Salve,
una gentile compagna mi ha fatto un regalo di Natale, un libro di uno storico sulla vita di Dante Alighieri e io, come il Grinch, il mostriciattolo verde che odia il Natale e fa a pezzi i pacchi dono che la gente si scambia in questo giorno, ho fatto a pezzetti il libro, ma nel senso che ho fatto una critica al contenuto, non che lo ho distrutto come feci quando una compagna di lavoro mi regalò Il libro nero del comunismo (gli diedi fuoco). Io, infatti, non odio il Natale e sono grato a chi mi fa un dono. In cambio gli spiego quello che sta scritto nel libro. Questo lo spiego anche a te in questa lettera perché la materia di cui tratta è tanto diffusa che si insinua ovunque, inquinando le coscienze. E’ l’equiparazione tra comunismo e nazismo e tra Stalin e Hitler, cosa che si è insinuata perfino nella bozza di tesi di tua sorella. Perciò inoltro questo scritto anche a lei e a tutti gli interessati.
A risentirci,
P.
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Giuseppe Stalin e Dante Alighieri, Federico Engels e Alessandro Barbero.
Scrivo qui di quattro soggetti assai diversi tra di loro per statura intellettuale e morale, per la fama di cui godono, per il periodo storico in cui sono vissuti. Comincio da Alessandro Barbero, il più recente e meno noto rispetto agli altri. E’ nato a Torino nel 1959, si occupa soprattutto di storia medioevale, insegna all’università di Torino, è diventato famoso per le conferenze che fa su youtube e che sono molto seguite per la sua capacità divulgativa. È apprezzato a sinistra perché si è opposto all’equiparazione tra comunismo e nazismo tentata dalle forze più reazionarie d’Europa. E’ piacevole ascoltarlo e presenta le cose con questa angolazione di sinistra, e ciò lo rende abbastanza popolare. Ha un modo di porsi che intende “parlare al cuore” delle masse popolari, usare la loro lingua e modi di pensare tra loro diffusi, con lo scopo di elevarne il livello culturale. A guardare la cosa in modo ampio, Alessandro Barbero è in linea con altri divulgatori che lo hanno preceduto ma differenti da lui sul piano intellettuale e morale, perché hanno scritto alla luce di un movimento comunista ancora assai forte e che illuminava per ogni dove e chiunque intendesse dedicarsi a “fare scuola alle masse popolari” e arricchire il loro patrimonio culturale di conoscenze fino a ieri loro negate o di concezioni annunzianti un’epoca nuova, da tutti attesa, dopo i disastri della guerra, la Seconda Guerra Mondiale. Parlo dei tempi in cui l’URSS era uscita vittoriosa dalla guerra e sopravanzava gli USA nell’esplorazione dello spazio, e del maestro Alberto Manzi (Roma, 1924 – Pitigliano, 1997) che quando fu introdotta nelle case la televisione insegnava a scrivere facendo disegni a carboncino, o del poeta Gianni Rodari (Omegna, 1920 – Roma, 1980) maestro nel fare versi semplici e comprensibili da tutti a partire dai bambini. La spinta che animò questi due personaggi e molti altri nell’epoca, negli anni Sessanta dello scorso secolo, si esaurì negli anni Settanta e rinasce anche più potente oggi, ma nel nuovo movimento comunista e nei partiti che ne sono avanguardia, non nell’ambito in cui opera Alessandro Barbero. L’ambito di Barbero è quello della scuola borghese, e dell’università che vuole essere la sua forma più alta. Nell’università borghese il movimento comunista reale non ha alcuno spazio. Hanno spazio soggetti che si dicono comunisti e non lo sono e sono tenuti lì per confondere le idee alle masse popolari, per fare loro credere che il comunismo è quello di cui parlano questi professori e quindi farle deviare dalla conoscenza scientifica della materia e far sì che perdano tempo prezioso. In particolare, professori che si dichiarano comunisti o di sinistra per avere il lasciapassare nella carriera accademica devono dichiararsi antistalinisti, cosa che anche Barbero fa, seppure en passant e una sola volta, almeno nel suo ultimo libro su Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321).
