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Da quando la Costituzione è entrata in vigore, nel 1948, è stata elusa e violata nelle sue parti più progressiste e soltanto le grandi mobilitazioni operaie e popolari degli anni ‘50, ‘60 e ‘70 del secolo scorso hanno permesso che le autorità e le istituzioni – legate a doppio filo con il Vaticano, la NATO e le organizzazioni criminali come la mafia – scrivessero e attuassero quelle leggi che hanno rappresentato il più alto grado di tutele, diritti, agibilità politica e conquiste raggiunto nel nostro paese (scuola dell’obbligo, Statuto dei lavoratori, legge sull’equo canone, riforma sanitaria, ecc.).
La base materiale di quelle conquiste – e la spinta di quelle mobilitazioni – risiedeva nella forza del vecchio movimento comunista, tanto a livello nazionale (ereditata dalla vittoria della Resistenza), quanto a livello internazionale (il ruolo dei primi paesi socialisti, benché diretti dai revisionisti moderni che già avevano iniziato dagli anni ’60 a smantellare gli aspetti di socialismo fino a portarli alla dissoluzione).
Man mano che la spinta del movimento comunista si è esaurita, la borghesia imperialista è partita all’attacco e ha progressivamente smantellato diritti e conquiste, svuotando ruolo e funzione del Parlamento e delle altre istituzioni borghesi.
Oggi il dibattito sul referendum costituzionale ruota tutto attorno a un feticcio: la difesa della “democrazia” borghese e della rappresentanza parlamentare. Se è vero che la vittoria del Sì porterebbe a una minore rappresentanza (numero dei parlamentari), ciò non ha nessuna relazione con il restringimento dell’agibilità politica delle masse popolari nel Parlamento (è da decenni che le masse popolari non hanno propri rappresentati autonomi dalla borghesia, gli ultimi sono stati i fautori delle misure dei governi Prodi).
Compagni, bisogna rompere con l’elettoralismo e il cretinismo parlamentare (la concezione che l’iniziativa della classe operaia e delle masse popolari avvenga principalmente con la partecipazione alle elezioni borghesi, che il problema principale è tornare nel parlamento a qualunque costo). Questa concezione è alla base dell’attuale debolezza e frammentazione delle forze che provengono dalla disgregazione del “grande” PRC (e prima del grande PCI). Per questo diciamo che i comunisti devono promuovere la costruzione di nuove autorità e istituzioni (i Consigli di fabbrica nelle aziende, le organizzazioni popolari nei territori) conformi agli interessi delle masse popolari, che funzionino su loro mandato, che siano da esse formate, che agiscano sulla base dei loro interessi alternativi e antagonisti a quelli della classe dominante.
Stante la crisi del sistema politico (la classe dominante non riesce più a governare il paese attraverso le vecchie forme istituzioni, né a sottomettere la maggioranza delle masse popolari: la resistenza delle masse popolari alla crisi aumenta), la riduzione del numero dei parlamentari, la riduzione del loro stipendio, il ruolo del parlamento (ormai esautorato da ogni sua concreta funzione: i decreti legge dei vari governi e i DCPM dei mesi scorsi sono la prova provata) sono argomenti da illusi o da imbroglioni che servono solo per distogliere i lavoratori e le masse dall’organizzarsi per farla finita con i vari governi borghesi e costituire il governo di cui le masse popolari hanno bisogno, che possono costruire e che ogni comunista, ogni sincero democratico, ogni progressista deve spingerle a costruire, il Governo di Blocco Popolare.
Il compito che abbiamo di fronte non è difendere l’esistente, ma trasformarlo.
Al di là dello schieramento (Sì, NO, astensione) e del risultato del referendum il nostro obiettivo è condurre la campagna referendaria per rafforzare il fronte contro le Larghe Intese, il fronte di tutte le forze politiche e sindacali, delle organizzazioni sociali e culturali che si oppongono al blocco di potere che negli ultimi 40 anni ha attuato il medesimo programma (il programma comune della borghesia imperialista con lo smantellamento dei diritti e delle conquiste ottenuti dalle masse popolari con le lotte dei decenni precedenti) e che intendono realmente mettersi al servizio delle masse popolari.
Questo è l’obiettivo a cui noi del P.CARC lavoriamo, ben consapevoli che la concorrenza in campo elettorale, la speranza di ottenere eletti in parlamento o nelle assemblee elettive regionali e comunali, spinge molte di queste forze l’una contro le altre: il nostro nemico comune sono i partiti delle Larghe Intese (PD, Berlusconi, Lega, FdI, ecc.) e il loro sistema di potere. Indebolire il fronte delle Larghe Intese è la condizione favorevole per avanzare nell’imposizione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.
Perché votare Sì
I sostenitori del Sì (cioè i favorevoli al taglio del numero dei parlamentari) in genere ricamano fantasiose tesi sul risparmio per le casse dello Stato e sulla “maggiore efficienza della istituzioni” in caso di vittoria.
