Rilanciamo l’intervista che abbiamo realizzato ad Angelo Carlini – vicesindaco di Cossignano – per ragionare su una serie di esperienze importanti che sono state fatte da lui e dall’area anche di associazioni, liste civiche di cui fa parte rispetto a tutta una serie di argomenti relativi sia all’emergenza sanitaria sia alla vertenza più complessiva in corso nel nostro paese, insomma tematiche scottanti.
L’intervista è preziosa perché mostra bene alcuni aspetti decisivi per inquadrare il ruolo delle amministrazioni locali in questa fase di emergenza, lo spirito che deve animarne l’azione e il rapporto da tenere con le masse popolari dei territori.
Nello specifico ci interessa sottolineare, in premessa, i seguenti passaggi:
- Gli amministratori locali che hanno a cuore la salute e i diritti delle masse popolari dei propri territori non devono lasciarsi legare le mani dalla logica delle “competenze”, se una misura necessaria alla cittadinanza non rientra nei compiti e nelle competenze del sindaco e della giunta, questi sono in dovere e devono mettersi nelle condizioni di superare quelle stesse competenze mettendo al centro l’interesse collettivo. Questo fa un’amministrazione seria che vuole prendersi carico delle lotte e delle esigenze delle masse popolari;
- Per le masse popolari autorganizzarsi e prendere in mano il futuro del proprio territorio anche in piccoli centri abitati. Tale azione e autorganizzazione favorisce la nascita, incalza e spinge in avanti l’azione anche delle Amministrazioni Locali al di là della collocazione geografica e della grandezza della località in questione;
- Sviluppare rotture e azioni di governo che vadano negli interessi delle masse popolari e che si poggino sull’azione e l’autorganizzazione popolare è possibile anche in piccoli comuni.
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Buonasera al vicesindaco. Uno dei motori del cambiamento che state provando a mettere in campo a Cossignano viene dall’esperienza di quest’organismo, dall’associazione giovanile Ferax. Vogliamo chiederti di quest’associazione: come nasce e di cosa si occupa? Puoi farci un focus sulle esperienze che avete condotto durante il primo lockdown? In particolare in termini di assistenza, pacchi, assunzione di una sorta di ruolo di Brigate di solidarietà alla fine, alla stregua di tante nel nostro paese.
Grazie per questa intervista. Riguardo all’associazione giovanile Ferax, si tratta di un’associazione nata poco più di un anno fa, a fine luglio del 2019. Ha preso avvio per volontà di ragazzi di diverse età, al fine di costruire delle opportunità e delle occasioni di ritrovo e aggregazione in uno dei tanti piccoli borghi della nostra penisola. Abbiamo fatto questo attraverso l’organizzazione di feste, eventi di integrazione giovanile e attualmente sviluppando progetti di lavoro.
Da quando siamo nati, abbiamo fatto alcune iniziative di carattere sociale molto incentrate sull’aspetto ricreativo e con l’obiettivo di far passare un messaggio sociale, a partire dalla nostra comunità. Purtroppo, da febbraio 2020 [a ridosso dello scoppio della pandemia anche nel nostro paese, ndr] abbiamo dovuto fermare le nostre attività e anche la nostra fase di progettazione per l’estate proprio a causa dell’emergenza COVID e lì ci siamo posti un quesito: che facciamo ora? Continuiamo o lasciamo?
Nonostante dopo soli sei mesi le condizioni per continuare l’attività si fossero complicate, con la forza e la grinta, siamo riusciti a rimodulare la nostra attività per offrire alla cittadinanza servizi essenziali che in quel momento abbiamo ritenuto fondamentali per la piccola comunità. Ferax rientra tra le associazioni del “terzo settore”, che si occupano di sociale e di tutte quelle problematiche che investono le fasce più deboli della popolazione, con problematiche sia legate a disagi familiari che fisiche. Siamo riusciti a servirci delle forze fresche dei ragazzi a disposizione della comunità.