Barbero, infatti, da storico del Medioevo quale è, coglie l’occasione di scrivere una vita di Dante Alighieri, dato che quest’anno ricorre il settimo centenario della sua morte.[1] È una storia che si fa leggere volentieri ma che non spiega come mai questo poeta è diventato un classico e la sua opera dura nei secoli. Non ci insegna l’essenziale, quindi, e perciò non serve a chi in questi tempi così critici deve sapere l’essenziale, prima di tutto (e in ciò si distingue dal Manzi sopracitato, che ci insegnava come si scrivono la A, la B, la C e tutte le altre lettere dell’alfabeto, cosa essenziale per le masse popolari italiane ancora in parte analfabete). Questo è già un difetto della sua opera: distrae l’attenzione di chi è in pericolo dal rischio che corre come chi non avvertisse chi balla sul Titanic del fatto che la nave va verso un iceberg. Difetto peggiore però è falsificare la realtà: dire il falso è peggio che non dire il vero. Barbero lo fa in questo suo libro alla pagina 156, dove parla dei processi del 1302 in cui Dante Alighieri fu condannato per “baratteria”, cioè per corruzione nella sua attività di priore, prima a una multa e poi alla morte per rogo. Barbero scrive: “Fu un processo iniquo? Senza dubbio il regime si vendicava dei suoi nemici. Ma si svolsero regolari istruttorie, e diversamente dai processi staliniani, dove le condanne si basavano su confessioni estorte con la tortura, qui nessun imputato venne costretto a confessare”. Barbero è storico e esamina i documenti con cura, e quando non è certo di qualcosa lo dice (molte volte lo dice in questo suo libro su Dante). Ha studiato con cura tutta la letteratura sui processi di cui sta parlando, prima di fare propria la versione dei processi di Mosca con i quali un malefico Stalin avrebbe inteso spazzare via tutti i suoi nemici? Oppure parla per partito preso e con quella superficialità che mostra in un altro suo video, meravigliandosi del fatto che i militanti delle Brigate Rosse nelle loro sedi avessero la pasta Barilla e i pomodori Cirio. Parla come se nel movimento comunista si fossero insinuati esseri mostruosi quali Stalin che torturava i nemici prima di mandarli a morte e militanti delle Brigate Rosse che nonostante la loro malvagità e ferocia si alimentavano come esseri umani normali. Certo gli anticomunisti si sono spinti ben oltre quando hanno detto e ripetuto che i comunisti mangiano i bambini. Dobbiamo quindi accontentarci se oggi Barbero ammette che comunisti quali furono i militanti delle Brigate Rosse mangiavano spaghetti al pomodoro? No. Noi abbiamo bisogno dell’essenziale, non di accontentarci di quello che passa il convento.
Iosif Stalin (nato nel 1878 in Georgia e morto a Mosca nel 1953) è uno dei più grandi dirigenti del movimento comunista, e ha fatto ciò che Dante sperava facesse e non fece il re di Germania, lo svizzero Alberto d’Asburgo (Rheinfelden luglio 1255 – Brugg , 1º maggio 1308), e ciò che tentò di fare il suo successore Enrico VII di Lussemburgo (Valenciennes, 1275 – Buonconvento, 24 agosto 1313) ma senza riuscire nell’opera. Dante sperava che dalla Germania venissero a sistemare le cose in una Italia che era distrutta dalle guerre, dalla corruzione, da ogni sofferenza e caos e dei due imperatori che aspettava uno non venne e l’altro venne e in Italia trovo la morte. Stalin, o meglio il popolo sovietico guidato da Stalin e dal Partito comunista dell’URSS, ha sopportato la ferocia dei nazisti e dei fascisti pagando il più alto tributo di martiri della Seconda Guerra Mondiale, ha vinto a Stalingrado, ha iniziato una marcia inarrestabile fino a Berlino, obbligando gli imperialisti USA e inglesi a sbarcare in Europa in Normandia e ad Anzio, cosa che non avevano fatto fino a quel punto sperando che i nazifascisti avrebbero distrutto l’URSS e che fecero quando solo quando videro che l’Armata Rossa sarebbe arrivata sulle coste europee dell’Atlantico e del Mediterraneo e avrebbe fatto di tutta Europa un continente socialista. Senza l’URSS antistalinisti come Roberto Benigni, falsificatori della storia che mostrano gli statunitensi come liberatori dei lager quando a farlo furono i sovietici, non sarebbero cresciuti nelle case del popolo di Prato, ma sotto Mussolini e i suoi camerati e successori, parenti, amici, come in Spagna gli spagnoli sono vissuti sotto Francisco Franco (Ferrol, 1892 – Madrid, 1975).
