Pubblichiamo sulla nostra Agenzia Stampa la lettera che un membro del P. CARC ha inviato ad un compagno interessato alla figura di Mao e al maoismo. Per presentarla, riprendiamo un pezzo del contenuto della lettera stessa: “il maoismo ci ha lasciato in eredità una serie di apporti scientifici (scoperte), che sviluppano il marxismo-leninismo e danno una superiore visione del contenuto della rivoluzione socialista. Chi oggi, tra i comunisti che operano in Italia, cerca la strada per superare quei limiti che hanno caratterizzato il vecchio PCI, riconoscendo l’importanza dell’anti-revisionismo nel patrimonio ideologico del movimento comunista (intesa come lotta contro le deviazioni e le tesi sbagliate che hanno portato i partiti comunisti su un terreno inconcludente), deve studiare e usare il maoismo. L’anti-revisionismo non è e non deve essere soltanto “la denuncia dei traditori del comunismo”, né la “semplice riaffermazione dei principi del marxismo-leninismo”, ma l’assimilazione e l’uso del maoismo nella lotta rivoluzionaria in continuità con i principi del marxismo-leninismo.”
Con molta ignoranza, pregiudizio o faciloneria oggi si parla di Mao e della rivoluzione socialista in Cina. Mao Tze Tung non è stato però un “capo minore” della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale: a dimostrarlo è il bagaglio scientifico che ha portato alla concezione comunista del mondo, rispondendo e risolvendo questioni di carattere ideologico fino ad allora irrisolte e da cui oggi dobbiamo partire per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato.
Buona lettura.
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Milano, 07.10.2020
Caro compagno, con questa mia breve lettera voglio riprendere con te il ragionamento su Mao, sul maoismo e sulla rivoluzione cinese.
Prima di entrare nel merito di alcune cose riguardanti il maoismo, una premessa necessaria. Come Carovana del (nuovo)Partito Comunista Italiano, di cui il Partito dei CARC è parte, abbiamo tracciato un bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale, cominciata con la Rivoluzione d’Ottobre in Russia guidata dai bolscevichi e culminata con la fine della Rivoluzione culturale cinese diretta dal Partito comunista cinese (PCC) guidato da Mao Tse-Tung (1917-1976), coincidente con la sua morte e la ripresa da parte della borghesia imperialista della direzione del corso delle cose in tutto il mondo (un’“epoca di sfrenata e cupa reazione” impersonata da Reagan alla presidenza USA e la Thatcher in Regno Unito).
Sulla base dell’analisi che abbiamo fatto del movimento economico, politico e culturale dei primi paesi socialisti – formatisi sull’esempio glorioso dell’URSS guidata prima da Lenin e poi da Stalin – e dei paesi imperialisti, siamo giunti alla conclusione che l’esaurimento della prima ondata e la dissoluzione dei primi paesi socialisti sono legati principalmente alla mancata realizzazione della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti – tra questi l’Italia. Nel nostro paese, un paese imperialista, il PCI era incapace di guidare le masse proletarie alla presa del potere non principalmente per il tradimento dei suoi dirigenti (Togliatti, Longo ecc. fino a Berlinguer), ma principalmente per l’inadueguatezza della sinistra al suo interno (all’epoca impersonata dai vari Secchia, Vaia, Teresa Noce ecc.). Questa sinistra non fu in grado di opporre alla linea revisionista affermatasi con Togliatti a livello italiano, e Kruscev a livello internazionale, una linea efficiente che si facesse forza su una concezione giusta della rivoluzione socialista. Mao Tze Tung si mise alla testa, a livello internazionale, della lotta contro il revisionismo moderno.
Studiando Mao, abbiamo compreso che il maoismo, come arricchimento scientifico del marxismo-leninismo, è la più elevata elaborazione esistente della concezione comunista del mondo cui il movimento comunista cosciente e organizzato storicamente è arrivato ed è (deve essere oggi) base di partenza per tutti i comunisti che si trovano di fronte alla necessità di superare i limiti e gli errori compiuti dal vecchio movimento comunista, nonostante anche Mao con la Grande Rivoluzione Culturale e il tentativo di combattere il revisionismo all’interno del PCC fu sconfitto dai revisionisti alla Deng Xiaoping.
In particolare, il maoismo ci ha lasciato in eredità una serie di apporti scientifici (scoperte), che sviluppano il marxismo-leninismo e danno una superiore visione del contenuto della rivoluzione socialista. Chi oggi, tra i comunisti che operano in Italia, cerca la strada per superare quei limiti che hanno caratterizzato il vecchio PCI, riconoscendo l’importanza dell’anti-revisionismo nel patrimonio ideologico del movimento comunista (intesa come lotta contro le deviazioni e le tesi sbagliate che hanno portato i partiti comunisti su un terreno inconcludente), deve studiare e usare il maoismo. L’anti-revisionismo non è e non deve essere soltanto “la denuncia dei traditori del comunismo”, né la “semplice riaffermazione dei principi del marxismo-leninismo”, ma l’assimilazione e l’uso del maoismo nella lotta rivoluzionaria in continuità con i principi del marxismo-leninismo.
