Raccogliamo e rilanciamo le testimonianze raccolte dalle Brigate Volontarie per l’Emergenza pervenute loro da una serie di cittadini trovatisi a dover affrontare le difficoltà di poter fare i tamponi necessari per il Covid-19, a causa della malagestione dell’emergenza sanitaria e della privatizzazione della sanità pubblica.
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Brigate Volontarie per l’Emergenza
2020 odissea del tampone
La seconda ondata si sta manifestando in tutta la sua prevedibile potenza.
Il sistema sanitario sta collassando sotto il peso dei ricoveri, tutti i malati (covid e non) si avviano verso un futuro incerto in cui la scelta sarà tra far morire le macchine improduttive (cit. Toti) e cercare di salvare le persone meno fragili.
Ovviamente questa è l’ultima trincea prima della fine, però sappiamo bene che per vincere questa battaglia andrebbero scavati altri solchi per impedire al virus di mietere tutte queste vittime.
Due delle più gravi inadempienze sanitarie perpetrate da governo e Regioni sono la totale mancanza di nuovi investimenti in strutture e personale sanitario e l’assoluta inadeguatezza dello screening della popolazione, il famigerato e agognato tampone.
Di questa odissea vorremo parlarvi con alcune testimonianze, un viaggio fatto di timori, paura e speculazione.
Come tutti ben sappiamo il tampone è un metodo abbastanza efficace per diagnosticare l’infezione e prevenire il contagio tramite l’autoisolamento del soggetto che si pone in quarantena.
Data l’estrema importanza del metodo ai fini della prevenzione dovremmo essere in grado di garantire a tutti/e, gratuitamente e in tempi adeguati, questo tipo di esame.
Invece no, non sta andando esattamente così.
Il tampone è un bene classista che divide la popolazione in due: chi può permetterselo privatamente e chi deve arrangiarsi per poterlo avere gratuitamente.
Capitolo 1
M.A.
Ho i sintomi tipici da covid, vivo con la mia famiglia in un bilocale di cui ora a malapena riusciamo a pagare le utenze.
Provo a chiamare il medico di base che, dato l’enorme carico di lavoro che deve gestire, non mi risponde da oltre 48 ore.
Invio una mail al medico ma anche questa non ricevere risposta.
Provo a cercare in rete quale potrebbe essere la soluzione più breve per capire come muovermi ma vengo sommerso da proposte di tamponi a pagamento con un costo minimo di 80 euro cad.
Ahimè non ho questi soldi e la febbre si alza, ho paura di aver contagiato anche mia moglie e i miei figli, quindi dovremmo quarantenarci tutti/e.
Mia moglie lavora in nero, per ogni giorno che salta non percepisce la paga e rischia di essere sostituita da altri, quindi non può far altro che andarci cercando di avere il minor contatto possibile con i suoi colleghi.
No, non è così che si ferma un epidemia, ma non avendo modo di avere accesso gratuito e veloce ai tamponi non possiamo fare altro.
Decidere se fare la fame o rischiare di contagiare le persone più fragili è il peggior ricatto che il sistema mi abbia mai posto.
La febbre si abbassa e sono ancora in attesa di essere contattato per il tampone, nel frattempo uno dei miei figli inizia ad avere i sintomi e la brutale circolarità del contagio riparte dal principio.
Decidiamo di scavare nel fondo del barile e trovare i soldi per fare tutti/e il tampone più economico, prendiamo appuntamento in una clinica privata che per 45 euro cad ci propone quello rapido.
Fissiamo l’appuntamento dopo 5 giorni (!?) dalla chiamata e ci dirigiamo con i mezzi pubblici (abbiamo solo un motorino e la clinica è distante dal nostro appartamento periferico) contravvenendo a due regole fondamentali, non recarsi a fare il tampone in caso di sintomi e non attraversare luoghi affollati.
Esito dei tamponi immediato, io sono positivo e anche mio figlio, l’infermiera ci dice che ora va necessariamente fatto il tampone classico e che loro propongono un pacchetto da 90 euro cad o in alternativa rivolgersi al medico di base per farlo tramite il SSN.
Ci avverte che verremo segnalati all’ATS ma ci dice anche che ormai non riescono più tracciare i contagi quindi sta a noi decidere se rischiare di avventurarci alla ricerca di un nuovo tampone.
Quale alternativa abbiamo? L’attesa?
Provate voi a vivere di poco, schiacciati in un piccolo appartamento, senza sostegno e senza entrate, con l’obbligo di restare chiusi in casa per 14 giorni, contando che se poi i sintomi compaiono anche ad altr bisogna ripartire da zero.
Non si può vivere così, non auguro a nessuno questa odissea.
Capitolo 2
F.C.
