusso come viene fatto per l’ex Teatro Comunale e Palazzo Serristori.
Questi sono alcuni dei compiti urgenti e necessari che si deve porre un’amministrazione di emergenza che intende concretamente far fronte alla crisi economica, sociale, ambientale e politica che attraversa il nostro paese e non dare mancette e oboli caritatevoli.
Ma soprattutto queste emergenze sono quelle su cui devono intervenire le brigate e squadre di solidarietà se vogliono darsi una prospettiva e non essere riassorbite nel circuito dell’assistenzialismo (spesso interessato), legandosi alla classe operaia e al movimento di resistenza spontanea che inevitabilmente l’aggravarsi della crisi – quella sanitaria potrà arrestarsi ma non quella economica e sociale – farà crescere.
Sulla base della nostra esperienza, in questi mesi, abbiamo ragionato su come dare continuità a questo lavoro definendo alcuni passi che le Brigate (sulla base delle loro specificità, del contesto in cui intervengono) possono e devono fare per allargare il loro raggio d’azione e per agire nella direzione (principale) di promuovere e organizzare le masse popolari: quelle che ricevono il pacco alimentare (tutte quante? Partiamo da alcuni, anche pochi ma mettiamoci in quest’ottica!) ma non solo.
Le iniziative che ad oggi stiamo sperimentando in alcuni territori e che sottoponiamo al dibattito e alla riflessione dei tanti compagni impegnati in questa attività sono le seguenti:
Legarsi alle attività dei comitati popolari e delle associazioni dei territori per conoscere palmo a palmo i quartieri per fare inchiesta e prendere i contatti di quanti non riescono ad avere cure adeguate, hanno problemi economici, problematiche legate al lavoro o allo studio a causa della didattica on-line, o sono senza tetto e organizzarli su ognuno di questi fronti.
Fare una mappatura delle case sfitte, e dei caseggiati che necessitano urgenti ristrutturazioni e un censimento delle famiglie sotto sgombero. Garantire un tetto e un lavoro utile e dignitoso per tutti, fare un censimento delle strutture agibili ma abbandonate da adibire come scuole per permettere la ripresa delle lezioni e coinvolgere studenti, insegnanti, genitori in questa battaglia legandosi ai docenti che si stanno già, da mesi, mobilitando insieme agli studenti.
Vigilare sul rincaro dei prezzi, e fare inchiesta su quali sono i supermercati, ospedali, aziende necessarie che non rispettano le misure di sicurezza per clienti e lavoratori, e quali le aziende non rispettano l’adozione dei DPI e sensibilizzare innanzitutto ai lavoratori sulla necessità di imporre protocolli di sicurezza.
Sostenere le lotte dei lavoratori e delle masse popolari contro il carovita, per il blocco degli affitti pubblici e privati, e per l’ autoriduzione delle bollette e per la campagna sul reddito universale (reddito di emergenza).
Operare nei quartieri per mettere in campo iniziative, attività di lotta al degrado, per lo sviluppo di una sana socialità, il recupero di spazi comuni abbandonati all’incuria (ad esempio con iniziative quali scioperi al contrario) per sostenere le famiglie a far fronte all’isolamento e contro l’abbandono non solo materiale ma anche psicologico.
Questi sono solo alcuni esempi di attività che possiamo mettere in campo a partire da quello che concretamente (oggettivamente e soggettivamente) è possibile fare (bando al “o tutto o nulla!”): individuiamo collettivamente per ogni quartiere in cui siamo presenti di cosa c’è bisogno, coordiniamoci e uniamo le forze su quello che occorre fare!
Questo è l’invito che come Partito facciamo a quanti fino ad oggi sono impegnati in queste attività.
Abbiamo sempre affermato che quella delle Brigate di Solidarietà è un esperienza importante perché è una scuola per imparare ad affermare dal basso le misure che servono alle masse popolari, è una via per costruire in ogni quartiere un punto di riferimento e un centro di mobilitazione delle masse popolari, per costruire quella rete del nuovo potere popolare che dobbiamo far crescere per soppiantare il sistema di potere della classe dominante.
In una situazione che per tanti versi ricorda quella di una guerra dobbiamo ricostruire il paese alle nostre condizioni e non a quelle della classe dominante che dell’emergenza è causata: liberiamoci dal virus e dal capitalismo!