Durante l’emergenza da COVID-19, l’iniziativa più importante è stata quella di attivare una campagna di consegna di farmaci ed alimenti a domicilio, per gli anziani e coloro che per altri motivi non possono uscire di casa. Attraverso ciò siamo riusciti anche e dare lavoro nel pieno del lockdown. Da lì i ragazzi hanno sposato in pieno questa iniziativa.
Oltretutto la regione Marche ha autorizzato le associazioni del “terzo settore” ad operare sul territorio per finalità sociali (qualora fossero previste nello statuto) per cui noi, oltre che la volontà, avevamo anche la base normativa per proseguire. Abbiamo quindi cambiato il progetto iniziale – che comunque non riteniamo accantonato – decidendo di andare avanti anche dopo il lockdown. Era importante non terminarlo e continuare a dare l’occasione ai ragazzi, che non hanno un lavoro oppure hanno difficoltà a vedere questa attività di volontariato come un lavoro e una diversificazione del tempo. Attualmente, questo servizio di consegna di farmaci ed alimenti a domicilio (dal 4 maggio 2020) viene svolto dall’associazione, in particolar modo da un ragazzo, in forma ordinaria non più legato all’emergenza. Stiamo portando avanti questo progetto e abbiamo via via anche ricevuto finanziamenti da fondazioni o da altre associazioni per lo sviluppo e la crescita di questo servizio.
Inoltre, abbiamo fatto una raccolta fondi per gli ospedali della provincia, da utilizzare per le spese necessarie alla cura del COVID. Abbiamo attivato delle iniziative virtuali legate ai bambini per capire come questi vedevano il lockdown e come lo hanno subito. L’adulto riesce a capire quest’esigenza, un bambino magari può farsi delle domande a cui noi neanche sappiamo rispondere. Per questo, abbiamo attivato un contest artistico, dove ciascun bambino da casa cercava di fare un suo elaborato (poteva essere un disegno, una costruzione, una canzone, un video, qualunque cosa) per alleggerire quel tempo. Abbiamo raccolto diverso materiale e, verso la metà di luglio, siamo riusciti a fare una premiazione dal vivo di questi bambini. È stata proprio l’occasione che ci ha permesso di far capire come i giovani soprattutto in questi piccoli luoghi, in questi piccoli borghi, sono una risorsa fondamentale sia per lo sviluppo, sia per la vita sociale del paese che per la vita di comunità.
Certamente, non siamo nati per svolgere questa attività in maniera emergenziale perché da giovani, un po’ impreparati e inesperti ci siamo ritrovati in una situazione in cui o intervenivamo noi oppure non c’era alcun intervento. Lì è nata anche questa passione, questo interessamento verso il bene comune, la comunità, verso la partecipazione politica attiva di diversi ragazzi. Quindi Ferax è nata non per esigenze di partito o legata a partiti e altre ideologie, è nata per rispondere ad un’esigenza di comunità e alle problematiche vissute (affrontate e a volte anche risolte) nel nostro piccolo paese. Come qui, penso anche in altri 8000 piccoli paesi d’Italia ci sia la possibilità di agire. Tutto qui. Siamo molto impegnati, molto attivi nella forma del volontariato.
Nel frattempo, c’è chi lavora, studia e porta avanti altri interessi. Questa è stata una piccola fase di vita che ci contraddistingue e rende fieri del nostro lavoro.
Tutto questo, se pensiamo che Cossignano – come dicevi anche prima – è un Comune di un migliaio di abitanti, rappresenta una dimostrazione importante: 1. non vi siete attestati al “chiuso il lockdown, finito il lavoro di solidarietà”, della consegna di pacchi, farmaci e di altre cose necessarie per gli abitanti del vostro Comune; 2. anche nei piccoli comuni si può fare questo lavoro. L’idea più diffusa è che nelle grandi città e metropoli ci sono più appigli, possibilità, mentre nei piccoli comuni c’è una tendenza a sentirsi abbandonati. Voi avete mostrato che nell’autorganizzazione, organizzandosi dal basso, si riesce.
