Il terzo Congresso del Partito Comunista e la rinascita del movimento comunista nel nostro paese

Il 7 e 8 novembre si svolge il terzo Congresso nazionale del Partito Comunista guidato da Marco Rizzo.

Le discussioni ideologiche e politiche in seno al movimento comunista non sono mai “affari di un piccolo gruppo” o di un singolo partito o organismo. Sono questioni che riguardano direttamente tutti coloro che hanno a cuore la rinascita del movimento comunista e vogliono avere un ruolo nella lotta di classe in corso nel nostro paese.

Il PC aggrega una parte importante di quei compagni con la falce e il martello nel cuore che, nel nostro paese, traggono un bilancio principalmente positivo della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e riconoscono la necessità del socialismo per uscire dal marasma provocato dalla crisi del sistema capitalista.

Il PC fa suo il marxismo-leninismo, guarda all’esperienza storica dei Paesi socialisti, difende e valorizza la storia e i valori del movimento operaio e comunista italiano e internazionale, è per i principi ispiratori della Costituzione del 1948 e della Resistenza al nazi-fascismo, persegue la rivoluzione socialista in Italia. Esso, però, non entra nel merito della linea strategica e tattica che un partito comunista deve perseguire per fare la rivoluzione socialista nel nostro paese.

L’adesione su base identitaria costituisce il principale limite del gruppo dirigente del PC che ripete oggi errori che furono propri anche della sinistra del vecchio movimento comunista dei paesi imperialisti: la mancanza di una strategia per fare la rivoluzione socialista che, alla lunga, si traduce in attendismo (prima o poi la rivoluzione scoppierà).

L’attesa che la rivoluzione scoppi frena l’azione dei comunisti: alla (giusta) propaganda della necessità del socialismo si affianca una pratica concepita principalmente come lotta sul piano elettorale (quindi, dettata nei modi e nei tempi dalle scadenze della lotta politica borghese) e come sostegno alle lotte rivendicative.

In termini generali, questa è la critica aperta che abbiamo portato al gruppo dirigente del PC ed è anche il terreno su cui abbiamo più volte cercato, senza alcun riscontro positivo, di avviare un confronto e un dibattito sul bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976), sull’analisi della fase e sulla linea generale (tattica e strategia) per far avanzare la rivoluzione socialista in paese imperialista come l’Italia. La discussione congressuale del PC sembra però svilupparsi in modo positivo, cioè in modo da iniziare ad affrontare alcune importanti questioni, almeno stando a quanto emerge dal documento su cui si basano i lavori. In esso, sono infatti presenti significativi passi avanti in termini di elaborazione:

  1. una positiva tensione a elaborare il bilancio dell’esperienza del vecchio movimento comunista e ad usarlo come base per tracciare la linea da seguire. In molti casi il gruppo dirigente del PC tira delle conclusioni diverse dalle nostre (ad esempio ritiene che nei confronti del M5S i comunisti avrebbero dovuto essere ancora più intransigenti), ma il metodo di sottoporre a verifica il lavoro svolto è giusto e se continuerà su questa strada usando il materialismo dialettico come strumento di analisi della realtà, comprenderà quanto è dannoso per noi il settarismo (Bordiga docet);
  2. il riconoscimento della necessità di superare l’appiattimento alla partecipazione alle elezioni e il riconoscimento dell’importanza di dotarsi di un lavoro ordinario e continuativo verso la classe operaia, le masse popolari e i giovani, indipendente dalle scadenze (tempi, modi e contenuti) dettati dalla classe dominante;
  3. il riconoscimento della necessità di approfondire gli apporti dati al patrimonio scientifico della concezione comunista del mondo dai promotori della lotta contro il revisionismo moderno (dal Partito Comunista Cinese, guidato da Mao e dal Partito del Lavoro di Albania guidato da Enver Hoxha).

 

A fronte di questi positivi apporti all’elaborazione ideologica, nel PC persistono e tendono a incancrenirsi alcuni limiti caratteristici della sinistra del vecchio movimento comunista (Secchia e altri) che, in particolare in questa fase, inficiano il contributo che questo partito può dare alla rinascita del movimento comunista nel nostro paese:

  1. un dibattito chiuso e deficitario. Numerosi iscritti al PC con cui siamo in contatto criticano il fatto che il dibattito congressuale sia lacunoso e superficiale, aspetto questo che penalizza il processo di critica, autocritica e trasformazione e impedisce un giusto bilancio dell’esperienza;
  2. nonostante l’autocritica rispetto all’appiattimento sul piano elettorale, il documento congressuale delinea un’impostazione dell’attività che continua ad essere votata all’elettoralismo (centralità della partecipazione alle elezioni per la crescita e lo sviluppo dell’organizzazione) e all’economicismo (rinnovo dell’impegno di PC alla costruzione del sindacato di classe, nonostante esso stesso riconosca che poco è stato fatto in questa direzione fissata già nei congressi precedenti – vedi l’esperienza della creazione del Fronte unitario dei lavoratori – FUL);
  3. un pronunciato settarismo sia nei confronti degli altri partiti e organizzazioni comuniste, concepiti come suoi “diretti concorrenti”, sia nei confronti dei movimenti spontanei delle masse popolari visti tutti come la longa manus della classe dominante (è stato il caso delle Sardine).

 

Auguriamo ai compagni e alle compagne del PC che il dibattito e la lotta interna in corso portino ad un proficuo lavoro congressuale e post-congressuale. Il nostro auspicio è che essi sappiano avvalersi degli elementi positivi che emergeranno per trattare e superare i limiti che noi abbiamo individuato.

Il marasma in cui la classe dominante ha fatto sprofondare il paese non può sicuramente trovare soluzione nelle “ricette” impartite dalla classe dominante, ma neppure nella ripetizione degli errori commessi dal pur glorioso movimento comunista che ci ha preceduto.

 

Spetta a noi comunisti trasformarci per fare avanzare la lotta per il socialismo, perché sappiamo che in esso sta l’unica soluzione. A noi il compito di individuare, affrontare e superare i limiti ideologici che abbiamo ereditato dal vecchio movimento comunista (da 60 anni di revisionismo del PCI di Togliatti e Berlinguer e dalla sinistra borghese di Bertinotti e soci) e che, nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, hanno impedito al socialismo di affermarsi nei paesi imperialisti.

Per essere e fare i comunisti, oggi non basta essere d’accordo sulla necessità del socialismo e promuovere lotte rivendicative con la speranza che la rivoluzione scoppi: bisogna organizzare la rivoluzione, far crescere e rafforzare il nuovo potere delle masse popolari organizzate (vedi l’articolo “Rafforzare il nuovo potere” a fianco).

Questo è il terreno concreto che, nonostante le differenze ideologiche, vogliamo coltivare attraverso l’unità d’azione nella pratica.

 

Il movimento comunista cosciente e organizzato non rinasce in ragione del fatto che la classe operaia e le masse popolari sono più disposte a mobilitarsi. Non rinasce perché, di punto in bianco, esse “diventano rivoluzionarie”.

Sta a noi comunisti suscitare, elevare la loro combattività e orientare la parte di esse che è già organizzata a porsi obiettivi rivoluzionari, obiettivi di governo (un governo di emergenza delle masse popolari organizzate) e obiettivi di potere (l’instaurazione del socialismo).

È nella lotta politica rivoluzionaria diretta dai comunisti che la classe operaia e le masse popolari combattono per assurgere a classe dirigente di una nuova e superiore società, il socialismo.

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