L’emergenza Covid nei paesi socialisti

La dimostrazione pratica della superiorità del socialismo e la sua necessità sta nei risultati ottenuti nella gestione della pandemia da parte dei paesi che ancora mantengono parte delle conquiste e dei progressi realizzati dai primi paesi socialisti.

Al di là delle falsità messe in giro dalla propaganda di regime, la cui diffusione è ampiamente favorita dalla debolezza del movimento comunista (dai dati falsi che il governo cinese avrebbe diffuso sui contagi alle “politiche autoritarie” messe in campo per controllare il rispetto delle norme anti–contagio…), questi paesi, numeri alla mano, hanno subito gli effetti della pandemia in misura molto inferiore rispetto ai paesi imperialisti o a quelli succubi del sistema imperialista mondiale. Basti pensare che mentre i primi hanno fatto registrare 6,1 contagiati e 0,3 decessi ogni 100mila abitanti, i paesi imperialisti occidentali hanno fatto registrare 603,7 contagiati e 41,3 decessi ogni 100mila abitanti (dati tratti dall’articolo “La pandemia e i primi paesi socialisti” pubblicato su La Voce del (nuovo)PCI n. 65)

Certo, la Repubblica Popolare Cinese, il Vietnam, Cuba, la Repubblica Popolare Democratica di Corea non stanno compiendo passi in avanti nella transizione al comunismo ma, al contrario, stanno vivendo una fase di restaurazione graduale e pacifica del capitalismo in cui a causa della direzione della società da parte della borghesia interna al Partito Comunista, allo Stato, alle organizzazioni di massa, i germi di comunismo vengono soffocati, si lascia spazio ai rapporti capitalisti ancora esistenti e si richiamano in vita quelli scomparsi, promuovendo una parziale privatizzazione dell’economia e in una certa misura anche del sistema sanitario (ad esempio le riforme sanitarie avvenute in Cina).

Tuttavia, tanto questi paesi quanto gli altri che in qualche modo prendono esempio da essi (Venezuela e Nicaragua su tutti) sono riusciti a contrastare efficacemente la pandemia, mettendo il benessere delle masse popolari al di sopra di ogni cosa e svolgendo un ruolo di primo piano (in particolare Cuba, Cina e Venezuela) nella lotta contro la pandemia a livello mondiale.
Questi risultati sono stati possibili in virtù di quattro caratteristiche che sintetizzano quanto ancora rimane delle conquiste raggiunte nella fase di sviluppo del socialismo, ovvero:

 – l’unità di indirizzo che caratterizza il rapporto tra lo stato, le autorità, le istituzioni e le masse popolari;

 – la rete capillare delle organizzazioni del Partito Comunista e delle organizzazioni di massa, che ha permesso un’ampia mobilitazione delle masse popolari per far fronte all’emergenza;

 – la direzione pubblica di gran parte delle attività economiche;

 – un sistema sanitario volto effettivamente a tutelare la salute della popolazione e non a concepire come merci le prestazioni sanitarie.

Riportiamo due esempi di come i paesi con caratteristiche socialiste hanno affrontato la pandemia: quello della Repubblica Popolare Cinese e quello di Cuba. Si tratta di esempi che bisogna far conoscere su larga scala alle masse popolari per contrastare non solo le campagne di disinformazione promosse dalla borghesia, ma soprattutto la sfiducia che serpeggia tra le masse popolari a seguito dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale.

 

L’esempio della Repubblica Popolare Cinese
La strategia adottata dalla Repubblica Popolare Cinese per fronteggiare la pandemia può essere sintetizzata in tre aspetti.

Anzitutto, l’enorme mobilitazione di energie e di risorse umane e materiali a sostegno della provincia dello Hubei e in particolare della città di Wuhan, epicentro della diffusione del virus. Decine di migliaia di tonnellate di generi alimentari, farmaci, materiale sanitario, ecc. insieme a migliaia di unità di personale medico sono state spostate nella zona da tutto il resto del paese facendo si che, a fronte della limitazione delle libertà personali, le masse popolari venissero messe in condizione di affrontare il periodo di lockdown senza che mancassero beni e servizi di prima necessità (tutto questo mentre in Italia dovevano provvedere spontaneamente le Brigate di Solidarietà). La mobilitazione di risorse e di personale, inoltre, ha riguardato anche le zone del mondo più colpite dal virus, compreso il nostro paese cui il governo cinese ha inviato medici, respiratori polmonari, mascherine mentre i nostri “alleati” UE e USA bloccavano gli aiuti.