Ci siamo resi conto che quanto abbiamo fatto durante l’emergenza poteva essere replicato anche in fase ordinaria, attraverso politiche di inserimento sociale oppure lavorativo, soprattutto per i ragazzi con disabilità o quelli che oggi non hanno un lavoro.
Capire quindi che, da qui, c’è anche un’occasione di crescita e sviluppo in questi piccoli paesi.
Il rapporto fondamentale non è una guerra tra generazioni, ma un rapporto di fiducia tra la nuova generazione che avanza e quella più anziana – la stragrande maggioranza della popolazione nel nostro Comune – che ha delle esigenze cui può rispondere dal suo interno.
Questo periodo ci ha dato l’opportunità di capire che è fattibile, si può fare.
Voi che avete portato avanti quest’esperienza siete riusciti a diventare quelli che amministrano il territorio.
Quella è stata una “congiuntura astrale”. Abbiamo scelto di fondare quest’associazione nel luglio 2019, perché due mesi prima al Comune di Cossignano si sarebbero tenute le elezioni amministrative, con un rinnovo di cariche anche di altre associazioni. Appena terminato il periodo emergenziale (la fase 1), c’è stata una scossa di terremoto politico anche in questo piccolo paese, causato dallo scioglimento del Comune per dimissioni della maggioranza.
Noi giovani, attivi e propositivi, ci siamo occupati di risolvere le emergenze decidendo di non stare a casa ma dare il nostro contributo. Chi invece era chiamato dal suo ruolo istituzionale a risolvere tali problematiche si è tirato indietro. Questo significa abbandonare la nave in un momento di bisogno e di pericolo.
Abbandonare la guida di un Comune con dimissioni volontarie dell’intero gruppo di maggioranza – ad eccezione del sindaco – è stato un gesto di irresponsabilità politica molto forte. Molti ragazzi si sono sentiti chiamati in causa, io in primis, rispetto al che fare. Abbiamo scelto di impegnarci. Io sono stato il portatore di questo interesse politico. L’esperienza dell’associazione è stata breve perché è nata un anno ma nonostante ciò l’idea è stata questa: “ragazzi, se mi date fiducia, io provo ad andare ad amministrare questo piccolo paese”. La forza c’era e la grinta pure. Abbiamo deciso di provarci. Avevo il supporto dei ragazzi del paese. E infatti abbiamo raggiunto un risultato che ci ha premiato per tutto quello che abbiamo fatto e di come ci siamo comportati.
Piccola parentesi: tutte le attività promosse sulla base del volontariato sono state sempre in contrasto con l’amministrazione. Ci sono delle problematiche cui bisogna rispondere e un’amministrazione completamente sorda alle esigenze e al tessuto sociale del proprio territorio, sicuramente non potrà esprimere un buon governo. Questo vale sia per quanto riguarda piccoli paesi sia per quanto riguarda altri governi. La crisi del precedente governo locale è consistita in questo, cioè nel distaccamento tra le esigenze della popolazione e il palazzo.
Questa è un’esperienza importante, nel senso che dimostra che l’autorganizzazione popolare è anche l’ambito in cui dal basso ci si assume ruoli di governo, tant’è che l’amministrazione di fronte all’emergenza si è tirata indietro. Voi vi siete fatti avanti e avete preso in mano quello che serviva fare con gli strumenti che avevate per fronteggiare l’emergenza. È un esempio importante che dimostra quanto in questi processi i cittadini, il popolo cominciano anche a selezionare i propri uomini di fiducia, quelli che devono amministrare, negli interessi popolari, anche i comuni, fino al governo del paese. Voi ne avete fatte di esperienze, anche se siete da poco al governo del Comune, in particolare ne cito due così magari possiamo approfondirlo entrambe perché sono interessanti: in primo luogo la delibera che consente l’uso per i medici di base del territorio della sala del consiglio comunale; in secondo luogo la riunione che avete promosso con lavoratori autonomi, commercianti, partite IVA, per coordinare le esigenze di ciascuna di queste categorie. Puoi raccontarci qualcosa in più rispetto a queste due esperienze?
