Sommovimenti nel campo del sovranismo di sinistra – Sul seminario estivo di M-48 e Liberiamo l’italia

Il 21 e 22 agosto si è svolto ad Assisi il seminario organizzato da M-48 e Liberiamo l’Italia: il primo un movimento politico giovanile di ispirazione patriottico-socialista e il secondo un importante aggregato del “sovranismo di sinistra”. Con entrambi il P.CARC coltiva rapporti di fraterna collaborazione, dibattito e iniziativa comune; pertanto, la partecipazione attiva di un gruppo di compagni del P.CARC al seminario rientrava in questo contesto. La manifestazione è stata particolarmente stimolante per tre motivi:

– per il livello di dibattito che si è sviluppato in ogni sessione dei seminari, grazie alla variegata partecipazione (circa 30 persone afferenti a diverse organizzazioni: Giovani Sovranisti Umbri, il Partito dell’Italexit di Paragone in costruzione e il Partito Comunista, oltre a P.CARC e agli organizzatori) e alla reale volontà di confrontarsi su concezioni e prospettive sulla parola d’ordine dell’uscita dalla UE, della sovranità nazionale e del “no al neoliberismo”;

– per la significativa partecipazione, attiva e propositiva, di giovani delle masse popolari tanto durante i momenti di discussione previsti quanto durante la vita collettiva in campeggio;

– per come e quanto, in particolare gli organizzatori, hanno saputo riversare nel dibattito l’esperienza pratica delle mobilitazioni che hanno promosso durante le settimane di lockdown. Questo ha permesso che i ragionamenti mantenessero una coerenza con la realtà concreta e ne fossero arricchiti; Liberiamo l’Italia ha conferito sull’esperienza delle manifestazioni sotto i Comuni con le quali ha alimentato la mobilitazione delle masse popolari contro la gestione dell’emergenza da parte di governo e istituzioni, M-48 ha conferito sull’esperienza della ricca mobilitazione in difesa della scuola pubblica, per la nazionalizzazione di Autostrade (per cui sono stati anche multati per l’affissione di uno striscione contro i Benetton e a cui abbiamo manifestato solidarietà con un comunicato), la mobilitazione durante la Settimana Rossa (25 aprile e Primo Maggio).

Per motivi di spazio, non entriamo qui nel merito dei temi emersi dai seminari e dal dibattito, ma ci concentriamo su un aspetto che, seppure non emerso chiaramente nelle discussioni pubbliche, ha influenzato tutta la manifestazione:
quali prospettive immediate per il movimento “sovranista di sinistra”?

La domanda è di stretta attualità alla luce del fatto che nei mesi scorsi ha iniziato a muovere i primi passi il partito dell’Italexit guidato da Gianluigi Paragone. Il “dilemma” è se una prospettiva per i patrioti – socialisti sia quella di confluirvi (e come) in nome della lotta per l’uscita dalla UE, usando la visibilità di Paragone e la partecipazione alla politica borghese (elezioni) per rafforzare la tendenza di sinistra in un movimento per sua natura “trasversale” (il “sovranismo” è cavalcato strumentalmente anche dalla destra reazionaria – vedi Lega e scimmiottatori del fascismo mussoliniano) oppure no.
Trattiamo la questione perché, al di là della specifica circostanza (Italexit sì o no, Paragone sì o no), i ragionamenti che ci spingono a una conclusione sono validi anche a livello più generale.

Inquadriamo il discorso attraverso tre criteri, in modo da dividere e contrapporre la linea avanzata (quella “di sinistra”, espressione della tendenza positiva alla mobilitazione e organizzazione delle masse popolari, influenzata dalla concezione comunista del mondo) e quella arretrata (che discende dalla concezione borghese del mondo).

Un primo elemento di orientamento attiene alla relazione fra individuo e organismi. Benché ogni movimento delle masse popolari abbia bisogno di portavoce autorevoli, ai fini dello sviluppo del movimento l’aspetto principale non è il portavoce e la sua autorevolezza, ma il lavoro sugli organismi di base che compongono il movimento. Un portavoce riconosciuto e autorevole aiuta certo a “bucare lo schermo”, ma in definitiva l’aspetto decisivo è il lavoro degli organismi sui territori, nelle aziende, nelle scuole. Pertanto, analogamente al ragionamento che facciamo riguardo alla campagna elettorale, il discorso si riassume nella valutazione di ciò che il singolo personaggio è disposto a fare concretamente per far crescere e sviluppare gli organismi del movimento di cui è rappresentante, sviluppare il loro radicamento e farsi attuatore delle loro proposte. Se il personaggio “non è disposto” e si limita a fare l’opinionista, il movimento inevitabilmente naufragherà – poiché rimane appunto un movimento “di opinione” – con ricadute negative anche sugli organismi che lo animano.

Un secondo criterio di orientamento, legato al primo, attiene al fatto che le capacità e le caratteristiche morali (vere o presunte) di un singolo personaggio, per quanto autorevole e riconosciuto, sono sempre secondarie rispetto agli interessi di classe che il movimento di cui è portavoce persegue. Un esempio celebre del discorso riguarda Enrico Berlinguer. Moltissimi lavoratori ed elementi delle masse popolari ancora lo rimpiangono perché “era una brava persona” (questa è la sintesi propagandistica che ne fa la borghesia, che ha avuto campo libero a causa della debolezza della sinistra del movimento comunista), ponendo del tutto in secondo piano il ruolo nefasto che ha avuto per il movimento comunista! Paragone, in questo caso, può essere il più fedele promotore dell’uscita dalla UE, ma se l’uscita dalla UE non è legata all’instaurazione del socialismo in Italia (vedi articolo “Serve uno sbocco!” a pag. 8), che ne sia autentico promotore o meno è secondario, poiché quella prospettiva è aria fritta o, peggio, una sponda agli imperialisti USA.

