Editoriale
La breccia si allarga
Analizzando i sommovimenti politici provocati dalla crisi generale, abbiamo definito “breccia” la frattura fra le larghe masse e il sistema politico della classe dominante. Essa si è manifestata in grande con l’exploit elettorale del M5S alle elezioni politiche del 2013, con la sconfitta del referendum costituzionale del 2016, con la vittoria del M5S alle elezioni politiche del 2018 e si manifesta ogni volta che le masse popolari sono chiamate alle urne: esse o si esprimono in larga maggioranza contro i partiti e gli esponenti delle Larghe Intese (polo PD e polo Berlusconi-Salvini) e del loro sistema politico oppure si astengono (o una combinazione dei due aspetti).
La breccia è il frutto del malcontento, dell’insofferenza, della protesta e della sfiducia verso la classe dominante e verso coloro che, di “destra” o di “sinistra”, hanno promosso negli ultimi decenni l’attuazione del programma comune della borghesia imperialista che ha causato il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita di un’ampia fetta della popolazione.
Cogliere il progressivo allargamento della breccia è importante per fare un’analisi corretta della situazione politica del nostro paese che tenga conto anche delle sue ripercussioni a livello internazionale: la breccia è aperta in tutti i paesi imperialisti e, anche se si manifesta in ognuno di essi con forme e caratteristiche diverse, gli effetti che essa determina in un paese incidono su tutti gli altri.
Chi non vede la breccia (o ne nega l’esistenza) restringe necessariamente la sua analisi al campo del teatrino della politica borghese e ai meccanismi che lo regolano, è incapace di capire la crisi politica che deriva dalla crisi economica e non è in grado di intervenire con una propria linea, autonoma dalla borghesia.
Chi vede la breccia, ma si prodiga per affermare che essa si sta richiudendo anziché allargando, confonde la breccia e il suo contenuto con le sue manifestazioni più evidenti: il M5S è il frutto della breccia, non ne è il suo promotore. I fautori della breccia sono i lavoratori e le masse popolari che si staccano dal sistema di potere della borghesia e sviluppano un movimento spontaneo di resistenza alla crisi.
Il tracollo elettorale del M5S non corrisponde quindi alla chiusura della breccia, ma descrive la non volontà e l’incapacità del M5S di trasformare il malcontento, l’insofferenza e la ribellione delle masse popolari nella forza organizzata necessaria a trasformare il paese.
La tornata elettorale del 20 e 21 settembre è ulteriore dimostrazione che la breccia si sta allargando e che la crisi del sistema politico delle Larghe Intese aumenta.
L’esito del referendum ne è la più netta manifestazione. Su 46.418.642 votanti, più di 21 milioni si sono astenuti (ha votato il 53,84% degli aventi diritto), oltre 17 milioni hanno votato SI e poco meno di 7,5 milioni hanno votato NO. Nonostante tutti i piagnistei sulla “morte della Costituzione” e sulla “democrazia in pericolo” a cui una martellante campagna propagandistica filo-Larghe Intese ha dato largo spazio, le ampie masse hanno dato un segnale forte e chiaro alla classe dominante del nostro Paese.
PD, Forza Italia (e Lega), che avevano voluto il referendum, escono con le ossa rotte anche da questa consultazione elettorale.
Il M5S si è intestato la vittoria referendaria riesumando uno dei suoi cavalli di battaglia anticasta, ma non è in grado di usare questo risultato per ricucire i legami con le masse che ormai non lo votano più. Ha disatteso le promesse elettorali e anche i propositi di voler riprendere i rapporti con la propria base, con le piazze e con i territori espressi da alcuni dei suoi dirigenti (quelli che sembrano incarnarne la sinistra) sono rimasti finora lettera morta: hanno prevalso gli equilibrismi che legano il M5S al governo e al PD.
L’esito delle elezioni regionali, nonostante tutti cantino vittoria o quasi (Salvini e la Lega in realtà hanno subito un’imbarazzante sconfitta, Renzi esce sconfitto e il PD dilaniato al suo interno), complica la situazione politica e il governo rimane in piedi solo perché al momento la classe dominante non dispone di possibili alternative (vedi articolo “Il punto sulla situazione politica”).
Gli insegnamenti di cui fare tesoro
Se i partiti delle Larghe Intese hanno ben poco da festeggiare, i partiti che si pongono al di fuori e contro le Larghe Intese devono con urgenza e determinazione ricavare gli insegnamenti necessari dall’esito delle elezioni che, in definitiva, vede tutti perdenti. Perde il M5S (vedi articolo “Risalire la china” a pag. 2), perdono i partiti e le liste della sinistra radicale (che hanno messo al centro la difesa dei diritti, dell’ambiente, il mutualismo, ecc.) e perdono anche i partiti e le liste legate al movimento comunista (quelle con la falce e il martello nel simbolo, per intenderci – vedi articolo “Severa ma giusta” a pag. 3). Fare un corretto bilancio del voto è per tutti condizione essenziale per uscire dal pantano in cui si trovano.