Per quanto riguarda gli insegnamenti che possiamo ricavare dal maoismo, non entro nel merito di tutti in questa lettera ma avremo modo di trattarli (altrimenti sarebbe troppo lunga questa mia lettera, mi preme affrontare le questioni a partire dalle principali). La principale scoperta a cui giunge il maoismo è la forma che deve avere il processo che conduce alla rivoluzione socialista, ossia la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata come strategia universale della rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia, un’insurrezione organizzata in un “momento X” dal Partito comunista con le sue forze armate rivoluzionarie oppure un insieme di sommosse, di cui il Partito comunista approfitta ponendosi alla testa di un fronte variegato di forze democratiche e progressiste che vogliono cambiare il corso delle cose. La rivoluzione socialista è una guerra, cioè uno scontro contro la classe dominante, e va condotta come tale, non in senso armato ma nelle “modalità” con cui si combatte una guerra, quindi fatta di tappe, fasi, operazioni tattiche concatenate ecc.; popolare nel senso che deve vedere la partecipazione delle masse popolari, in particolare della classe operaia, che costruiscono i propri centri di potere, le Organizzazioni Operaie e Popolari, al pari di come furono i soviet in Russia e le “basi rosse” in Cina; rivoluzionaria, perchè ovviamente deve avere l’obiettivo della presa del potere e dell’instaurazione della dittatura del proletariato e non di conservazione dell’esistente o di miglioramento delle condizioni di vita delle masse popolari all’interno del sistema capitalista; di lunga durata, ossia che ha suoi tempi specifici, più o meno lunghi, ma che dipendono principalmente dalla qualità della lotta condotta dai comunisti nel dirigere la classe operaia e le masse popolari nella conquista del potere. Oggi, i comunisti che non conducono uno studio nella direzione di comprendere ed assimilare la forma che deve assumere la rivoluzione socialista, e quindi la strategia necessaria per farla, sono “monchi” dell’aspetto decisivo che serve, perchè navigano a vista, senza una direzione politica autonoma dalla classe dominante. Per approfondire questo aspetto ti invito alla lettura dell’articolo che allego a questa mia lettera perchè entra nel merito di cosa è la guerra popolare rivoluzionaria condotta dai comunisti.
Fammi avere, compagno, le tue considerazioni, i tuoi dubbi, le tue domande e critiche, per iscritto o telefonandomi, anche se presto ci vedremo di persona.
È necessario e possibile instaurare il socialismo nel nostro paese, disfarsi del putrescente potere della borghesia e aprire un nuovo cammino di sviluppo per l’umanità avanzando verso il comunismo, quella “associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Per farlo però c’è bisogno che i comunisti si dotino della scienza necessaria a condurre la guerra contro la classe dominante. La nostra fortuna, nonostante oggi bisogna far fronte alla storica sconfitta dei revisionisti moderni (vecchio PCI e caduta dei primi paesi socialisti) e quindi alla sfiducia che gran parte dell’umanità nutre nei confronti del comunismo, è che non partiamo da zero: c’è un bagaglio scientifico enorme da cui partire per la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato. Sta a noi conoscerlo, assimilarlo e usarlo!
Ti saluto a pugno chiuso.
Per il Partito dei CARC, Emanuele
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Da La Voce 65 del (nuovo) Partito Comunista Italiano
Farla finita con il disastro del capitalismo è una guerra (popolare e rivoluzionaria)
Non basta moltiplicare le lotte rivendicative e partecipare alla lotta politica borghese
La pandemia e la crisi sanitaria, economica, sociale e ambientale che ha fatto deflagrare richiedono un passo avanti della rivoluzione socialista. Questa necessità si manifesta già in molti modi, sia in campo pratico sia in campo teorico.
In campo pratico, nel pullulare di mobilitazioni, proteste e iniziative che coinvolgono tutti i settori delle masse popolari, tra le quali si fa strada la percezione che “così non si può più andare avanti”, “a mali estremi, estremi rimedi”, “non tornare alla normalità perché la normalità era il problema”.
