[Milano] Intervista a Geraldine portavoce della Rete internazionale in difesa del popolo Mapuche

Ti puoi presentare?

Mi chiamo Geraldine, sono cilena e sono in Italia da venti anni. Faccio parte della Rete Internazionale in difesa del popolo Mapuche, un popolo originario che si trova nell’attuale territorio occupato dal Cile e dell’Argentina.

Che tipo di attività svolgete in Italia? Come organizzate la solidarietà col popolo Mapuche?

La nostra rete comprende diversi collettivi in numerose città d’Italia. Siamo pochi, ma riusciamo ad autorganizzarci con grande coscienza anticapitalista per portare il nostro sostegno al popolo Mapuche che lotta contro le multinazionali che occupano e devastano le loro terre in nome del profitto e che subisce storicamente la violenza dello Stato cileno e argentino.

Portiamo il nostro sostegno ai prigionieri politici Mapuche incarcerati per aver difeso le loro terre e criminalizzati in virtù dell’infame legge “antiterrorismo” di Pinochet di cui, da sempre, chiediamo l’abolizione.

Sosteniamo il popolo Mapuche con la controinformazione, le diffusioni, le denunce internazionali e i contributi economici che riusciamo a raccogliere attraverso le attività di autogestione che organizziamo nei centri sociali e con il sostegno di collettivi antifascisti italiani. Inoltre, abbiamo un banchetto on line (a causa della pandemia da Covid-19) attraverso cui vendiamo materiale e i cui proventi vanno a sostegno delle Comunità Mapuche in Resistenza e del popolo cileno in lotta.

In Cile attualmente c’è una situazione di grande fermento, i giornali riportano notizia di continue manifestazioni. Cosa ci puoi dire tu che hai informazioni dirette?

Nel 2019, a seguito dell’aumento del biglietto della metropolitana è scoppiata la rivolta sociale causata, in realtà dal forte disagio sociale che si protrae da molti anni e di cui è responsabile Piñera, ma anche i governi che lo hanno preceduto. La dittatura di Pinochet è durata 17 anni, ma i governi che si sono succeduti hanno mantenuto in vigore la sua Costituzione, le sue leggi e le politiche fasciste di cui a beneficiare sono stati tutti questi governi dell’imprenditoria e le loro élite politiche. In Cile il popolo deve pagare tutto: le cure mediche, l’educazione, le pensioni: ogni cosa è un business, non esistono più diritti.

La rivolta va avanti in un contesto di repressione brutale e di violenza poliziesca atroce. In Cile ci sono, ancora, oltre 2000 persone in carcere per aver manifestato, più di un anno fa, contro le leggi di questo governo dittatoriale. Questo in virtù di infami montature della polizia, senza alcuna prova concreta di crimini commessi. Sono, inoltre, quasi 500 le vittime di mutilazioni oculari provocate della crudele repressione dei Carabinieri e 50 i manifestanti uccisi durante le proteste.

Oggi la rivolta è ancora viva e qualche mese fa si è tenuto un referendum per abolire la Costituzione introdotta da Pinochet [il 25 ottobre 2020 oltre il 78 per cento della popolazione cilena si è espressa per la sua cancellazione – nda], per averne una nuova che sia espressione del popolo sovrano e libero e non dei soliti partiti politici, una Costituzione fatta dal popolo che oggi protesta ancora nelle piazze. Il problema è che molti partiti e vecchi politici non intendono rinunciare ai loro privilegi e al loro potere e questo crea ostacoli.

Ci puoi fare degli esempi di come funziona la “giustizia” cilena?

Il 7 gennaio scorso, in Cile è stata letta la sentenza di condanna dei poliziotti che due anni fa uccisero il compagno mapuche, Camilo Catrillanca, della comunità Temucuicui: il tribunale, ha giudicato il poliziotto che ha sparato a Camillo, colpevole solo di omicidio semplice, pena per cui sono previsti tra i 5-10 anni di carcere. Una pena quindi irrisoria che sarà confermata nei prossimi giorni quando è prevista la lettura completa della sentenza con le motivazioni. Il 7 gennaio, si è verificata per così dire “una tragica coincidenza”: mentre parte della comunità si recava in tribunale per conoscere la sentenza, più di 800 agenti di diversi reparti della polizia hanno fatto irruzione in sei comunità mapuche diverse, armati fino ai denti, con droni, elicotteri, camionette e blindati.