La riflessione principale attiene ai danni provocati dal cretinismo parlamentare, dall’elettoralismo e dallo scimmiottamento delle prassi del teatrino della politica borghese. Esaminiamo brevemente queste deviazioni.
Per elettoralismo, intendiamo il concepire la propria azione esclusivamente (o principalmente) in funzione delle assemblee elettive e attorno alle scadenze elettorali (campagne elettorali, tour elettorali, comizi, ecc.).
L’elettoralismo non permette di vedere il movimento politico complessivo e in particolare i sommovimenti spontanei delle masse popolari. Impedisce di vedere la crisi politica che attanaglia la borghesia e la breccia che si è aperta, di capire che la ribellione delle masse popolari al corso delle cose passa anche attraverso l’antipolitica, di comprendere che le masse popolari non sanno più cosa farsene delle forme e dei riti della democrazia borghese.
La lotta politica che le masse popolari ingaggiano si svolge ormai prevalentemente fuori dalle assemblee elettive e delle istituzioni verso cui hanno progressivamente perso fiducia.
L’elettoralismo spinge partiti e forze politiche che dichiarano di volere difendere gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari a mettersi gli uni contro gli altri per cercare di conquistare più elettori anche quando hanno programmi molto simili o uguali (è il caso del PC e PCI in Toscana oppure di PaP e la lista Terra in Campania): forze politiche anche affini perdono tempo a farsi una vicendevole guerra anziché individuare nei partiti e negli esponenti delle Larghe Intese il loro nemico principale.
Rientra nell’elettoralismo anche la tendenza opposta, cioè promuovere ampi aggregati elettorali con la speranza che dalla sommatoria di tante piccole forze scaturisca una potenza in campo elettorale.
Il cretinismo parlamentare è la concezione per cui il lavoro territoriale e il legame con le masse popolari devono essere finalizzati a ottenere uno o più eletti in Parlamento, anziché il contrario, cioè che gli eletti in Parlamento (al di là della loro appartenenza politica) devono essere messi al servizio per rafforzare l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari.
Lo scimmiottamento del teatrino della politica borghese consiste nell’accodarsi ai contenuti e alle forme che la classe dominante usa principalmente per intossicare le masse popolari: dibattiti in TV, interviste sui giornali, presenzialismo, opinionismo, ecc.
A chi vuole imparare dall’esperienza, giova ricordare come il M5S condusse la sua campagna elettorale nel 2013: rifiuto dei dibattiti televisivi (altro che lamentarsi di non avere spazio!), costante presenza nelle piazze, richiesta creativa e franca di sostegno delle masse popolari. Il M5S incarnava il “vaffanculo” ai partiti e ai politicanti borghesi che faceva valere a partire dal rifiuto del teatrino della politica borghese.
Se si analizzano i risultati dei partiti e delle liste che si sono presentati in alternativa e in antagonismo con le Larghe Intese è facile ritrovarvi tutti e tre gli aspetti su indicati. Ciò spiega i risultati, tutt’altro che positivi, che hanno ottenuto.
Il fronte contro le Larghe Intese
Nel nostro paese esiste già un insieme – oggi disgregato – di forze politiche, sindacali, sociali e associative che hanno un programma comune alternativo a quello della borghesia e del suo clero: la difesa dei posti di lavoro, dei diritti e delle tutele, la difesa dell’ambiente contro le grandi opere inutili e per le piccole opere necessarie, per la difesa e il potenziamento della sanità pubblica, della scuola pubblica, dei trasporti, per la gestione pubblica dei settori decisivi dell’economia nazionale. Fare tesoro degli insegnamenti dell’ultima tornata elettorale significa anzitutto mettersi all’opera per superare le resistenze e le difficoltà che impediscono a queste forze di unirsi e assumere appieno il ruolo di sostegno alla mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari contro il programma di lacrime e sangue delle Larghe Intese, di coordinamento e rafforzamento degli organismi operai e popolari che già ci sono e di incentivo alla loro creazione laddove essi ancora non esistono.
Rafforzare il fronte contro le Larghe Intese è l’obiettivo a cui noi del P.CARC lavoriamo e a cui chiamiamo a partecipare tutte le forze politiche comuniste, di sinistra e progressiste (PC, PCI, PRC, PaP, M5S, ecc.), i sindacati di base, i movimenti e le reti sociali. Solo la più ampia mobilitazione delle masse popolari organizzate è in grado di indebolire il sistema delle Larghe Intese e di creare le condizioni favorevoli per avanzare nell’imposizione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.
Bando alla delusione e all’attendismo, mettiamoci all’opera per costruire il futuro del Paese.