In campo teorico, nel dibattito che si sta sviluppando tra i partiti e gli organismi che nel nostro paese si dicono comunisti, dibattito di cui sono espressione le riviste che una dopo l’altra hanno iniziato la pubblicazione: l’Ordine Nuovo (area Alessandro Mustillo-FGC), Ragioni e Conflitti (PCI, segretario Mauro Alboresi), Cumpanis (diretta da Fosco Giannini, responsabile Dipartimento Esteri del PCI), Su la testa (PRC). In questo dibattito si scontrano tre linee di pensiero: la linea riformista (indicare cosa la borghesia dovrebbe fare), la linea attendista (chissà cosa succede: vediamo) e la linea di chi riconosce che l’instaurazione del socialismo è l’unico modo per porre fine alla crisi in corso. Tra una parte dei fautori di quest’ultima linea, di quanti cioè assumono l’instaurazione del socialismo come obiettivo dichiarato della loro azione, il dibattito ruota più o meno apertamente e seriamente attorno al percorso che il movimento comunista deve compiere per rovesciare il potere esistente e instaurare il potere della classe operaia: sulla strategia dei comunisti. Mi riferisco al dibattito in corso nel PC di Marco Rizzo e nel Fronte della Gioventù Comunista (FGC), che su questa questione ha di recente rotto il patto che lo legava al PC.
Ben vengano il dibattito e il confronto sulla strategia dei comunisti, cioè sul modo in cui il movimento comunista oggi prepara e attua la conquista del potere (la via per instaurare il socialismo, la forma della rivoluzione socialista). Su questo tra i comunisti oggi non solo non c’è accordo, ma prima di tutto non c’è stato per molti anni neanche confronto, benché la strategia per i comunisti sia una componente imprescindibile della scienza (la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia) che è alla base dell’unità dei comunisti in partito e del loro agire da partito comunista. Questo vale soprattutto per i comunisti dei paesi europei e degli USA, dove il modo di produzione capitalista nella lotta contro il feudalesimo si è pienamente sviluppato con le sue espressioni politiche: le libertà individuali, la cultura e l’istruzione, la libertà di associazione, la partecipazione popolare alla vita politica, l’attività sindacale.
La difficoltà del movimento comunista a trovare la via alla rivoluzione socialista in questi paesi è infatti evidente.(1)
1. Questa difficoltà emerge da tutta la storia del movimento comunista. Basta vedere la concezione della rivoluzione socialista in Marx e in Engels (Introduzione (1895) di Engels agli scritti di Marx Lotte di classe in Francia 1848-1850 e Critica del Programma di Gotha (1875) di Marx) e gli scritti sulla via da seguire di Edward Bernstein, di Rosa Luxemburg, di Jean Jaurès nell’ambito della II Internazionale (1889 – 1914) e dei suoi continuatori. La discussione sulla via al socialismo (sulla forma della rivoluzione socialista) fu più volte avviata nei congressi e in altre riunioni della II Internazionale e in singoli partiti aderenti, ma non venne mai portata abbastanza a fondo perché i singoli partiti non si trovassero scoperti nel 1914, allo scoppio della prima Guerra Mondiale. Nelle pubblicazioni del nostro Partito abbiamo più volte esposto le oscillazioni nell’Internazionale Comunista (1919 – 1943) in questo campo.
Qui il movimento comunista non si è liberato quanto necessario dal retaggio storico legato alle sue origini. La partecipazione alle elezioni e alle istituzioni della democrazia borghese e le rivendicazioni sindacali e politiche di migliori condizioni di vita e di lavoro hanno avuto un ruolo importante nella nascita e nello sviluppo del movimento comunista di massa. Ma da quando sono maturate le condizioni della rivoluzione proletaria (di cui il movimento politico della classe operaia era l’aspetto soggettivo, il passaggio del capitalismo alla sua fase imperialista quello oggettivo), la riduzione della lotta di classe a queste due attività ha dato luogo a due deviazioni (elettoralismo ed economicismo) ed è diventata l’ostacolo che ha impedito ai partiti comunisti di adempiere al loro compito storico.
Ogni volta che in questi paesi il movimento comunista ha raggiunto una qualche forza, esso infatti
– si è concentrato sul miglioramento delle condizioni di vita degli operai, dei proletari e delle masse popolari anziché condurli anzitutto ad assumere il potere, ad assumere la direzione sulla propria vita e sulla società intera;
– ha cercato di ampliare la partecipazione delle masse popolari agli istituti della democrazia borghese (partiti, elezioni, assemblee rappresentative), di conquistare seguito, consensi, egemonia culturale e d’opinione, voti e quindi forza nelle istituzioni della democrazia borghese, come mezzo per condizionare l’azione del governo e dell’apparato statale in senso favorevole alle masse anziché mettere al centro la conquista del potere da parte della classe operaia e delle masse popolari organizzate: instaurare la dittatura del proletariato e attraverso questa la democrazia proletaria (partecipazione universale al patrimonio culturale della società e alla gestione della vita sociale: la “cuoca che dirige gli affari dello Stato”, per dirla con Lenin).
