Il 31 gennaio 2020 il governo ha segretamente dichiarato lo stato di emergenza sanitaria nazionale a causa della pandemia da Coronavirus, ma non ha adottato alcuna misura concreta fino al 9 marzo – quando ha imposto il lockdown su tutto il territorio nazionale – benché i focolai fossero ancora fino a quel momento circoscritti. Anzi, pur alimentando una martellante propaganda terroristica, nei fatti ha assecondato chi negava il problema, a partire da Confindustria che anche dopo il 9 marzo ha fatto carte false per continuare la produzione industriale di merci e la loro circolazione.
Ha lasciato mano libera alla cricca di speculatori a capo delle Regioni (il caso emblematico è la Regione Lombardia con Fontana e Gallera) che sono diretti responsabili di una strage senza precedenti in “tempo di pace”.
Le settimane di lockdown sono state caratterizzate dalla persecuzione della popolazione e dalla repressione (multe, caccia all’untore, ecc.) contro chi per vari motivi non poteva o non voleva sottostare a un regime sanitario-poliziesco, mentre la maggioranza delle grandi aziende del paese erano aperte: come se il contagio fosse scontato in ogni posto, tranne che nei reparti delle aziende.
A maggio i contagi sono diminuiti, gli ospedali si sono svuotati, le misure di distanziamento fisico e sociale sono state allentate e, nonostante “il conto” delle vittime fosse tremendo (i dati ufficiali sono ancora fumosi e al ribasso), che fosse del tutto evidente che la sanità è un colabrodo e l’emergenza fosse tutt’altro che passata, anziché dare seguito alle mille promesse di “aver imparato la lezione”, autorità e istituzioni sono diventate strumento per le varie fazioni della classe dominante nella lotta per la gestione delle decine di miliardi stanziate dal governo e per la spartizione dei 230 miliardi che, nel frattempo, la UE ha promesso come sovvenzioni e prestiti all’Italia. Arriviamo a oggi, con la ripresa su ampia scala della propaganda terroristica sui contagi dopo la “parentesi estiva”, alla vigilia di mesi in cui gli effetti della pandemia in campo sanitario, economico, sociale e politico si mostreranno in tutta la loro gravità.
A 8 mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria nazionale, il governo non ha preso nessuna misura efficace per garantire la ripresa delle scuole e delle università in sicurezza (edifici, aule, assunzione di insegnanti), per rafforzare il sistema sanitario nazionale (strutture territoriali, assistenza domiciliare, ecc.), per garantire i posti di lavoro (fare le migliaia di opere che servono per impiegare disoccupati, cassaintegrati). Anzi, persegue la via del finanziamento pubblico della sanità privata (convenzioni, rimborsi, ecc.) e lo smantellamento della sanità pubblica (licenziamento degli infermieri e degli operatori assunti durante il picco dell’emergenza, ecc.); premia con finanziamenti pubblici a fondo perduto i grandi gruppi industriali (FCA degli Agnelli-Elkann, Autostrade dei Benetton, ecc.), non fa nulla per il commissariamento delle Regioni per liberarle delle cricche di potere economico e speculativo (il caso della Lombardia è il più emblematico), persevera nel dare la responsabilità della propria incapacità alle masse popolari con la ripresa della caccia all’untore (gli immigrati, i turisti, gli “irresponsabili”, ecc.).
In alcune aziende e settori la situazione è come sospesa, oltre che per i sussidi erogati a vario titolo nei mesi scorsi, anche per il blocco dei licenziamenti che il governo Conte 2 ha prorogato fino a metà novembre, però i lavoratori precari (con varie tipologie di contratti a termine) vengono lasciati a casa; i dirigenti della Whirlpool hanno ribadito che chiuderanno lo stabilimento di Napoli, i portavoce degli Agnelli-Elkann hanno avvertito i padroni delle aziende che forniscono componenti per le 600 mila auto che FCA (ex FIAT) produce ancora in Italia che nel giro di pochi mesi FCA non acquisterà più i loro prodotti (si tratta di aziende dove attualmente lavorano circa 60.000 operai. Oltre alla Fiat500 e alla Lancia Ypsilon anche la nuova Punto, annuncia FCA, sarà prodotta in Polonia. CNHi, sempre del gruppo Agnelli – Elkann, annuncia la chiusura dello stabilimento di Modena fino a fine ottobre), i capitalisti stanno approfittando della situazione per dare un ulteriore giro di vite all’eliminazione di diritti e conquiste (vedi Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, con il CCNL), alcuni mettono in cassa integrazione i lavoratori assunti a tempo indeterminato e fanno lavorare quelli con contratto precario (così ci guadagnano due volte); altri prolungano la morte lenta delle aziende per accaparrarsi i soldi degli aiuti statali e UE; altri ancora useranno gli effetti economici della pandemia come motivazione per portare a conclusione progetti di chiusura e delocalizzazione.