Il terzo criterio è che, stante la situazione in cui siamo immersi (vedi editoriale), bisogna valutare ogni scelta tattica non in ragione di ciò che “è meglio” o “è meno peggio”, ma ai fini dell’avanzamento della rivoluzione socialista in Italia. Uscire dalla UE senza instaurare la dittatura del proletariato, trasformare in aziende pubbliche le aziende che oggi sono capitaliste e senza promuovere la più ampia partecipazione delle masse popolari alla vita politica e sociale è un obiettivo che rientra a pieno titolo nelle “riforme”. Ma la crisi del capitalismo non permette “riforme”: impone ai comunisti di mettersi alla testa della rivoluzione socialista!
A scanso di equivoci, la conclusione di questo ragionamento non è “mandate Paragone e Italexit a quel paese!”.

A quanti nel movimento sovranista di sinistra sono più legati al movimento comunista diciamo di ragionare oltre gli schieramenti contingenti, di porsi nell’ottica e di agire per valorizzare quanto va nella direzione della rivoluzione socialista (indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che ne hanno i promotori), sia che venga dal campo dei sostenitori della confluenza in Italexit, sia che venga dal campo di chi rifiuta questa strada. La contrapposizione fra queste due “anime” è la trasposizione nel particolare della contraddizione fra chi, nel vecchio movimento comunista, promuoveva la via parlamentare al socialismo e chi la linea economicista (“lotta, lotta, lotta”), ma la sintesi è che entrambe le strade erano sbagliate! La questione centrale è la costruzione del potere delle masse popolari organizzate, a partire dalla lotta per la nazionalizzazione delle principali aziende del Paese, la difesa e l’estensione della sanità e dell’istruzione pubblica.

Lavoratori autonomi e lotta per il socialismo
I lavoratori autonomi dipendono dal capitalista, ma hanno con il capitalista e con il suo Stato una relazione formale (contrattuale e legislativa) sostanzialmente diversa da quella che hanno gli operai e i dipendenti pubblici. Quando gli affari gli vanno bene, il lavoratore autonomo spesso guarda con commiserazione e perfino disprezzo il lavoratore dipendente che si accontenta del prezzo che il capitalista o la Pubblica Amministrazione gli pagano per la sua prestazione. Quando gli affari gli vanno male, il lavoratore autonomo spesso considera i lavoratori dipendenti dei privilegiati se non anche dei parassiti, perché “comunque” hanno un reddito “garantito” (finché non sono licenziati o ridotti a dipendere da ammortizzatori sociali). Nella Repubblica Pontificia i lavoratori autonomi sono stati terreno di pascolo e riserva della DC e dei partiti di governo e la borghesia e il clero hanno coltivato tra loro tutti gli opposti pregiudizi. (…)
La crisi sanitaria prodotta dall’epidemia da Coronavirus di questi mesi ha già sconvolto interi settori economici (turismo, ristorazione, artigianato, ecc.) e ha creato condizioni precarie e un futuro incerto per milioni di lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e per le loro famiglie. Quindi il malcontento e la ribellione si estenderanno tra le loro file. I promotori della mobilitazione reazionaria e delle prove di fascismo possono certamente avvalersi e si avvarranno dei pregiudizi individualistici, antiimmigrati, particolaristi, campanilistici e antiproletari (contro gli operai e contro i dipendenti pubblici) che la Repubblica Pontificia ha alimentato tra i lavoratori autonomi. Essi cercano e cercheranno di prendere tra i lavoratori autonomi il posto che fu della DC, come già a loro modo lo hanno fatto la Lega e la banda Berlusconi. Ma la realtà dei fatti e l’esperienza pratica contrappongono sempre più apertamente i lavoratori autonomi al capitale finanziario (che distrugge l’economia reale capitalista ai cui margini essi vivevano, che non è in grado di assicurare un corso ordinario degli affari) e al suo Stato (che li soffoca con imposte e tariffe e restringe da mille lati i margini della loro attività, che non è in grado in questa fase di assicurare neanche condizioni minime di vita).
Chi confonde il processo che oggi vivono nel nostro paese e negli altri paesi imperialisti i lavoratori autonomi e in generale le classi popolari non proletarie, con quelle della piccola borghesia dell’epoca in cui la società borghese era ancora in formazione e in ascesa, è completamente fuori strada e “vive sulla luna”. Legge libri e si nutre di letteratura, invece che guardarsi attorno e studiare le relazioni produttive e le altre relazioni sociali in cui è immerso. Non vede che il malcontento, le proteste e le rivolte delle masse popolari non proletarie crescono e che spetta ai comunisti incanalarle nella costruzione del socialismo.
Da “I comunisti e il campo delle masse popolari, la mobilitazione reazionaria e la rivoluzione socialista” – La Voce del (nuovo)PCI n. 65

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