L’irruzione non aveva nessuna giustificazione; si è sparato sui bambini e gli anziani che erano terrorizzati. Noi però sappiamo bene che l’azione non è stata casuale: la polizia ha scelto il giorno della condanna di uno di loro per compiere una vera e propria rappresaglia.

Questa azione ci rende ancora più consapevoli che la giustizia non è fatta per il popolo perché mentre questo poliziotto non farà, quasi sicuramente, neppure un giorno di carcere, al contrario il compagno mapuche Facundo Huala deve scontare una pena a 9 anni di prigione per aver difeso le terre dall’occupazione capitalista della multinazionale italiana Benetton.

Un altro atto di grave repressione è avvenuto durante la commemorazione dell’uccisione del compagno mapuche Matías Catrileo, lo scorso 3 gennaio, nella città di Antofagasta: un carabiniere ha preso la pistola e ha sparato in testa a un ragazzo dopo essersi coperto il codice identificativo, cosa questa che, ultimamente, succede sempre più spesso.

Vedi delle similitudini tra Cile e Italia circa l’impunità di cui gode la polizia?

Il potere giudiziario cileno è famoso per essere un potere corrotto, classista e anche razzista contro il popolo Mapuche. Ma sì, ci sono molte similitudini. Penso che le dinamiche di fondo siano le stesse: si coprono i crimini che la polizia, compie. I poliziotti colpiscono e assassinano chi lotta. E penso che il potere giudiziario sia complice del potere politico tanto in Italia come in Cile. Il potere è governato dagli interessi economici: in Cile sono le multinazionali come la Benetton che intervengono perché i nostri compagni vengano processati e incarcerati e lo stesso accade, anche se in misura e con modi diversi, qui in Italia.

Esiste poi in Cile una sorta di “patto del silenzio” per i crimini commessi dalla polizia: nessuno ha visto e fatto niente e l’impunità la fa da padrona.

Abbiamo tanti esempi del genere sia in Italia che in Cile.

Per far fronte alla repressione poliziesca che hai denunciato, sono nate in Cile diverse brigate che soccorrono i manifestanti, quali sono? In piazzale Baiamonti, a Milano, la Brigata Soccorso Rosso ha espresso loro solidarietà. Ci puoi raccontare da chi sono composte le brigate cilene e cosa fanno?

Devi sapere che da quando è scoppiata la rivolta in Cile i manifestanti hanno iniziato a darsi ogni giorno appuntamento a Piazza Italia – il cui nome è stato poi cambiato dal popolo in Piazza della Dignità – e di fronte ai numerosi feriti provocati dalla violenza poliziesca è nata l’idea di dar vita alle brigate mediche per soccorrere i manifestanti.

Le brigate non ricevono nessun sostegno dal governo, nascono spontaneamente e sono autorganizzate. Ad ogni manifestazione sono presenti numerose brigate, composte da volontari e da personale sanitario. Al loro interno ognuno ha un ruolo ben preciso: c’è chi soccorre i manifestanti, chi li cura, ci sono anche gli “scudieri” ovvero persone che fanno da scudo con la polizia per permettere al personale sanitario di intervenire sui feriti. Le brigate sono una grande espressione d’amore del popolo cileno, di coraggio e di umanità.

La repressione non risparmia nessuna di esse e in particolar modo non risparmia la brigata Newen Mapuche nata dalla volontà di un nostro compagno cileno di assistere i manifestanti feriti in Piazza della Dignità. Le brigate sono autorganizzate e si autofinanziano grazie alla solidarietà delle masse popolari cilene, alle donazione delle persone e di reti come la nostra presenti a livello internazionale.

Le brigate mediche intervengono anche nei quartieri popolari, istituendo per esempio dei presidi sanitari, oppure il loro intervento si limita solo alle manifestazioni?

Che io sappia ci sono brigate che prestano servizio medico anche nei quartieri, mentre altre invece non lo fanno. La brigata Newen Mapuche che io ho conosciuto, fondata dal compagno Rodrigo, per esempio interviene nei quartieri. Anche in quello di Mario Acuña, un altro compagno che oggi è ridotto in stato vegetativo perché aggredito dai carabinieri proprio nel suo quartiere. Quindi sì, ci sono brigate mediche che intervengono nei quartieri popolari, esiste una rete di solidarietà nei quartieri, nelle città.

La brigata Newen Mapuche a dicembre ha distribuito pacchi alimentari e doni alle famiglie dei quartieri popolari e ha sostenuto anche le famiglie dei prigionieri politici, quindi non interviene solo in campo sanitario, ma anche in tanti altri ambiti interni alla rivolta cilena.