Riguardo alla scelta politica di destinare la sala consiliare quale sala d’attesa per gli anziani, è nata da una problematica intercettata dalla popolazione. In tempi di COVID dove il distanziamento sociale è la regola principe, dove gli spazi devono essere comunque garantiti e specie in un inverno freddo, vi era la necessità di garantire uno spazio dove poter avere accesso alle cure primarie. L’amministrazione intera ha individuato nella sala del consiglio, che rappresenta tutti i cittadini della comunità, lo spazio utile a svolgere questa funzione, per garantire il diritto alla salute e facilitare il rispetto del distanziamento. Si tratta, per giunta, di una sala non frequentata ordinariamente, per cui abbiamo deciso di destinarla esclusivamente all’uso di postazione medica, eccetto i casi in cui il consiglio comunale è chiamato a riunirsi.
Dopodiché, facciamo un gesto politico, non un gesto di amministrazione. Non vi sono atti, determine o delibere, ma un gesto di vicinanza alla popolazione, dove una sala simbolo della rappresentanza viene ceduta per un bene comune superiore, quale la tutela della salute. Questo è il primo passo politico. Il secondo, oltreché essere una scelta politica, è stato anche un procedimento amministrativo: quello di partecipare come ente capofila a un bando di finanziamento per la realizzazione di centri commerciali naturali, non artificiali.
Il progetto consiste nel potenziamento di piccole attività sul territorio attraverso finanziamenti per il rifacimento dell’immobile o altri interventi finalizzato alla realizzazione di un percorso di centri commerciali naturali: un luogo dove c’è una vera piazza, una vera via, ecc. Gli abbiamo trovato un nome “metro 0” per accedere a beni di consumo e per dare un importante risalto alle piccole attività artigianali o familiari presenti sul nostro territorio.
Tra i punti del nostro programma, c’è quello di avere un’amministrazione che non sia chiusa nel palazzo comunale a sfornare determine, atti o provvedimenti. Al contrario, un Comune che vada oltre le proprie competenze, essere un raccordo tra le diverse esigenze. Il Comune non ha il potere di far aprire un negozio, ma ha il potere di creare le condizioni per cui in un dato spazio si invogli ad aprire delle attività e può farlo attraverso la partecipazione a bandi di carattere regionale o europeo, dove il Comune si fa portavoce, garantendo al cittadino il beneficio della situazione.
Un’Amministrazione Comunale, quindi, oltre che essere vigorosa nelle proprie materie di competenza, deve oltrepassarle, cercare di agire come soggetto sociale, che interviene sugli interessi della popolazione, per risolvere problematiche, proporre iniziative, svolgere attività complementari ad un’amministrazione.
Noi non vogliamo essere soggetti passivi. Avere, ad esempio, un paese dove la metà degli immobili è inagibile è un danno e ci deve essere un interesse dell’amministrazione comunale, anche se non è una sua competenza specifica. Se c’è un interesse diffuso ci poniamo come soggetto portatore di interessi, che cerca di spronare il dialogo tra il privato e l’amministrazione di competenza, al fine di risolvere il problema che è indirettamente anche del Comune e degli altri cittadini.
Faccio un esempio chiaro: un cittadino ha una casa terremotata, mentre il suo vicino di casa non ha una casa terremotata. Quest’ultima risulta anch’essa terremotata perché è vicina alla prima; il Comune può disinteressarsene e sostenere che non compete all’amministrazione ma la verità è che deve dare una mano, ad esempio, per parlare con il tecnico per la ricostruzione e impegnare del tempo su questo, non per un interesse del privato, ma di un’intera collettività di persone. Questo è il modo di amministrare che ci contraddistingue, andare oltre le competenze, cercare quel dialogo con la popolazione e diventare un portatore di interesse diffuso, ovvero degli interessi che riguardano anche solo alcuni soggetti, interessi aventi rilevanza pubblica. Dire che non rientra nell’asse delle competenze va bene perché non siamo obbligati a farlo, ma se un politico si limita a fare ciò per cui è obbligato dalla legge, non sta facendo politica, fa il burocrate.