“Chi ben inizia è a metà dell’opera”: vale anche per il dibattito sulla strategia dei comunisti. Perché sia fecondo di sviluppi e si traduca in un’attività coerente, va impostato su binari adeguati (e poi condotto effettivamente). Lo dico a proposito del Documento approvato all’unanimità il 2 maggio 2020 dal Comitato Centrale del Fronte della Gioventù Comunista. Esso indica la costruzione di un “fronte unico di classe per rispondere all’offensiva padronale che sta arrivando, come la forma oggi necessaria di coordinamento e mobilitazione tra le forze sindacali e di classe, sulla base di una piattaforma di rivendicazioni comune, unitaria, di classe su cui orientare le lotte dei lavoratori”; poi aggiunge che la costruzione di un fronte “composto da tutte le forze sindacali e di classe conflittuali, da tutti i lavoratori che si oppongono alla collaborazione di classe con la borghesia, che vogliono lottare per un’uscita dalla crisi in favore della classe operaia e non dei padroni” è “un passo che non si sostituisce né risolve la questione della ricostruzione comunista, della necessità di un forte partito comunista che sia capace di sviluppare, sul terreno della lotta politica e ideologica, una strategia rivoluzionaria per la conquista del potere dei lavoratori. Non la risolve, ma tanto meno vi si pone in contraddizione, e anzi crediamo che la ricomposizione del movimento operaio a partire dalla lotta di classe sia importante tanto quanto la ricostruzione dell’avanguardia politica”.
Il Documento del FGC sorvola sul fatto che il rapporto tra il “forte partito comunista” e lo “sviluppo della strategia rivoluzionaria” è che il partito diventa forte se segue una strategia giusta (giusta perché definita sulla base di quello che l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci insegna in proposito e dell’analisi della società attuale) e se la attua strenuamente, coerentemente, creativamente, e quindi è costituito, funziona, seleziona e forma i suoi membri a questo fine. Un tale partito comunista non è il risultato né della partecipazione alle elezioni e della predicazione dei principi del socialismo né della promozione delle lotte rivendicative e delle proteste. Esso è formato dai comunisti che assimilano e applicano gli insegnamenti della scienza comunista delle attività con le quali gli uomini fanno la storia e del bilancio dell’esperienza e grazie a questo mobilitano e organizzano le masse popolari ad avanzare passo dopo passo nella rivoluzione socialista fino a instaurare il socialismo.
Mettere sullo stesso piano la costruzione del “fronte delle forze sindacali e di classe conflittuali” e “la ricostruzione dell’avanguardia politica” così come voler costruire prima un partito comunista forte (grande e riconosciuto dalle masse) e poi occuparsi della strategia che esso deve seguire per instaurare il socialismo porta inevitabilmente, se non a cadere dalla padella alla brace, a scivolare, cercando di uscire dalla padella dell’ elettoralismo, nella padella dell’economicismo. In ogni caso un vicolo cieco, come la storia del movimento comunista ha dimostrato più volte.
Definire la strategia significa dare una risposta (fondata sull’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria del periodo 1917-1976 e della lotta di classe in corso studiata usando il materialismo dialettico, non su desideri e aspirazioni, su “quello su cui sono d’accordo tutti i comunisti” o sulle brillanti idee del “pensatore critico” al momento in voga in TV e nelle librerie) alla domanda se per porre fine al catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista è necessaria una guerra (di tipo particolare: popolare e rivoluzionaria) oppure bastano le lotte rivendicative e la partecipazione alla lotta politica borghese accompagnate dalla propaganda del socialismo, della storia del movimento comunista e delle sue conquiste, dell’esperienza dell’URSS e degli altri paesi socialisti.
La nostra risposta l’abbiamo esposta e illustrata a più riprese e trattata sotto vari punti di vista in numerosi articoli di La Voce a cui rimando (in particolare ai 4 articoli Sulla natura della GPR, strategia della rivoluzione socialista; Quale partito comunista?; Ancora sulla GPR che i comunisti promuovono in questo periodo in Italia; Il partito clandestino, tutti in VO 45 – novembre 2013). Qui mi limito a evidenziare tre cose.