Secondo te esperienze del genere possono servire da esempio per un paese come l’Italia?

Sì, certo. Ovviamente il contesto politico in Italia è diverso da quello cileno, in Italia non si è “in guerra” contro uno Stato fascista che risponde solo con la violenza e la repressione, ma anche in Italia con la crisi economica e sociale che la pandemia da Covid-19 ha acuito, c’è molto bisogno delle brigate.

In Italia esistono oltretutto risorse maggiori rispetto al Cile dove non esiste nessuna copertura sanitaria da parte delle istituzioni e dove l’unico mezzo per garantire la salute delle masse popolari è l’autorganizzazione popolare. Il Cile dimostra bene che è comunque possibile, con l’autorganizzazione e la solidarietà, reperire quanto serve per far fronte ai problemi. Noi diciamo “solo il popolo aiuta il popolo”.

In Cile si sa molto bene che è un errore affidarsi alle istituzioni: è una contraddizione politica enorme chiedere ad esempio alle istituzioni permessi e risorse, quando sono le istituzioni stesse a sgomberarti da case e spazi, sono le stesse istituzioni che ti criminalizzano per protestare, che ti incarcerano, per cui la coerenza politica la dobbiamo mettere in pratica sempre con i fatti e non solo a parole, perché dai nostri carnefici non vogliamo niente. Non vogliamo le briciole dello Stato e in Cile stiamo molto attenti a questo aspetto.

Quanto è importante per voi la solidarietà internazionalista di altre organizzazioni o organismi?

La solidarietà internazionalista è bellissima, perché è uno scambio d’amore rivoluzionario, oltrepassare le frontiere e superare le distanze per arrivare in questo caso alla fine del mondo è una soddisfazione umana e politica enorme. E’ importantissima anche dal punto di vista umano, perché alcune volte ci si sente davvero impotenti…, io a volte mi sento impotente e ho l’impressione che la mia solidarietà non serve a niente quando vedo che continuano comunque a reprimere, a incarcerare, a uccidere i miei compagni nella completa impunità, ma allo stesso conto mi rendo conto di quanto riusciamo a costruire e a dare attraverso la solidarietà internazionalista collettiva e reciproca.

La solidarietà internazionalista è anche emozionante e ad esempio i compagni cileni erano felicissimi di sapere che una brigata qui in Italia ha condiviso la loro lotta, ha espresso loro solidarietà nella lotta che tutti conduciamo contro il nemico comune.

La solidarietà internazionalista è importante anche a livello economico, forse è brutto dirlo ma è la realtà … perché 5 euro qui in Italia sembrano pochi, ma in Cile sono un grosso aiuto. Da noi la situazione economica è disastrosa e si è aggravata con il governo Piñera e ancor più con la pandemia. Siamo arrivati al punto che gli abitanti dei quartieri cucinano in un grande pentolone comune, la “olla común”, per aiutare le famiglie in difficoltà e queste cose non si vedevano dai tempi di Pinochet, tante famiglie non hanno di che sfamarsi… anche aspetti come questo si affrontano insieme con l’autorganizzazione. Garantire un pranzo a queste famiglie, reperire soldi per le mense popolari è parte della solidarietà internazionalista così come riuscire a sostenere le brigate mediche, i prigionieri politici della rivolta e i prigionieri mapuche, le comunità mapuche che recuperano le terre usurpate delle multinazionali, le vittime della violenza poliziesca, gli attivisti che vengono repressi e uccisi come è accaduto alla compagna mapuche Macarena Valdés per aver difeso il territorio dalla devastazione causata dalla costruzione di centrali idroelettriche. Quello di Macarena è un altro degli omicidi che rimangono ancora, con nostro grandissimo dolore, impuniti.

La rivolta del popolo cileno per me è un esempio di lotta in cui non trovano spazio protagonismi ed egocentrismi: è una lotta trasversale, collettiva, reciproca e veramente popolare in cui tutto un popolo mette anima e corpo.

Il popolo cileno è stanco di continue umiliazioni e lottare nelle strade è l’unico modo per conquistare una vita dignitosa e la libertà. La libertà non si cambia con nulla, non si svende.

Purtroppo in Cile conosciamo molto bene la repressione e la violenza poliziesca. Per questo approfitto di questa intervista per esprimere come Rete internazionale in difesa del popolo Mapuche la nostra solidarietà internazionalista alla compagna Rosalba Romano, vittima della persecuzione giudiziaria e della polizia.

Luchar, hasta que la dignidad se haga costumbre.!!

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