Il burocrate fa attività amministrativa; il politico deve parlare con l’ultimo cittadino del paese fino al presidente della regione. Deve essere quella figura che crea quei legami che portano ad una sola cosa: risolvere le problematiche della cittadinanza.
Sulla questione terremoto, sullo stanziamento dei fondi, ecc. quali sono le manovre che state mettendo in campo? Ci sono coordinamenti di comuni colpiti dal terremoto o comunque dei momenti di confronto e di unione tra questi? C’è trasparenza nell’erogazione dei fondi? Quale ruolo hanno i comuni? Come intendete rendere maggiormente partecipi gli abitanti del territorio?
Una premessa. Solo 4 giorni fa arriva l’anniversario dell’ultima scossa – quella del 30 di ottobre del 2016 – in cui abbiamo registrato molti danni ma poche vittime. Sono passati quattro anni da quell’evento; ad oggi un’amministrazione comunale o un privato che è chiamato a ricostruire il proprio immobile, così come i tecnici impiegati per la ricostruzione di quell’immobile hanno davanti a sé più di 100 ordinanze emesse dall’ufficio del commissario della ricostruzione. In più c’è la normativa nazionale, in materia di appalti pubblici, materie volutamente complesse, dove un piccolo sbaglio può comportare la riduzione del contributo, un ritardo nella ricostruzione o altri danni.
A noi, come amministrazione, non spetterebbe fare gli incontri con i tecnici privati, perché per legge questi devono interfacciarsi con un altro ufficio. Noi, però, vogliamo andare oltre le competenze e dire: quali sono i vostri problemi? Questi sono i problemi di tutta la comunità e noi ce ne facciamo portatori, lo diciamo ai vari soggetti attuatori. Oltre questi incontri con i tecnici sul territorio, siamo riusciti anche ad avere un incontro con il commissario alla ricostruzione Giovanni Legnini, con cui abbiamo capito che l’attività svolta ad oggi con le ultime ordinanze emesse ha reso molto più agevole la ricostruzione. Come? Dando più responsabilità al tecnico privato, che si assume la responsabilità piena dell’opera e nel caso in cui i soldi forniti per quell’opera sono sufficienti, allora l’opera viene realizzata e non c’è nessuna conseguenza. Nel caso in cui i soldi destinati per quell’opera superano il finanziamento concesso la responsabilità ricade sul tecnico. Questo garantisce la celerità nella realizzazione delle opere, perché il tecnico si assume la responsabilità e quindi non va nulla agli uffici, se non il progetto finale.
Ci sono voluti quattro anni per capire come comportarsi con la ricostruzione: da una parte la paura di dare spazio a infiltrazioni mafiose o a contributi concessi a soggetti che non devono beneficiarne. Abbiamo, però, visto che in questi quattro anni tutto questo c’è stato comunque. Questo è successo perché non c’è stata una risposta della pubblica amministrazione per velocizzare i tempi e garantire la legalità. Ci siamo arrivati oggi ma dopo quattro anni, cento ordinanze, infiltrazioni mafiose, evasioni, ecc. Dare la colpa al sistema o al processo di burocratizzazione delle opere non è una soluzione. Il problema è che dietro un atto amministrativo c’è sempre un gruppo di persone o una persona, che se non si accerta della problematica, non vive la realtà del territorio o del tecnico o dell’amministrazione, produce uno strumento legislativo che a volte risulta essere completamente inidoneo. Per esempio, l’attuale commissario alla ricostruzione prima di emettere ordinanze chiede sempre un incontro con i sindaci, trattando dei problemi che hanno e aiutando a risolverli.
Ci sono voluti quattro anni e diversi commissari per capire quanto una persona che ha questo potere riesca a cambiare le sorti della ricostruzione. Non è colpa della legge o della burocrazia, ma delle persone che vengono messe in ruoli apicali, che o non hanno competenze oppure non si rendono conto delle competenze. Non hanno quella capacità di essere vicino alle problematiche delle persone in quell’ottica dell’amministrazione che va oltre le competenze, che va oltre il suo ruolo.