La mia azienda, dopo un lungo periodo di smart working, ha ripreso le attività in presenza e siamo tornati/e a scaglioni ad occupare le nostre scrivanie.
L’app immuni mi avverte di aver avuto un contatto 7 giorni fa con un positivo sul regionale che tutti i giorni mi porta a lavoro.
Come da manuale mi auto isolo in attesa di capire se mi si presentano i sintomi e cerco di capire come muovermi per fare il tampone.
Quelli privati costano molto, quelli gratuiti sono presi d’assalto.
Dato che sto bene e vorrei essere certo di poter tornare a lavoro in serenità prendo la mia auto e mi metto in coda per il tampone drive in.
Come nei peggiori incubi autostradali la coda si muove con una lentezza disarmante, ognuno chiuso nella sua autovettura si inventa un modo per sopravvivere a queste ore di attesa.
C’è chi addirittura ha portato un pranzo completo con tanto di primo e secondo.
Io ho una barretta energetica e mezzo litro d’acqua, sarà una lunga giornata.
Riesco a dormire anche un po, mentre il serpente si muove lento.
Alla fine dopo quasi 8 ore tocca a me, qualche minuto di fastidio e ci siamo, torno a casa sfinito ma fiducioso.
Ora non resta che attendere, passa un giorno, ne passano due, passa anche il terzo e poi il quarto.
Dopo quasi 14 giorni, contando che ho aspettato un pò prima di avviarmi verso il drive in ricevo l’esito positivo del mio tampone.
Ora, combattuto tra la disperazione e il senso di rabbia per questo maledetto sistema che non è stato minimamente rafforzato in attesa della seconda ondata che anche un bambino di 3 anni poteva prevedere, mi metto alla ricerca di qualche amico solidale che può aiutarmi a fare la spesa dato che la mia famiglia vive a 800 chilometri da qui.
Capitolo 3
A.G.
Vivo con alcuni amici in un appartamento a Milano sud.
Faccio l’educatrice presso un piccolo centro qui vicino e, come tutti gli operatori a contatto con i più piccoli, siamo esposti ogni giorno alla possibilità di contagio.
Come prevedibile uno dei bimbi risulta positivo e ci dobbiamo isolare tutti/e.
Una volta a casa cerco di capire come accedere al tampone dato che la struttura per cui lavoro non mi garantisce questo tipo di supporto.
Consapevole del fatto che il mio contratto precario non prevede il mantenimento del mio compenso durane l’autoisolamento cercando di affrettarmi per avere presto i risultati per poter svolgere i laboratori con altri/e ragazzi/e.
Il privato mi risulta particolarmente inaccessibile mentre il pubblico è quasi inarrivabile data la totale saturazione del sistema.
Alla fine decido di avere pazienza e attendere i 14 giorni di auto quarantena senza tampone necessari a potermi dichiarare libera.
Sono 14 giorni senza lavoro, senza stipendio e senza poter varcare la soglia di casa.
Nonostante la disperazione lo faccio comunque perché credo sia necessario combattere assieme questa pandemia e ognuno può fare la sua parte.
Finiti i 14 giorni sono libera non avendo mai avuto sintomi, peccato che nel frattempo le attività del mio centro sono state sospese date le nuove assurde disposizioni ministeriali.
Ora posso uscire, posso andare al centro commerciale a spendere dei soldi che non ho, posso andarci per ammalarmi dato che sono le uniche cose che nessuno ha mai sentito la necessità di chiudere.
Questi sono solo alcuni dei tanti capitoli dell’odissea del tampone, la storia di chi tutti i giorni si trova di fronte all’inefficienza di un sistema sanitario che non è in grado di garantire a tutti/e questa prima barriera contro la diffusone del contagio.
La disperazione fa sì che la ricerca del tampone diventi una sfida necessaria alla sopravvivenza.
Quando l’inaccessibilità ad un servizio sanitario essenziale diventa sistematica, le imprese private si sfregano le mani in attesa delle lunghe code di persone che, costi quel che costi, ne hanno bisogno.
Immaginate quanto capitale ingiustamente sottratto con il ricatto sulla salute sta riempendo le tasche delle aziende farmaceutiche e delle strutture sanitarie private.
Di questi conti però, nel dibattito politico, non si parla mai, nessuno mette in chiaro quanto capitale viene accumulato, nessuno ha la volontà di rendere noto qual è l’unico motivo per cui conviene molto di più privatizzare l’odissea dei tamponi.
La risposta è sempre la stessa: il profitto in questa società ha molto più valore della salute pubblica.
Lucrare sulle nostre vite è la disumana priorità di chi governa, a noi la responsabilità di non accettare mai più questo insolente ricatto, organizzandoci assieme per una sanità pubblica, laica, accessibile e gratuita.
Brigate Volontarie per l’Emergenza, 4 novembre 2020