Detto questo, la grandezza di Dante di cui Barbero non parla sta nel fatto che si mise in gioco, e non fece ciò che avrebbero fatto i suoi successori da allora a oggi, primo dei quali Francesco Petrarca, di dedicarsi ad attività intellettuale senza curarsi dello scontro di classe, badando solo a se stesso e ai propri interessi. Dante prese posizione nello scontro di classe che oppose i feudali alla borghesia nascente, che proprio a Firenze aveva uno dei suoi centri più importanti d’Europa. Pagò molto cari gli errori che fece, ma quando si mise a scrivere la Commedia aveva cose da raccontare e insegnare. Soprattutto, fu uomo che cercò con estremo rigore di combinare coerenza tra il suo pensiero, i suoi atti in politica e in guerra e la sua poesia in un momento dove questo era estremamente difficile e rischioso dato il passaggio epocale che a Firenze aveva centro. Fu protagonista della ricerca di una riforma intellettuale e morale che è elemento necessario in ogni rivoluzione, anche e soprattutto in quella odierna, la rivoluzione socialista, quella in cui il movimento comunista abolisce le classi, quella che ha preso avvio nel secolo scorso in Russia e in Cina, quella di cui ha dato annuncio la Comune di Parigi, di cui ricorre nel 2021 il centocinquantesimo anniversario, e quella che fu perseguita dal primo Partito comunista italiano, della cui fondazione nel 2021 ricorre il centenario, quella per cui diede la vita il fondatore di quel primo PCI, Antonio Gramsci.
Quando parliamo di Dante Alighieri e quando parliamo di qualsiasi cosa, dunque, non possiamo accontentarci di racconti inquinati da falsificazioni. Abbiamo di fronte un grande compito e ci servono grandi idee e maestà di sentimento. Li troviamo nelle parole di Friedrich Engels, nella sua prefazione del primo febbraio 1893 alla prima edizione in italiano del Manifesto del Partito comunista scritto da lui e da Karl Marx nel 1848: “Il Manifesto del Partito comunista rende piena giustizia all’azione rivoluzionaria del capitalismo nel passato. La prima nazione capitalista fu l’Italia. Il chiudersi del Medioevo feudale, l’aprirsi dell’era capitalista moderna sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del Medioevo e il primo poeta moderno. Oggi, come nel 1300, una nuova era storica si affaccia. L’Italia ci darà essa un nuovo Dante che segni l’ora della nascita di questa era proletaria?”
A 127 anni di distanza dal momento in cui la domanda è posta, ci si qualifica come comunisti anche perché e per come rispondiamo a questa domanda. Io non so se su questa penisola sorgerà un poeta come Dante Alighieri, ma so che c’è il (nuovo)Partito comunista italiano, che contribuisce alla nascita e rinascita di questa era con una concezione del mondo che ci guida nel fare dell’Italia un nuovo paese socialista e così dare alla storia dell’umanità il contributo più alto che nella nostra epoca le si può dare.