Il commissario alla ricostruzione poteva fare soltanto il commissario, occupandosi di ricostruzione, ricevendo gli ordini dal governo e andando avanti. Non è tenuto a fare incontri periodici. Questo commissario del governo a differenza dei precedenti ascolta, prende appunti e garantisce così che la persona incaricata dal governo è a piena conoscenza dei fatti e delle problematiche. Ci abbiamo messo quattro anni ma non vuol dire che le cose andranno necessariamente bene.
Chi si assume la responsabilità politica ed amministrativa di quello che compie e risponde in prima persona di quello che fa ha capito che la soluzione è parlare con i cittadini, prendersi la responsabilità di quello che si va a fare. L’ufficio del commissario ha la responsabilità di attuare queste cose. Anche qui la differenza sarà fatta dalle persone, non dalla macchina amministrativa in sé o dalla legge, ma sempre dalle persone, sono loro che creano gli strumenti che ci permettono di andare oltre. Su questo campo non abbiamo competenza ma andremo avanti perché nel nostro paese registriamo 150 edifici lesionati dal sisma, di cui solo il 30% è stato restaurato.
Secondo la Costituzione italiana, il sindaco è la prima autorità in materia sanitaria, sebbene le competenze siano principalmente di Regione e governo centrale. Vari sindaci hanno fatto esperienze, dandosi gli strumenti e dandoli ai propri cittadini per affrontare la situazione di emergenza sanitaria.
Gli esempi sono vari e vanno dal sindaco di Volterra che qualche anno fa si arrampicò sul campanile della chiesa per protestare contro la chiusura dell’ospedale locale, a De Magistris che su spinta dei comitati popolari ha istituito una Consulta popolare sulla sanità e salute perché si occupi di monitorare lo stato di salute sul territorio, portando le criticità e promuovere delle ordinanze o delibere e sviluppare direttamente tutto ciò che serve per sviluppare una battaglia.
Qual è lo stato attuale dei servizi sanitari nel vostro Comune, nella vostra zona? Quali sono le criticità che riscontrate? Qual è il livello di partecipazione popolare?
Riguardo all’emergenza COVID, al ruolo del sindaco e dell’amministrazione, c’è stato un dibattito sulle competenze tra la Prefettura e le ASL, in termini di garanzia della sicurezza e della tutela dei cittadini. L’ASL di zona è stata individuata come autorità competente in materia per fronteggiare la situazione (tracciamento casi, rispetto della normativa sanitaria, ecc.).
Il Comune si interfaccia con il servizio sanitario regionale per ogni esigenza. Tra amministrazione comunale e servizio sanitario dovrebbe esserci un dialogo continuo e stretto per monitorare i casi nel rispetto della privacy, intervenire se c’è la necessità. Quale può essere un problema di una famiglia dove tutti sono contagiati oppure se c’è una quarantena? Il problema è: chi fa la spesa? C’è la raccolta differenziata? Chi si occupa della raccolta differenziata per quella famiglia? Il Comune! Ma se il Comune non riceve informazioni dal servizio sanitario non possiamo muoverci, siamo completamente legati. Fino a pochi giorni fa, non riuscivamo ad avere un’informazione ufficiale da parte del servizio sanitario regionale, riguardo alla presenza di casi positivi nel nostro Comune. Questa situazione non riguarda solo noi, ma è moltiplicata per 8000 comuni, quindi per il 50% della popolazione italiana. Siamo arrivati al punto che sapevamo chi fossero i soggetti grazie ai loro parenti stretti, senza mai ricevere una comunicazione ufficiale dall’autorità sanitaria. Dopo un mese dal riscontro del primo caso di COVID-19 a Cossignano abbiamo ricevuto per la prima volta notizie da parte dell’autorità sanitaria.
Questo perché tramite gli uffici del Comune, abbiamo detto “basta! Ora iniziamo a rompere le scatole ad altri uffici” per spingerli. Abbiamo chiamato in Prefettura ed in direzione sanitaria, riuscendo a ottenere un canale d’informazione, grazie al quale ogni giorno ci vengono fornite le indicazioni.