Un altro aspetto fondamentale è stata l’ampia mobilitazione delle masse popolari sotto la direzione del Partito Comunista. Tutta la rete di organizzazioni di massa ereditata dal socialismo, presente in ogni unità produttiva e ramificata a livello di quartiere, città, provincia è stata infatti messa in campo per far fronte all’epidemia, mostrando la sua efficacia nel responsabilizzare le masse popolari e nel coordinarle con le autorità dello Stato. In questo senso, ha funzionato anche la rete di controllo, implementata tramite strumenti informatici di cui il governo ha imposto l’utilizzo.

Infine, l’altro aspetto determinante della strategia cinese è consistito nella forza e nell’efficacia del sistema sanitario.

Se è vero, come è vero, che le riforme avviate dai revisionisti moderni di Deng Xiaoping dal ‘78 in avanti hanno spinto verso una parziale privatizzazione del sistema sanitario cinese, è vero anche che il carattere ancora prevalentemente socialista dell’economia ha fatto si che la reazione alle epidemie (a quella da Covid – 19 come a quella da SARS o da MERS negli anni passati) comportasse un forte ampliamento dell’accesso pubblico e gratuito di tutti i cittadini alle prestazioni sanitarie.

 

L’esempio di Cuba
Due dati su tutti dimostrano l’efficienza del sistema sanitario cubano e la differenza con i paesi imperialisti nella risposta alla pandemia: anzitutto, facendo il raffronto con un paese come il Belgio che ha un numero di abitanti quasi pari a quello di Cuba (11,34 milioni contro gli 11,43 milioni del Belgio), vediamo che a fronte dei 3973 casi accertati a Cuba, di cui 3327 guariti e 94 morti (è di queste ore la notizia di un’escalation di contagi che ha spinto le autorità cubane a stabilire dal 1° settembre, e almeno per i successivi quindici giorni, il coprifuoco dalle 19:00 alle 5:00 per la città de L’Avana), il Belgio ha avuto 85402 casi di cui 17,781 guariti e 9894 morti (dati del 31.08.20, fonte OMS).
Inoltre, dal 2005 Cuba è leader mondiale nel rapporto tra medici e popolazione (9 medici ogni 1000 abitanti contro i 9 ogni 10000 abitanti dell’Italia) con una diffusione dei presidi ospedalieri che copre in maniera capillare tutto il territorio nazionale fino ai più piccoli centri.

Anche nel caso di Cuba la mobilitazione delle masse popolari, la loro organizzazione e la loro unità con le strutture dello Stato ha fatto la differenza. Alle rigide misure approntate per contenere i contagi (chiusura delle frontiere, soppressione dei trasporti pubblici, chiusura di bar, ristoranti e locali notturni, ampio dispiegamento delle forze di polizia per garantire il rispetto delle regole e non per reprimere a manganellate operai, disoccupati, studenti come accaduto in Italia, negli USA e nel resto dei paesi imperialisti) è corrisposta un’ampia informazione e responsabilizzazione delle masse popolari e una pronta risposta del sistema sanitario, dalla rete dei medici fino agli studenti di medicina inviati casa per casa per informare le persone sui sintomi del Covid, sulle misure di prevenzione, per misurare costantemente la temperatura, ecc.

Inoltre, nonostante il blocco economico-commerciale e finanziario che va avanti dal ‘61, Cuba è riuscita non solo ad assicurare a tutti l’approvvigionamento di beni di prima necessità ma anche ad autoprodurre ciò che non era possibile importare: respiratori polmonari, farmaci (come l’interferone alfa 2b, esportato anche in Cina e coprodotto con l’industria farmaceutica locale sotto il controllo delle autorità statali), mascherine, ecc.

Infine, un altro aspetto che ha contraddistinto la strategia del paese nella lotta alla pandemia è stato quello della mobilitazione in solidarietà con i paesi più colpiti. Cuba ha infatti inviato medici in più di 18 paesi, tra cui l’Italia che ha visto la presenza, fino allo scorso 18 luglio, di 63 medici della brigata medica “Henry Reeve” (costituita da Fidel Castro nel 2005 in onore del cittadino americano che combatté per l’indipendenza di Cuba nella prima guerra di indipendenza del 1868-1878), a sostegno delle strutture sanitarie della Lombardia e del Piemonte.

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