■ Che la rivoluzione socialista è una guerra popolare non è una nostra invenzione. E una delle lezioni, sintetizzata nel maoismo, dell’ondata rivoluzionaria suscitata in tutto il mondo dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla nascita e dalle vittorie dell’Unione Sovietica: i partiti che si sono regolati così sono riusciti a instaurare il socialismo nei loro paesi, gli altri no. Per noi comunisti italiani è una lezione particolarmente importante, perché nei paesi europei solo in Albania e in Jugoslavia i partiti comunisti instaurarono repubbliche popolari senza l’aiuto dell’Armata Rossa sovietica. In Grecia il Partito comunista tentò, ma venne sconfitto con l’intervento diretto degli angloamericani. In Spagna il PCE, dopo essere arrivato a costituire il governo del Fronte Popolare nel febbraio 1936, affrontò con una linea oscillante la guerra civile (1936-1939) scatenata dalle guarnigioni coloniali comandate dal generale Franco al soldo dei gruppi più reazionari della borghesia e del clero e venne infine sconfitto. In Germania il Partito comunista (KPD) non riuscì a mobilitare sul piano della guerra né gli operai comunisti (benché avesse avuto 5 milioni di voti alle ultime elezioni tenutesi nel 1933) né gli ebrei che dai nazisti erano perseguitati a morte. In Francia il PCF arrivò a instaurare nell’aprile-maggio del 1936 il governo del Fronte Popolare, ma esso si occupò di migliorare le condizioni delle masse popolari, non di organizzarle ad affrontare lo scontro che si andava preparando e quindi passò di cedimento in cedimento fino a cadere nel 1937; nel 1939 il PCF si trovò in condizioni tali che migliaia di suoi membri vennero arrestati, l’organizzazione del partito saltò completamente e il suo segretario, M. Thorez, rispose alla chiamata alle armi del governo francese; solo dal luglio 1940 in avanti il PCF ricostruì con eroismo e tenacia la sua organizzazione e a partire dal 1941 un po’ alla volta assunse la guerra rivoluzionaria come forma principale di attività ma attenendosi alla linea “tutto attraverso il Fronte” con le forze borghesi antifasciste che aveva già portato allo sfacelo il governo del Fronte Popolare. In Italia il PCI guidato da Togliatti, dopo aver diretto vittoriosamente la Resistenza contro il nazifascismo di cui nel settembre 1943 (dopo la dissoluzione dell’esercito italiano) si era messo alla testa su indicazione dell’Internazionale Comunista, si prestò a collaborare alla ricostruzione economica post-bellica sotto la direzione della borghesia e alla ripresa del capitalismo: diventò cioè il più di sinistra dei partiti dell’arco parlamentare.
■ La concezione della rivoluzione come guerra popolare rivoluzionaria è l’antitesi 1. della concezione dei comunisti come promotori delle lotte rivendicative e/o della partecipazione delle masse popolari alla lotta politica borghese, 2. della concezione della rivoluzione come colpo di mano di una minoranza illuminata o come rivolta popolare. Queste erano le concezioni tra le quali oscillava l’Internazionale Comunista.
■ Dalla concezione della rivoluzione socialista discendono altre due questioni che sono parte dell’ “armamentario di base” dei comunisti.
– Il tipo di partito comunista che occorre per promuovere e dirigere la guerra delle masse popolari contro la borghesia e il clero fino alla vittoria. Gli articoli sopra richiamati illustrano 1. che la classe operaia per combattere vittoriosamente la borghesia deve avere una direzione, il partito comunista, che non basa la sua esistenza sul margine di libertà di azione politica che la borghesia imperialista reputa le convenga consentire alle masse popolari, ma sulla sua capacità di esistere e di operare nonostante i tentativi della borghesia di eliminarlo e che da qui sfrutta al massimo anche quel margine per la sua azione (il partito comunista deve cioè essere clandestino); 2. che questo vale non solo nei paesi in cui “a causa dello stato d’assedio o di leggi d’eccezione” la borghesia ha limitato l’attività legale, ma in ogni paese e prima che la borghesia metta in atto stati d’assedio o leggi d’eccezione (la clandestinità è la regola, non l’eccezione che entra in azione nei momenti di emergenza); 3. che dalla clandestinità il partito comunista interviene nei movimenti legali che sono necessari e utili alla classe operaia, al proletariato e alle masse, destina una parte dei suoi membri a svolgere compiti nella lotta politica legale e nel lavoro legale di mobilitazione delle masse, crea tutte le strutture legali che la situazione consente di creare.
Qui aggiungo solo poche considerazioni. Nessuno si sognerebbe di dire che un esercito debba combattere usando solo le armi, prendendo solo le iniziative, occupando solo il terreno che l’esercito avversario gli consente: sarebbe chiaramente un esercito condannato fin dall’inizio alla sconfitta! Perché questa regola non dovrebbe valere per il partito che conduce la guerra delle masse popolari per sconfiggere la borghesia?