Questa è stato fatto grazie all’attività oltre le nostre competenze. La nostra responsabilità è garantire l’incolumità dei cittadini. Però se non ti danno gli strumenti per farlo quando questi ci sono, allora è qui che bisogna lottare.
Qui siamo riusciti comunque ad ottenerlo in maniera molto veloce. Faccio un esempio pratico: un problema che stiamo affrontando ora riguarda la riapertura dell’ufficio postale. A causa dell’emergenza sanitaria, questo ha ridotto gli orari. È un disagio per la comunità e quindi abbiamo deciso di iniziare questa lotta. La finiremo quando otterremo ciò che ci siamo prefissati, ma anche qui non è di nostra competenza perché le Poste sono una SPA, una società statale che agisce sul mercato come soggetto privato al pari di una banca.
Stiamo instaurando ad oggi un percorso di sensibilizzazione dei cittadini che ci denunciano questa problematica. Noi dobbiamo chiederci come risolviamo questo problema. Dobbiamo però prima cercare il dialogo con l’altra parte, sono sempre persone, non un ufficio o un telefono. Con le persone che hanno volontà di farlo e troviamo l’accordo, bene! Se poi non si risolve attraverso queste modalità si procede con maniere un po’ meno soft, quindi eventualmente con una diffusione a mezzo stampa e poi in maniera crescente. La cosa positiva è che nei piccoli paesi qualora vi sia un disagio o un disservizio, questo viene sempre denunciato dalla comunità. Questo però non vuol dire necessariamente che viene data la soluzione, è compito dell’amministratore dire “Voglio o non voglio risolverlo? Non voglio risolverlo o faccio finta di risolverlo?” A seconda di queste tre scelte si agisce. Quindi, noi se arriveremo al punto di avere il sindaco o il vicesindaco sulla torre campanara perché non otteniamo quanto i cittadini vogliono, alla domanda se siamo disposti a farlo noi risponderemo “Sì!”. Questo perché il nostro obiettivo è che quel servizio, come tanti altri, venga ripristinato, attivato o fatto funzionare al meglio delle capacità.
In questo comunque siamo consapevoli che dall’altro lato c’è sempre una persona o più persone, c’è sempre qualcuno che capisca la problematica e che voglia trovarne la soluzione. L’interesse della comunità è forte, c’è la voglia di essere cittadini attivi e noi vogliamo aumentarla, attraverso la creazione di comitati, di associazioni, di portatori di interessi semplici ma anche, ad esempio, coinvolgendo anziani che hanno delle esigenze e i giovani che devono essere la chiave di risoluzione per quelle problematiche. Questo perché i problemi degli anziani sono anche dei giovani, perché se oggi devo recarmi presso l’ufficio postale e fare la raccomandata purtroppo o sono giovane o anziano quella cosa devo farla. È un servizio che coinvolge tutta la popolazione.
Questa collaborazione tra generazioni permette in queste piccole realtà una crescita dello sviluppo di interessi o di gruppi di interesse per risolvere esigenze, rispondere a fabbisogni sociali e garantire anche la forza, tramite l’associazione e i ragazzi, di risolvere ogni problematica.
Aspetto fondamentale nei piccoli paesi sono il volontariato e l’associazionismo, perché curano questi interessi diffusi o limitati. Ogni problematica ha una soluzione! Basta lottare, coinvolgere, essere determinati, compiere a volte gesti assurdi. Dobbiamo risolvere le problematiche dei cittadini, consapevoli di svolgere un ruolo che va al di là delle competenze dell’amministrazione, un ruolo sociale. L’amministratore fa politica per aiutare, non per essere burocrate e deve battersi fino al raggiungimento di un obiettivo!
Ti lancio una proposta. Tra qualche mese, facciamo una nuova intervista per aggiornarci sullo stato di queste battaglie e della vostra esperienza amministrativa, affinché sia esempio anche per altri.
Certo, sono d’accordo. Fare rete significa crescere.