I sostenitori del NO affermano che il taglio del numero dei parlamentari è un attentato alla Costituzione e alla democrazia, poiché consentirebbe un maggiore accentramento di potere nelle mani di “pochi eletti”.
Entrambe le posizioni mettono al centro del dibattito e della “contesa” il funzionamento del parlamento borghese come se, effettivamente, il numero degli eletti e la loro “provenienza” incidesse realmente nei rapporti di forza fra le classi.
Il referendum è stato promosso dai partiti delle Larghe Intese (Forza Italia, PD e Lega) per liquidare il M5S come portavoce del malcontento, dell’insofferenza e indignazione delle masse popolari. Quindi il fronte del NO è diventato
– da una parte l’alleanza di quelli che vogliono, per motivi diversi, ridimensionare e condizionare il M5S, spingerlo a diventare parte integrante delle Larghe Intese e
– dall’altra parte i sinceri democratici che coltivano ancora illusioni nella democrazia borghese (la democrazia della Repubblica Pontificia, della NATO, dell’UE) e per questo nascondono la divisione della società in classi, l’oppressione e lo sfruttamento delle masse popolari e dai compagni della base rossa (PC, PCI, PRC, PaP) che fanno campagna per il NO perché sperano di ritornare in Parlamento, prendendo il posto del M5S.
L’eventuale successo del SÌ offrirà un’occasione, probabilmente l’ultima, ai militanti ed esponenti del M5S che si mobilitano per contrastare il declino del seguito popolare e risalire la china in cui il M5S è scivolato da quando, dopo il successo elettorale del 4 marzo 2018, si è piegato ai vertici della Repubblica Pontificia e ha costituito il governo con esponenti delle Larghe Intese: prima con Lega e poi con il PD. Risalire la china implica per il M5S contribuire alla mobilitazione e all’organizzazione delle masse popolari e in particolare 1. degli operai delle aziende capitaliste condannate alla chiusura, al ridimensionamento o delocalizzazione e 2. dei lavoratori delle aziende pubbliche condannate dalla liquidazione dei servizi pubblici e dalla privatizzazione del settore pubblico della produzione di merci. Implica quindi contribuire all’allargamento e al rafforzamento della rete del nuovo potere, il potere delle masse popolari organizzate. La vittoria del SÌ mostrerà agli attivisti ed esponenti dell’ala sinistra del M5S che quando si oppongono alle Larghe Intese hanno successo e risalgono la china.
Per questo noi comunisti diamo l’indicazione di votare SÌ al referendum.
Anche l’eventuale successo del NO indebolirà il ruolo di “foglia di fico” con cui la Repubblica Pontificia copre le sue vergogne e il suo regime. Esso segnerà la fine del governo Conte II assoggettato al PD, all’UE, alla BCE, alla NATO e la sua sostituzione con un governo apertamente delle Larghe Intese.
Per questo sosteniamo che qualunque sia l’esito del referendum, esso aggraverà la crisi del sistema politico della borghesia imperialista, cioè la crisi del sistema delle Larghe Intese e creerà condizioni ancora più favorevoli al successo della nostra lotta per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.
Infatti il futuro non è nelle alchimie parlamentari (come ci hanno insegnato le lotte operaie degli anni ’70) ma è di chi lotta contro la Repubblica Pontificia, contro la NATO, contro l’Unione Europea, contro la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, USA e sionisti, contro il sistema del Debito Pubblico, per l’allargamento e il rafforzamento della rete dei centri locali del potere delle masse popolari organizzate, che da subito fanno applicare e applicano direttamente ovunque ne hanno già la forza le misure favorevoli alle masse popolari, per la costituzione del Governo di Blocco Popolare.
Il P.CARC chiama i lavoratori avanzati a votare Sì al referendum del 20 e 21 settembre per approfittare della crisi del sistema politico della classe dominante del nostro paese e avanzare nella costruzione del governo di emergenza delle masse popolari organizzate, strumento per rafforzare il nuovo potere.
Vogliamo costruire, stiamo costruendo, Consigli di fabbrica, di azienda, di scuola e di quartiere che individuano i principali problemi che affliggono le masse popolari e che si organizzano e si mobilitano per affrontarli e risolverli nell’interesse delle masse popolari tutte. Chiamiamo tali Consigli “il coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari”, ma il contenuto e la funzione sono gli stessi di quei Consigli che in Russia furono chiamati Soviet e su cui si basava la società socialista. Operiamo affinché tutto il potere sia preso nelle mani dei Consigli: chiamiamo questo sistema di potere che vogliamo costruire e che stiamo costruendo “nuovo potere”. Esso contende il ruolo di direzione della società alla classe dominante man mano che noi comunisti siamo capaci di rafforzarlo e farlo crescere, attingendo dalla resistenza spontanea contro gli effetti della crisi.