Molti, che pur si dicono ammiratori di Lenin e leninisti, sorvolano sul fatto che il partito bolscevico era clandestino. “Bella forza”, dirà qualcuno, “il regime zarista vietava agli oppositori di svolgere attività legali”. Che dicono però della strenua lotta (2) condotta da Lenin nel 1908 contro i “liquidatori” che, in nome del lavoro nei sindacati, nelle altre organizzazioni di massa legali (casse d’assicurazione-malattie, cooperative operaie, società di cultura, ecc.) e nella Duma, volevano sciogliere il partito clandestino e sostituirlo con “un raggruppamento informe nel quadro della legalità ad ogni costo” e poi ancora nel 1912-14 per rafforzare le organizzazioni clandestine del partito, cacciare i liquidatori dalle organizzazioni di massa legali e raggrupparle intorno al partito clandestino?
– Il piano di guerra che i comunisti devono darsi: il piano di avvicinamento all’instaurazione del socialismo.(3) Allo stesso modo di un esercito che va in guerra, i comunisti devono darsi un piano che, partendo dall’attuale situazione di organizzazione e coscienza delle masse popolari, di rapporto di forze tra esse e la borghesia imperialista, di livello raggiunto dalla rinascita del movimento comunista, indica la successione di passi per creare un nuovo sistema di potere che crescendo scalza quello della borghesia fino a sostituirlo. È così che i comunisti indirizzano verso un obiettivo politico, di potere, di governo del paese gli organismi che la resistenza agli effetti della crisi fa sorgere tra i lavoratori e il resto delle masse popolari, non tanto o principalmente incitandoli a rivendicare dal governo in carica o a cacciarlo e a votare per i comunisti alle elezioni!
2. Sulla lotta contro i liquidatori, vadasi i capp. IV e V di Storia del PC(b) dell’URSS – a cura della Commissione del CC diretta da Stalin, Ed. Red Star Presse-Edizioni Rapporti Sociali, 2018.
3. La linea del Governo di Blocco Popolare adottata dalla Carovana del (n)PCI nel 2008 è questo piano di avvicinamento. Per un’illustrazione sintetica di esso e delle sue premesse vedasi l’articolo GBP, rivoluzione socialista e GPR, in La Voce 53 – luglio 2016.
Occuparsi della strategia, se la dichiarazione che è necessario dotarsene è reale e non una reverenza ai “santi padri” del comunismo per poi passare a tutt’altro o semplicemente una manifestazione di scontento; significa occuparsi di cose molto pratiche. E alla luce della strategia infatti che, pena andare a naso e barcamenarsi, i comunisti impostano la loro azione in ogni campo della lotta di classe (tattica) e si mettono nelle condizioni, usando le parole di Lenin, “di saper impiegare questa tattica allo scopo di elevare, e non di abbassare il livello generale della coscienza proletaria, dello spirito rivoluzionario del proletariato, della sua capacità di lottare e di vincere”. Dalla strategia che il partito comunista adotta dipendono anche le attività che svolge nel lavoro esterno (4) e come le svolge, compreso come interviene nella lotta politica borghese (elezioni, referendum, assemblee rappresentative, ecc.) e nelle mobilitazioni per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro: è una deformazione grottesca pensare o dare a intendere che guerra popolare rivoluzionaria voglia dire sempre e solo lotta armata e che quindi i comunisti che seguono la strategia della GPR si dedicherebbero sempre e solo a formare organismi militari, accumulare armi e munizioni, preparare insurrezioni.
4. A scanso di equivoci: qui non me ne occupo, ma la strategia della GPR ha delle ricadute altrettanto importanti e determinanti sul lavoro interno del partito comunista. Le principali sono il centralismo democratico, la lotta tra due linee, la riforma intellettuale e morale per selezionare e formare i suoi membri.
Faccio alcuni esempi.
1. Nell’azione tra gli operai e gli altri proletari, valorizzare e promuovere quelle iniziative che rafforzano tra di essi la fiducia (il fare affidamento per il proprio futuro) nelle loro forze e nella forza delle masse popolari organizzate anziché affidarsi alla benevolenza e alle promesse delle autorità e degli esponenti delle classi dominanti. Questo implica per noi comunisti una serie di cose, tra le quali oggi diventa particolarmente importante la conoscenza (almeno in linea di massima) della struttura produttiva del nostro paese.
2. Occuparsi di tutte le classi delle masse popolari (quelli che riescono a vivere solo se riescono a lavorare). In questo campo si scontrano
– la linea che gli operai per liberarsi dal capitalismo devono mobilitare e guidare tutte le classi oppresse a porre fine al sistema capitalista di contro alla linea che gli operai dovrebbero rendersi indipendenti dalle masse popolari e pensare solo a se stessi (vedi Partito Operaio e simili);
– l’analisi delle classi determinate dall’attività economica di contro alla “composizione politica di classe”, cioè analisi degli schieramenti politici in cui sono al momento divise le masse popolari. L’analisi di classe è un campo specifico di lavoro del partito comunista: costituisce l’anello di congiunzione tra quali classi sono nel campo rivoluzionario, quali sono nel campo controrivoluzionario, quali oscillano. Su questa base il partito può condurre un’attività che porta le masse, sulla base dell’esperienza che vengono direttamente facendo, ad assumere comportamenti politici coerenti con i loro interessi di classe. In proposito rimando all’articolo I comunisti e il campo delle masse popolari, la mobilitazione reazionaria e la rivoluzione socialista, in questo numero di VO.