Il settore della siderurgia, degli autoveicoli e componenti, degli elettrodomestici, del trasporto, della sanità sono casi esemplari, ma in decine, centinaia e migliaia di aziende oggi si ripete questa situazione anche se in ognuna con forme e parole diverse. La situazione dei lavoratori precari (che sono gran parte dei lavoratori di settori come la cultura, il turismo, ecc.) e dei lavoratori autonomi (partite IVA, artigiani, ecc.) è “esplosiva”: sono con l’acqua alla gola e la disoccupazione è destinata a salire (alcuni prevedono un milione di nuovi disoccupati).
La riapertura delle scuole è un’incognita per milioni di persone tra insegnanti e personale ausiliario, studenti, famiglie.
In campo finanziario, la gestione della pandemia lascia allo Stato un deficit primario di bilancio (escluse cioè dalle uscite le spese per il servizio del Debito Pubblico in interessi e negoziazione del rinnovo delle rate in scadenza e dalle entrate i proventi dei nuovi prestiti) che a fine 2020 ammonterà a una cifra compresa tra 200 e 400 miliardi di euro che risulterà:
– da maggiori uscite (rispetto agli 810 miliardi del 2019) per redditi a proletari privati di salario e a lavoratori autonomi di imprese chiuse e per contributi alle imprese capitaliste;
– da minori entrate (rispetto agli 840 miliardi del 2019) per imposte abolite o rinviate o attinenti ad attività produttive cessate o interrotte: le previsioni di riduzione del PIL 2020 rispetto al PIL 2019 (1.787 miliardi) vanno dal 6 al 15% con corrispondenti ripercussioni sulle entrate per imposte.
Detto in altri termini lo Stato italiano, che a fine 2019 era titolare di un debito di circa 2.300 miliardi di €, a fine 2020 si ritroverà titolare di un debito di circa 2.700 miliardi se non di più e, Recovery fund, Sure, MES o come altro lo chiamino, i soldi lo Stato italiano dovrà restituirli se non rompe con la Comunità Internazionale e l’UE “che non pone condizioni” verrà in Italia a dettare cosa il governo italiano deve fare, come e peggio che in Grecia.
In questo contesto, fissiamo in questo articolo 4 concetti utili tanto a contrastare idee (tesi) sbagliate che indeboliscono il ruolo e l’azione degli organismi operai e popolari quanto ai fini dello sviluppo della lotta di classe in corso.
1 L’emergenza sanitaria esiste. La classe dominante fa uno specifico lavoro di intossicazione dell’opinione pubblica per rendere incomprensibile la situazione alle masse popolari. Contribuiscono a ciò le “dispute fra esperti”, la propaganda di Confindustria (i padroni vogliono che le fabbriche vadano a pieno regime), la schizofrenia della destra reazionaria (per esempio Salvini, che in cerca di popolarità cambia posizione ogni giorno), il paternalismo dei partiti di governo, il ribellismo di qualche improvvisato arruffapopolo (dal Generale Pappalardo ai negazionisti di vario genere e tipo come Briatore), la cieca sottomissione ai dettami delle autorità di chi aspetta e spera che l’emergenza passi da sola, ecc. Tutta questa confusione serve a intorbidire le acque e dalle acque torbide emergono tesi sballate, dannose per la lotta di classe. Fra quelle esistenti, ci soffermiamo su una, quella per cui la pandemia sia una manovra pianificata dalla classe dominante. È indubbio che la classe dominante approfitti dell’emergenza per continuare – e, anzi, accelerare – lo smantellamento delle tutele, dei diritti e delle conquiste che le masse popolari avevano ottenuto nei decenni passati, quando il movimento comunista era forte (processo iniziato ben prima della pandemia), ma è del tutto campata per aria la pretesa che la pandemia sia stata “imposta a tavolino”. Ciò presuppone un accordo fra le varie fazioni della classe dominante che non esiste e non può esistere, poiché per la natura stessa del capitalismo ogni fazione è in concorrenza con le altre a livello nazionale e a livello globale. È vero che ha accelerato il processo con cui la borghesia imperialista cerca di smantellare le tutele, i diritti e le conquiste delle masse popolari, ma la pandemia ha accelerato anche i contrasti fra le diverse fazioni della classe dominante, ha reso più precario il suo sistema di potere: la classe dominante non è un monolite e non può “gestire” unitariamente l’emergenza. L’emergenza è il contesto in cui ogni fazione cerca di prevalere sulle altre per garantire ed estendere la propria rete di affari, di influenza, di capacità di fare profitto a discapito delle altre.
