Il M5S ha avuto e ha un ruolo importante nella politica del nostro paese perché è stato – e in parte è ancora – il cavallo di Troia delle masse popolari nei palazzi e nelle istituzioni.
Da quando è al governo, il suo ruolo non ha più potuto essere semplicemente quello di “cane da guardia” contro malaffare e speculazioni: doveva e può ancora diventare quello di agente trasformatore del paese. Le resistenze ad assumere questo ruolo più avanzato hanno favorito le spinte che mirano a renderlo parte integrante proprio di quel sistema che deve essere cambiato. Spinte che si riassumono nelle manovre per arrivare a sancire “l’abbraccio mortale” con il PD.
L’alleanza con il PD non riguarda solo gli accordi “di programma per il governo” (sottomissione del M5S alle Larghe Intese e alleanza per le elezioni politiche), ma anche – e per certi casi soprattutto – le trattative a livello locale. Il caso della Puglia è emblematico: appena formata la Giunta, gran parte degli eletti del M5S è entrata nella maggioranza di Emiliano, nonostante il M5S abbia condotto la campagna elettorale promettendo di essere alternativo al PD.
Le elezioni amministrative del 2021 saranno un ulteriore banco di prova: il M5S correrà alleato (e asservito) al PD o cercherà la strada per tornare a incarnare i sentimenti e le aspirazioni “antisistema” delle masse popolari?
La sottomissione del M5S al PD vive e prospera in ogni occasione e in ogni contesto in cui il M5S si fa promotore della “ragionevolezza”, del “realismo”, “dell’interesse comune” per contenere le mobilitazioni delle masse popolari: hanno fatto scuola, in questo senso, le giravolte e i ripensamenti del M5S sulla TAV in Val Susa e sul TAP e l’ex ILVA in Puglia. In nome del realismo e della ragionevolezza, a spuntarla sono sempre i i capitalisti e gli speculatori.
La lotta interna al M5S non si è risolta con gli Stati Generali, anzi. Per il gruppo dirigente Di Maio/Crimi, gli Stati Generali erano l’occasione per suggellare l’intesa con il PD, ma è bastato che Di Battista proponesse in alternativa la sua agenda politica per mandare a monte l’operazione. Questo dimostra che all’interno del M5S, sia tra una parte consistente degli eletti che nella base, la linea Di Maio/Crimi è tutt’altro che accettata. Il problema, casomai, è che gli oppositori procedono in ordine sparso, senza darsi i mezzi per portare il M5S ad assumere il ruolo che può e deve avere nella trasformazione del paese, facendo valere anche il fatto di essere primo partito di governo.
Al momento, il conflitto interno al M5S è vissuto come un “regolamento di conti” fra leader. In verità, non si tratta affatto di uno scontro tra persone/personalità carismatiche, ma di una lotta per arrivare ad affermare una linea politica piuttosto che un’altra.
A questo proposito, rivolgendoci, idealmente, a quella parte di eletti e portavoce che non si rassegnano a diventare parte integrante “della casta” diciamo che:
– non è uscendo dal M5S e aderendo al Gruppo Misto o ai Verdi o alla sinistra radicale che essi potranno contribuire alla trasformazione del paese. Se queste correnti avessero davvero un ruolo positivo, il M5S non avrebbe avuto ragione di esistere. Se milioni di persone hanno sentito l’esigenza del M5S – molti come attivisti, moltissimi come elettori – è perché i partiti e le correnti “della vecchia politica” hanno ampiamente dimostrato di non essere credibili o adeguati alle esigenze e richieste di cambiamento. Lasciare il M5S significa, quindi, disperdersi in rivoli inconcludenti;
– rimanere nel M5S senza dare battaglia significa sottomettersi alle Larghe Intese. Gli eletti più combattivi, fedeli ai principi originari del Movimento, incompatibili con volpi e volponi della politica, devono lottare per mettere il M5S al servizio delle masse popolari e delle loro rivendicazioni. Devono usare il loro ruolo, le conoscenze e l’influenza che hanno per promuovere, ad esempio, la lotta contro gli obblighi di fedeltà aziendale, per sostenere le famiglie e gli spazi sociali contro sfratti e sgomberi, per promuovere ispezioni negli ospedali pubblici e nelle RSA, per lottare contro lo smantellamento dell’apparato produttivo, ecc.;
– il futuro del M5S non passa dalle beghe interne, ma dai territori. Chi non vuole consegnare il M5S al PD deve farsi promotore della riattivazione dei meetup e porsi l’obiettivo di estendere il ragionamento e il confronto anche al di fuori della cerchia degli attivisti ed elettori del Movimento. Non è nei palazzi istituzionali che dovrà relegare il suo intervento, ma al contrario portarlo nelle piazze, nelle strade, nei presidi, nei picchetti, nelle assemblee popolari: questi sono gli spazi in cui va decisa la linea che, a seguire, andrà fatta valere anche nei palazzi istituzionali;
– alleanze elettorali no, ma relazioni con esponenti di altri partiti sì: i parlamentari del M5S sono ancora il più grande ostacolo alla “restaurazione” delle Larghe Intese e devono diventare il punto di riferimento per tutti gli eletti, esponenti del movimento sindacale e della società civile che, a livello locale o nazionale, si oppongono al loro sistema.
Il M5S può ancora risalire la china non “se torna a incarnare il malcontento delle masse popolari” (come quando era all’opposizione), ma se diventa, oltre a questo, anche lo strumento attraverso cui le masse popolari affermano i loro interessi.