3. Nelle lotte rivendicative, intervenire con obiettivo principale che ognuna di esse faccia sorgere un’organizzazione operaia o popolare che opera con continuità, continua a esistere anche quando la lotta è finita (non di raccogliere voti, cercare chi la pensa come noi, “stare vicini” ai lavoratori). Fare in modo che ogni lotta serva a lanciare un’iniziativa di livello superiore per raggio d’azione, per numero di elementi delle masse popolari che coinvolge, per le contraddizioni che apre nel campo nemico, per gli obiettivi che persegue, ecc. e che ogni lotta vinta diventi la base per una lotta di livello superiore, quindi alimentare il movimento per la trasformazione generale del paese (detto in sintesi: praticare la concatenazione e la sinergia nell’azione, il contrario di aspettare un attacco per reagire e, se si vince, smobilitare fino al prossimo attacco); combinare quello che le masse popolari strappano a padroni e autorità con quello che esse realizzano direttamente; curare l’elevazione dell’organizzazione e della coscienza delle masse coinvolte e il loro legame con il Partito. Individuare per ogni 00 e OP come rafforzarla agendo per linee interne (le iniziative che è in grado di prendere e che ne accresceranno forze e influenza, le persone che è in grado di reclutare, le relazioni che è in grado di sviluppare, ecc.). Mobilitare la sinistra dell’organismo a sfruttare le possibilità d’azione che abbiamo individuato, educarla via via a individuarle essa stessa, reclutare gli elementi migliori e fornire a ognuno le conoscenze e i mezzi per diventare comunisti.
4. Nella propaganda, indicare sistematicamente gli spunti, gli appigli e le occasioni che la situazione offre, i punti di forza delle masse popolari da sviluppare e punti deboli del nemico da sfruttare.(5)
5. L’esatto contrario di quello che fa Giorgio Cremaschi quando, trattando a dieci anni di distanza del referendum ricatto del 2010 nello stabilimento di Pomigliano della FIAT, il 24 giugno scrive: “Il referendum a Pomigliano segnò una svolta reazionaria che dalla fabbrica si estese nella politica e nella cultura del paese, alimentando la distruzione della solidarietà e la guerra tra i poveri. Anche Salvini deve ad esso le sue fortune. Oggi il nuovo presidente degli industriali Carlo Bonomi, di fronte alla catastrofica crisi economica, cerca di riproporre la stessa scelta di Marchionne, con lo stesso codazzo di intellettuali che abbelliscono di scenari futuribili l’orrore della realtà, di sindacalisti pronti a firmare qualsiasi accordo, di politici di tutti gli schieramenti al servizio dei padroni. Perché nonostante il degrado attuale delle condizioni di chi lavora, la fantasia perversa dei padroni ha già individuato nuove vie per farle scendere ancora più in basso. “No dai, questo non è possibile”, si diceva allora come oggi, e invece sì perché il solo limite allo sfruttamento è quello della resistenza e della lotta contro di esso. E perché se non si costruiscono la rottura e l’alternativa al capitalismo liberista, questo continuerà ad imporre la propria ferocia come unica soluzione possibile. Ricordiamo dunque il referendum di Pomigliano come un passaggio buio per la nostra democrazia e per la nostra Costituzione, che può oggi riproporsi con conseguenze ancora più gravi” (vedi http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=29840 GIORGIO CREMASCHI – 10 anni fa la svolta reazionaria di Pomigliano). Cremaschi non ricorda neanche di striscio il movimento che il referendum di Pomigliano mise in moto tra le masse popolari, concentra l’attenzione sulla sinistra dei vertici del sindacalismo di regime della quale allora era esponente. Chiama giustamente alla lotta contro le pretese di Bonomi, ma il suo appello è debole perché non indica a coloro che chiama alla lotta cosa il movimento messo in moto dal referendum di Pomigliano insegna per condurre oggi con successo la lotta contro Bonomi: i risultati che ha raggiunto, cosa bisogna fare per svilupparli, chi e perché non li ha sviluppati (gli errori da non ripetere).