L’emergenza sanitaria non è una “macchinazione del potere”, si innesta nel contesto della seconda crisi generale del capitalismo, aggravandone gli effetti e facendo precipitare più velocemente una situazione di declino generale della società che comunque era già in corso.
Chi non vede questo aspetto, chi lo nega, chi “vuole tornare come prima” afferma, al di là delle parole e delle argomentazioni che usa, che prima della pandemia la società fosse rosea, che la crisi non esistesse, che i problemi non ci fossero o che fossero risolvibili con una serie di riforme. Ecco, la pandemia fa franare questa montagna di illusioni e sciocchezze e mette in evidenza tutta la debolezza della borghesia imperialista, una classe dominante ormai incapace anche di garantire alla popolazione le basilari funzioni della società per i circoscritti interessi di un pugno di parassiti.
2 Gli effetti disastrosi della pandemia dipendono dal capitalismo. L’emergenza sanitaria coinvolge il mondo intero. Gli effetti più disastrosi (numero dei contagi e vittime) sono concentrati nei paesi capitalisti e nei paesi oppressi dagli imperialisti. Nei paesi socialisti, compresa la Cina che la propaganda borghese indica come “il principale focolaio”, la pandemia è stata circoscritta nel giro di qualche mese e, come nel caso di Cuba, del Venezuela e del Vietnam (nonostante l’inferiore strumentazione, per quantità e qualità che hanno questi tre paesi rispetto ai paesi imperialisti), l’emergenza sanitaria è sostanzialmente “sotto controllo” (vedi articolo a pag. 1). Questa è la dimostrazione che le centinaia di migliaia di vittime del Covid-19 avrebbero potuto essere evitate se le autorità avessero messo al centro la tutela della salute della popolazione. Invece, proprio in quei paesi i cui governi hanno fatto di tutto per “continuare come se nulla fosse”, il numero di morti è eccezionalmente alto, come negli USA e in Brasile. La pandemia esiste, ma i suoi effetti distruttivi dipendono interamente dalla classe dominante e dal suo sistema di gestione della società, non dalla “irresponsabilità delle masse popolari”, né dalla pericolosità del virus. Non è secondario, ai fini del ragionamento, che complessivamente i malati e i morti siano esclusivamente membri delle masse popolari: non c’è un magnate del petrolio, un amministratore delegato di una multinazionale, un dirigente di un cartello industriale, un capobastone della speculazione finanziaria (e nessun loro familiare) che sia morto per Covid-19.
3 Non siamo tutti sulla stessa barca. La pandemia non colpisce allo stesso modo i ricchi e i poveri. L’unica preoccupazione che hanno i ricchi è continuare a fare profitti: loro non hanno problemi di contagio, di reparti di terapia intensiva pieni, di cure adeguate, di distanziamento sociale, di fila per reperire dispositivi di sicurezza o generi di prima necessità, di chiusura delle scuole. Anzi, usano questi problemi come fonte di speculazione e affarismo.
I ricchi non hanno problemi di sopravvivenza, né di peggioramento delle condizioni di vita, né di eliminazione di diritti: il denaro assicura loro un tenore di vita alto e stabile. Per loro il problema è trovare il modo per continuare a valorizzare il capitale e come mantenere l’attuale sistema di potere.
Per le masse popolari la pandemia è un flagello, non solo perché ne sono le vittime sacrificali (contagiati, malati, morti), non solo perché subiscono direttamente tutte le restrizioni e le privazioni, ma anche perché sono l’oggetto delle speculazioni a cui i ricchi fanno ricorso per continuare a fare profitto nonostante la – e grazie alla – pandemia.
Tanto la gestione dell’emergenza quanto la sua soluzione si riassumono nello scontro fra borghesia imperialista e masse popolari: sono due strade opposte e inconciliabili, o si afferma una o si afferma l’altra. Chi sostiene che esista un “destino comune” è un bugiardo, un ingenuo o un imbroglione.
