Riflessioni su un corso di studio – Lettera alla Redazione

Pubblichiamo di seguito stralci di una lettera scritta alla Redazione da due compagne che hanno partecipato all’ultimo corso sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI a Brescia. Le compagne in questione militano una nel P.CARC e un’altra in M-48 e questa lettera è un esempio pratico di quello che vuol dire promuovere la formazione alla concezione comunista del mondo “al di là della tessera”. Compito dei comunisti della Carovana del (nuovo)PCI è infatti quello di dare a tutti coloro che li ricercano e che vogliono imparare gli strumenti pratici ma anche ideologici per costruire la rivoluzione socialista, che è opera collettiva e non individuale.

“Cari compagni,
vi scriviamo per parlarvi del corso sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI tenutosi a Brescia tra ottobre e dicembre 2020. Le sessioni sono iniziate in presenza, ma sono proseguite on line a causa dell’istituzione della “zona rossa” in Lombardia.
(…) La dialettica materialista (…) ci insegna a non fermarci mai all’apparenza delle cose e in quest’ottica abbiamo migliorato la nostra capacità di ragionare sui fenomeni, scomponendoli e considerandoli da più punti di vista fino ad individuarne la parte migliore, di prospettiva, in contrasto con l’attitudine a volte negativa e disfattista che caratterizza alcuni di noi. Questo implica che c’è sempre un modo giusto per agire ed intervenire, purché lo si persegua in maniera scientifica e disciplinata. Ciò ha riacceso in noi maggiore speranza nel futuro, fattore essenziale per orientarci nella vita e nell’attività politica, sia nel rapporto con i compagni sia con le ampie masse popolari.
A questo proposito, sono state trattate a fondo tendenze peculiari di alcuni dei partecipanti, quali: la sfiducia in noi stessi e nelle masse; l’influenza che la sinistra borghese ancora esercita su di noi; l’urgenza di scegliere quale corso dare alla nostra vita, in coerenza con quanto studiato e quindi della necessità di passare dal semplice apprendimento all’assimilazione della concezione comunista del mondo, ed agire di conseguenza.

Il tema della sfiducia, spesso sollevato nel corso, è una questione decisiva rispetto alla mobilitazione delle masse popolari, specie di chi ha ancora la falce e martello nel cuore. Trattarla apertamente fa sì che si possa mettere in discussione la propria sfiducia, spesso profondamente radicata, che le cose non possono cambiare, insieme alla rassegnazione di condurre lotte tutt’al più di resistenza o testimonianza. In questa prospettiva lo studio diventa fondamentale, perché solo la concezione appropriata, vagliata nella pratica, può far crescere la “granitica certezza” della necessità del comunismo e delle vie per instaurarlo. Senza la convinzione che il comunismo sia possibile e necessario è comprensibile che non si sia determinati, che si perda entusiasmo e fermezza negli obiettivi e che la militanza diventi un’attività tra le altre o esercizio identitario. In questo senso, nonostante non sia una strada affatto semplice né immediata da intraprendere e pur consapevoli di doverci sempre migliorare, abbiamo ritrovato la motivazione che vacillava. Poco alla volta cercheremo di lasciarci alle spalle condizionamenti sociali che per anni ci hanno rattristato, mortificato, fatto credere di non essere all’altezza o fatto perdere tempo prezioso.

Questo corso ha aperto un mondo nuovo ai partecipanti (…) e ha permesso di accrescere la nostra sicurezza nel trattare le materie politiche e le questioni pratiche derivanti, sia all’interno del Partito per i membri, sia nei movimenti e nei collettivi a cui apparteniamo. Si è anche risvegliata la curiosità e il desiderio, precedentemente sopiti dalle forzature degli studi scolastici, di sviluppare le numerosissime questioni trattate, non sempre nel corso approfondite per esigenze di tempo, e in generale di conoscere meglio la letteratura comunista, a scuola elusa o storpiata. Infatti è fondamentale rivendicare e praticare una concezione indipendente da quella borghese, di cui veniamo nutriti fin dall’infanzia e a cui siamo esposti soprattutto negli studi superiori. Questi, in particolare, anche se ammantati di una veste alternativa sono espressione di opinionismo, erudizione fine a se stessa e comunque, nel migliore dai casi, sapere “di sinistra” limitato all’ambito delle idee, che nel momento stesso in cui si fa portavoce della necessità marxiana di trasformare il mondo ne tradisce lo spirito. Si tratta, anzi, di un sapere tossico e asservito anche qualora assuma vesti critiche “antisistema” perché se rimane all’interno delle istituzioni della borghesia è inevitabilmente al suo servizio. Proprio sul bisogno di una completa indipendenza – in primis ideologica – dalla borghesia si fonda la clandestinità del (nuovo)PCI.
In conclusione, questa esperienza ci ha permesso di gettare dei semi necessari e preziosi che sta a noi ora coltivare, per far crescere dei frutti che siano all’altezza dei compiti che la fase storica impone ai comunisti.”

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