5. Sul terreno elettorale in particolare, di fronte a partiti, movimenti e azioni di altri, il compito principale di noi comunisti non è giudicare in astratto (cioè astraendo dal corso concreto delle cose e dal ruolo che concretamente svolgono nella lotta di classe che noi spingiamo in avanti) chi sono i buoni e chi i cattivi, quali dicono cose vere e quali cose sbagliate, quali agiscono conformemente a ragione e quali contro ragione in base a supposti eterni principi di Giustizia, Verità e Ragione. E neanche quello di interpretare quali sono le loro intenzioni, le loro idee e i loro obiettivi (riposti o proclamati che siano) o di indovinare come probabilmente andranno le cose se le lasciamo andare come stanno andando. Il nostro compito principale è agire in modo da ricavare dalle azioni degli altri (individui, gruppi e classi) quanto più è possibile per far avanzare la mobilitazione delle masse popolari nella rivoluzione che promuoviamo e che sfocerà nell’instaurazione del socialismo; fare in modo che le azioni degli altri giovino alla nostra causa quali che siano le loro intenzioni e aspirazioni; spingerli a fare quello che più giova alla rivoluzione socialista.
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Sul lavoro del partito comunista in campo nemico
Lo Stato moderno, in particolare nei paesi imperialisti, combina le funzioni di controllo, repressione, spionaggio e controspionaggio, militari (le attività dette “regaliane” perché tradizionalmente appannaggio dei re e delle loro corti e che per lo Stato di un tempo erano tutte le funzioni che esso svolgeva) con la lunga e crescente serie di servizi pubblici offerti dallo Stato formatosi nell’epoca capitalista, che sono le funzioni nuove che ha assunto.
Le funzioni regaliane sono svolte dalle Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica), dalle Forze dell’Ordine (quelle statali, di cui fanno parte i Carabinieri che dal 2017 hanno inglobato anche il Corpo Forestale, la Polizia di Stato, la Polizia Penitenziaria, la Guardia di Finanza, i Vigili del Fuoco, e quelle locali, che comprendono i Vigili Urbani), dai Servizi d’Informazione (Aisi e Aise, i servizi segreti rispettivamente per l’interno e per l’estero), dalla Magistratura. A questi nel nostro paese vanno aggiunti i corpi e le strutture che fanno capo alla NATO e ai sionisti, al Vaticano e, anche se di tipo diverso, alla criminalità organizzata. La sinistra borghese e i comunisti arretrati si occupano dei servizi pubblici che lo Stato offre o deve offrire, trascurano le funzioni regaliane. Noi ci occupiamo del reddito e dei servizi (assistenza sanitaria, istruzione, assistenza sociale, trasporti, ecc.) e ancora poco dei corpi e delle istituzioni addette alle funzioni regaliane. In un paese compiutamente capitalista la borghesia non è in grado di governare senza un certo grado di consenso e di collaborazione della massa della popolazione. Questo facilita il trascurare le funzioni regalia-ne, ma ai fini della lotta per instaurare il socialismo sarebbe un errore. In alcuni casi infatti la borghesia lascia che la “sinistra” si occupi delle prestazioni statali alle masse popolari e mantiene sotto il suo controllo solo le istituzioni addette a funzioni regaliane, con cqi interviene e stronca la sinistra quando ha creato le condizioni per farlo con successo. E quello che è avvenuto recentemente in Bolivia (Evo Morales), in Brasile (Lula e Dilma Rousseff), in Ecuador e qualche decennio fa in Argentina (successori di Peron) e Cile (Allende).
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6. Il lavoro nel campo nemico: per raccogliere informazioni sulle attività della classe dominante (usiamo la lezione negativa del primo PCI che fu sorpreso dalla svolta repressiva del regime fascista nel 1926, dall’arresto di Mussolini il 25 luglio 1943 e poi dall’armistizio dell’8 settembre 1943), per individuare persone da reclutare (formazione di organismi clandestini), per fomentare il malcontento (sindacalizzazione, protesta, ribellione nelle Forze Armate e nelle Forze dell’Ordine), per condurre operazioni specifiche. É un lavoro che abbiamo impostato: l’articolo Lavoro esterno nel campo delle masse popolari e lavoro esterno nel campo nemico (La Voce 58, pag. 70) illustra gli obiettivi, le modalità e il tipo di lavoro da fare; le due schede, la prima sull’Arma dei Carabinieri e la seconda sulla Polizia di Stato, disponibili su www.nuovopci.it; il Comunicato CC 10/2020 del 5 aprile 2020- Appello ai membri delle Forze Annate e delle Forze dell’Ordine italiane. Ma siamo solo agli inizi. Vari episodi nel corso dei mesi di confinamento confermano che il terreno è fertile.
Di tutto questo devono sistematicamente e con scienza occuparsi i comunisti promotori della GPR e costruttori del potere delle masse popolari organizzate. Di questo noi ci occupiamo in misura tanto più ampia quanto più crescono le nostre forze.
Tonia N.