4 Solo le masse popolari organizzate hanno preso misure efficaci e positive. Il futuro è nelle loro mani.
Chi si libera dalla narrazione tossica sugli “irresponsabili”, sugli “untori” su “quelli che se lo meritano” e “hanno la responsabilità di un nuovo eventuale lockdown” si rende conto che le uniche misure a tutela della salute pubblica sono state adottate e imposte dalle masse popolari organizzate.
Sono gli operai delle grandi aziende che hanno imposto le chiusure e la sospensione della produzione con gli scioperi spontanei di marzo (anche se poi i sindacati confederali, in combutta con governo e Confindustria, hanno fatto di tutto per farle riaprire). Sono i giovani dei centri sociali, delle associazioni di base, degli organismi territoriali che hanno dato vita alle brigate di solidarietà che hanno impedito che centinaia di migliaia di persone rimanessero completamente isolate e abbandonate dalle istituzioni. Sono gli infermieri che, mentre svolgevano turni massacranti e ricoprivano ruoli che andavano oltre le proprie responsabilità professionali per salvare vite, hanno imposto che negli ospedali, nelle RSA e nelle cliniche venissero adottate misure di sicurezza per loro e per i pazienti. Sono i corrieri che hanno garantito, spesso mettendo a repentaglio la propria incolumità, che milioni di persone ricevessero a casa quanto necessario per affrontare l’emergenza. Sono i commercianti e i bottegai che hanno messo a disposizione generi di prima necessità per chi non aveva i soldi per comprare neppure un chilo di pasta. Quanto c’è stato di positivo, di efficace, di efficiente nelle lunghe settimane di lockdown è stato frutto della mobilitazione delle masse popolari, del coordinamento – spesso casuale, spontaneo – fra operai e lavoratori, commercianti e professionisti uniti – loro sì – nel “mettere una toppa” laddove autorità e istituzioni, invece, mostravano tutta la loro sottomissione agli interessi della borghesia imperialista.
Il compito che abbiamo di fronte è sostenere e rafforzare le organizzazioni operaie e popolari, affinché dal “mettere una toppa” agli effetti della sottomissione delle autorità e istituzioni borghesi agli interessi della borghesia imperialista imparino a diventare esse stesse nuove autorità pubbliche, formino una rete di nuovo potere via via più stabile, solida, ampia e capillare, fino a imporre un loro governo di emergenza, il Governo di Blocco Popolare.
Noi siamo per rovesciare l’esistente. La società che stiamo costruendo esiste già sotto la cappa di oppressione del capitalismo. Vogliamo costruire, stiamo costruendo, consigli di fabbrica, di azienda, di scuola e di quartiere che individuano i principali problemi che affliggono le masse popolari e che si organizzano e si mobilitano per affrontarli e risolverli nell’interesse delle masse popolari tutte. Chiamiamo tali Consigli “il coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari”, ma il contenuto e la funzione sono gli stessi di quei Consigli che in Russia furono chiamati Soviet e su cui si basava la società socialista. Operiamo affinché tutto il potere sia preso nelle mani dei Consigli: chiamiamo questo sistema di potere che vogliamo costruire e che stiamo costruendo “nuovo potere”. Esso contende il ruolo di direzione della società alla classe dominante man mano che noi comunisti siamo capaci di rafforzarlo e farlo crescere, attingendo dalla resistenza spontanea contro gli effetti della crisi.
Tutto quello che incrina il vecchio potere, tutto quello che mette in discussione autorevolezza e autorità dell’attuale classe dominante e che potenzialmente rafforza il nuovo potere è per noi positivo, lo incoraggiamo, lo sosteniamo e lo promuoviamo. In definitiva, mille crepe che sgretolano il vecchio potere, da sole non sono sufficienti a costruire il nuovo potere. Esso si rafforza solo e soltanto attraverso il legame fra la Carovana del (nuovo)PCI e le organizzazioni operaie e popolari. Per questo motivo, assumiamo come compito principale il rafforzamento politico, organizzativo e pratico degli organismi operai e popolari esistenti, promuoviamo il loro coordinamento, promuoviamo la nascita di nuovi organismi operai e popolari in aziende, scuole, quartieri, città e territori dove ancora non sono presenti, affinché diventino la forza concreta che impone un governo di emergenza delle masse popolari organizzate e fa avanzare la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Educare gli organismi operai e popolari a non avere alcuna fiducia nella democrazia borghese, nei suoi istituti, nella “rappresentanza”, nel sistema politico della classe dominante è obiettivo secondario, ma complementare, rispetto a costruire il legame con il movimento comunista cosciente e organizzato e all’educarli ad avere fiducia e imparare a usare la propria forza e le proprie capacità di dirigere il resto delle masse popolari.